Se facessimo una lista delle maggiori paure del XXI secolo nel mondo occidentale, forse tra le prime ci sarebbe quella di perdere consenso. Non che si tratti di una fobia recente, sia chiaro, ma se leghiamo la dimensione dell’io – e tutto ciò che ne deriva – ai social, il fenomeno è immediatamente più evidente.
Noi, la bellezza, il consenso
Il concetto di bellezza – uno fra tutti – oramai associato a quello di estetica, ha subito un notevole cambiamento negli ultimi anni, nello specifico da quando i media hanno cominciato ad avere un ruolo costante e preponderante nella nostra quotidianità. In particolare, i social network sono diventati il nostro diario quotidiano, la nostra fonte di informazione e troppo spesso, in maniera erronea, li consideriamo vere e proprie macchine della verità. Così, ciò che viene dettato dagli “influencer” è moda, è all’avanguardia, ed è oggetto di desiderio e ambizione per molte ragazze e ragazzi. Il problema, o meglio, il lato oscuro della vicenda, si annida nella percezione evidentemente distorta dell’idea di bellezza, che questi personaggi si fanno carico di trasmettere. Un concetto standardizzato in canoni ben precisi ma anche semplici: bello significa perfetto. Corpi magri, privi di difetti, identità prive di elementi caratteristici, omologate e se vogliamo, banali.
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Sul corpo
La paura del diverso, abbiamo imparato dalla storia, può causare odio e dolore, mettendoci gli uno contro gli altri in nome di ciò che noi stessi abbiamo definito “giusto”. Ecco, ai tempi di Instagram e Facebook, sembra non esserci spazio per un colore di pelle che non sia bianco, non c’è spazio per le malattie della pelle, per la cellulite, per i chili in più, o per i capelli fuori posto. La paura più grande? Perdere consensi, subire critiche, scatenare l’odio della gente.
Che cos’è il Body Shaming
Da qualche anno sul web dilaga il fenomeno del Body Shaming, la derisione del corpo, che induce gli utenti dei social a prendere di mira qualsiasi caratteristica non rientri nei canoni della “normalità”. Di fatto, la vittima viene colpevolizzata per i propri difetti fisici, inducendola ad una sensazione di vergogna profonda che la porta a sentirsi inerme e disgustata, così come lo sono coloro che le hanno rivolto l’attacco.
Tuttavia, quello che agli occhi di molti può apparire come un commento tra tanti, per qualcun altro può trasformarsi in un vero e proprio trauma dalle gravi conseguenze psicologiche e fisiche anche dall’esito tragico. Non è raro leggere di morti precoci di giovani donne e uomini a causa di situazioni diventate insostenibili ai loro occhi. Il fenomeno viene esercitato nei confronti di entrambi i sessi, anche se si stima che sia il 48% delle donne ad essere vittime dei “leoni da tastiera”, e il 94% degli attacchi vengono rivolti agli adolescenti che pagano a caro prezzo il peso delle parole. In effetti, la fragilità delle loro emozioni, dello stato psicologico in cui vertono negli anni dello sviluppo e l’eccessiva fiducia che ripongono nei social network, li porta ad amplificare ciò che viene scritto o detto al punto di influenzarli irreversibilmente.
Solo social?
Tuttavia, la colpa non risiede esclusivamente nell’uso che facciamo dei social. Anche i media svolgono un ruolo a dir poco strategico nella diffusione di questi stereotipi. Siamo bombardati dalla televisione, dai giornali e dalla pubblicità con immagini falsate appartenenti ad una realtà edulcorata e dannosa che ci sottopone tutti ad un giudizio collettivo al quale nessuno sembra poter sfuggire. È quindi fondamentale agire alla radice della problematica, scardinando convinzioni e retaggi culturali ormai anacronistici per i tempi moderni. Un esempio positivo che merita di essere citato è quello della maison Gucci, che nella scelta di modelle “fuori dagli schemi” si è attirata le critiche da ogni parte del mondo.
Ha destato scalpore la modella Armine Harutyunyan, la quale è stata investita da migliaia di commenti sprezzanti a causa del suo aspetto fisico. La giovane ventitreenne è stata sbattuta in prima pagina per settimane dai giornali più noti che hanno diligentemente riportato le peggiori critiche che le sono state rivolte sui social. La sua colpa più grande è stata quella di avere tratti somatici tipicamente armeni, non lineari ed estremamente particolari. Poco importa se sia brava e capace nel suo lavoro, è diversa e per questo merita disprezzo. Come lei, purtroppo, le donne dello spettacolo e le star internazionali sono i bersagli più facili da colpire perché mediaticamente esposti, e per questo anche più vulnerabili. Nonostante possa essere difficile gestire il clamore e le critiche quando si ha un seguito importante alle spalle, è pur vero che la notorietà può essere un’arma vincente per far sentire la propria voce.
Dal Body Shaming al Body Positive
Sentiamo spesso parlare del “potere della condivisione” perché le parole giuste, pronunciate dalla persona giusta, possono influenzare il pensiero dell’opinione pubblica trasmettendo l’importanza della valorizzazione della diversità e l’unicità di ogni individuo, passando da messaggi di body shaming a messaggi di body positivity.
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Tra i molti esempi costruttivi possiamo citare: Winnie Harlow che sfila per Victoria’s Secret mostrando coraggiosamente la sua vitiligine che ricopre gran parte del suo corpo e che molto spesso è stata motivo di profonda sofferenza per la modella. Come lei, la cantante Rihanna è stata invece giudicata in sovrappeso, Lady Gaga eccessivamente fuori forma, Demi Lovato, Hilary Duff, Beyoncé e moltissime altre star internazionali combattono quotidianamente sui social per diffondere messaggi di accettazione del proprio corpo e per una cultura dell’inclusione.
Una parola, inclusione, chiave per stigmatizzare i preconcetti sulla perfezione estetica. Quest’ultima sta diventando nociva come una malattia che si insinua lentamente dentro di noi fino a quando non raggiunge il totale controllo per farci cadere nella depressione; di quelle che feriscono nell’intimo tanto da trasformare le parole in macigni. C’è chi se li porta dentro per anni questi pesi, con disturbi alimentari o la depressione.
C’è un pensiero famoso, del regista Carlo Mazzacaruti che dice «ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre». Ecco, forse, il segreto è che dovremmo farla tutti un po’ nostra.
Questo contenuto è realizzato da Maria Calvano dell’associazione Ursula per Onde Rosa, un gruppo di attiviste di età compresa tra i 16 e i 30 anni che si occupa di gender equality. La revisione del pezzo è curata da Agnese Zappalà, coordinatrice della Redazione Politica e Attualità di Frammenti Rivista. Potete seguire Onde Rosa qui.
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