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Di cosa parliamo quando parliamo di consenso?

Manon Garcia si interroga su un termine divenuto metro della moralità del nostro agire. Ma il consenso giuridico e il consenso sessuale sono la stessa cosa? Basta solamente dire sì?

5 minuti di lettura

Di che cosa parliamo quando parliamo di consenso? Sesso e rapporti di potere (Einaudi, 2022) non è solo un saggio sul consenso. È una ricerca meticolosissima che getta luce, tessendo al contempo un efficace intreccio di ombre ed interrogativi, su un termine