Zygmunt Bauman, sociologo ed accademico, è stato tra le più brillanti menti contemporanee che abbiano fatto della riflessione sulla nostra epoca il loro mestiere. Dalla sua attività di ricerca sono emersi lavori, tra tutti il saggio del 1999 Modernità liquida, che hanno contribuito all’affermazione, iniziata nella seconda metà del secolo scorso, della corrente di pensiero del post-modernismo. Come si evince dal nome grazie al prefisso “post”, l’obiettivo di questa interpretazione del presente è quella di inaugurare una nuova modalità di riflessione che superi le tradizionali categorie moderne decostruendole, prima tra queste la pretesa di sistematizzazione, al fine di far emergere e di analizzare le peculiarità della realtà attuale. Tra gli aspetti maggiormente discussi, analizzati e rappresentati da intellettuali delle più svariate branche del sapere troviamo quello del consumismo, che possiamo definire come un atteggiamento tipico della società basata sull’economia capitalista volto alla soddisfazione di desideri non essenziali. È proprio prendendo in considerazione questa tematica che affiorano numerose domande: quali sono le sue cause? Quali gli effetti? Quanto questo fenomeno pervade la nostra vita collettiva e individuale?
Sono proprio queste le domande a cui i pensatori postmoderni tentano di fornire una risposta, o sulle quali invitano il fruitore del loro lavoro a focalizzarsi, mettendolo nelle condizioni di non poter più ignorare uno degli elementi fondamentali della sua condizione esistenziale. Nei suoi saggi Bauman elabora una analisi critica che scava sotto l’involucro delle nostre abitudini quotidiane, rintracciando il filo rosso che collega e riassume in un’unica tipologia di prassi le molteplici azioni di uomini che si percepiscono come atomi indipendenti gli uni dagli altri.
Consumo e identità: non sei più quello che mangi, ma quello che compri
Una delle principali chiavi di lettura del fenomeno del consumismo concerne il ruolo che il consumo svolge nel processo di formazione ed affermazione identitaria. Bauman sostiene che il consumismo debba essere compreso alla luce dei suoi fattori propulsivi, che sono da un lato la tensione verso un piacere effimero e dall’altro, elemento ancora più rilevante, il tentativo, si potrebbe dire escatologico, di risolvere una problematica condizione di costante insicurezza che affligge l’individuo postmoderno nella pace dell’identificazione di sé. L’uomo del XXI secolo, secondo Bauman, non sa chi è, sente il disperato bisogno di scoprirlo, eppure non ha idea di come fare. Le categorie di riferimento tradizionali sono decadute: la solidità dei pilastri culturali pre-moderni e moderni si è fusa, ha lasciato il posto alla liquidità ineffabile e destabilizzante che si è spacciata per la massima forma di libertà possibile. È proprio questa pseudo-libertà che costituisce il presupposto problematico attraverso cui il consumismo prolifera: l’uomo post-moderno non è più limitato da nessun costrutto culturale, sociale, tradizionale, religioso, è pienamente libero di scegliere ciò che vuole essere e di esprimere la sua identità.
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Emerge a questo punto un problema: è possibile avere un’identità senza dei riferimenti, accantonati in quanto inevitabilmente limitanti in nome della pseudo-libertà? È proprio qui che il meccanismo di consumo si insinua nella dimensione psicologica e quindi pratica individuale. La risposta del mercato è: certo che è possibile, lo si può fare e lo si deve fare. Come si compie questa impresa? Attraverso i prodotti che il mercato fornisce: comprando capi d’abbigliamento affini ai nostri gusti ed inclinazioni, comprando pacchetti vacanze, esperienze, stili di vita, formazione. Bauman definisce lo shopping come rituale quotidiano che cerca di esorcizzare l’incertezza attraverso il ricorso ad oggetti materiali.
Il grido titanico del post-moderno
A questo punto si giunge all’esito inevitabilmente paradossale per cui l’affermazione libera di sé passa necessariamente attraverso l’adesione ai modelli precostituiti e forniti dal mercato: l’autodefinizione è in realtà autoadeguamento agli standard di produzione, insomma si può avere un’identità unica e libera solo comprando oggetti pensati per le masse indistinte. La libertà nella postmodernità è il grido titanico dell’individuo che dice di non accettare vincoli e che, incapace di assolutezza, fa del consumo la sua praxis, della scelta del prodotto da consumare la sua libertà e dell’immagine esteriore che ne risulta la sua identità.
L’insoddisfazione però non viene sedata, l’adeguamento ad un modello non è durevole proprio perché non è fatto per durare: l’individuo che compra non trova pace, ma solo frustrazione di fronte all’inefficacia del consumo che, ecco il secondo paradosso, ha come conseguenza l’ulteriore consumo e la sua esasperazione. Se lo shopping e la materialità dell’oggetto inerte fornissero davvero al consumatore sicurezza, egli smetterebbe di comprare ed il circolo si interromperebbe, invece la dinamica che si instaura deve autoalimentarsi: l’uomo non trova soddisfazione nel consumo quindi consuma di più, si spinge costantemente al di là dei suoi limiti tendendo verso un obiettivo irrealizzabile. È l’irraggiungibilità del fine la chiave dell’intero processo. La perversione implicita di tale fenomeno è degenerata a questo punto, in questo momento storico, nella confusione del consumo rapsodico, fine a se stesso, che è mosso inconsciamente dal tentativo di affermazione individuale ma che si presenta all’ingenuo consumatore come totalmente immotivato.
Evoluzione del consumismo ed accelerazione capitalista
Come si è arrivati a questo punto? Questa evoluzione del consumo nel corso della storia viene definita da Bauman come un graduale passaggio dal principio di realtà al principio del piacere, dal bisogno al capriccio passando per il desiderio. Originariamente l’uomo consuma mezzi che soddisfano bisogni dettati oggettivamente da condizioni reali: mangia perché ha fame e si veste perché ha freddo, in questo stadio la dimensione umana è inscritta all’interno del principio di realtà e governata dalla volontà di evitare la sofferenza.
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Successivamente l’uomo si approccia al principio di piacere, desidera ciò di cui non ha un bisogno reale ed oggettivo, ma che vuole come un surplus: non solo mangia perché ha fame ma cucina uno specifico pasto di suo gradimento, non solo si veste perché ha freddo ma desidera la stoffa di una particolare tonalità, il consumo inteso come soddisfacimento di un desiderio diventa mezzo di espressione individuale nella misura in cui tale desiderio è il risultato delle inclinazioni del singolo, il piacere che ne deriva e che lo dirige costituendone il fine è soggettivo, dunque soggettivo è il perseguimento attraverso il consumo.
Infine, nella contemporaneità del postmoderno e nelle sue conseguenze estreme, il consumo ha abdicato al ruolo espressivo che aveva in passato, non ha senso, logica o fine, è solo capriccio; il principio stesso del piacere sembra essere stato degradato dopo che aveva assorbito completamente la dimensione pratica umana, in quanto si riconosce la sua fugacità.
Genealogia del consumismo
Risulta spontaneo chiedersi come questa evoluzione storica, degenerazione se così vogliamo chiamarla, si sia attuata. Volendo accogliere un’interpretazione materialista non si può ignorare come il consumismo affondi le sue radici nel sistema economico capitalista che lo promuove in quanto ne necessita: un sistema iperproduttivo perché volto all’accumulazione può sussistere solo a patto che la merce venga comprata e può progredire solo a patto che le persone continuino a comprarla. Da ciò emerge il problema sistemico di tale struttura, cioè quello della saturazione dei mercati (che è la situazione in cui l’offerta supera la domanda). La soluzione, dunque, non può essere che quella di adottare strategie per far sì che la domanda proceda in aumento costante, analogamente all’offerta. La logica che sostiene il sistema capitalistico è semplice: per accumulare capitale è necessario produrre e vendere all’infinito, per vendere all’infinito è necessario che ci sia una domanda che non si esaurisca mai, perché il consumo derivante dalla domanda non si esaurisca mai questo deve autoalimentarsi.
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Oltre il moralismo
Alla luce delle questioni affrontate, uno degli aspetti di più ampia rilevanza della riflessione di Bauman consiste proprio nella sua profondità, nell’esplorazione dei come e dei perché di un fenomeno che spesso nel corso della storia e tutt’ora si tende semplicemente a stigmatizzare. Quante volte ci si trova a sopportare retoriche paternalistiche e nostalgiche di un presunto passato autentico o pregno di significato, condite di disprezzo nei confronti di una corruzione viziosa del presente? Quante volte si condanna l’oggi idealizzando il passato ed ignorando come l’attualità non sia che il germoglio dei semi piantati in precedenza? Il merito, tra i numerosissimi, di questo genio è quello di essere andato oltre alla narrazione moralistica del consumo come vizio e segno di corruzione, focalizzando l’attenzione sulle dinamiche che fondano questo fenomeno e che l’ignoranza nei confronti delle quali preclude qualsiasi possibilità di miglioramento. Bauman fa ciò senza la presunzione di aver fornito risposte, ma con la speranza di aver contribuito a formulare le giuste domande.
Francesca Campanini
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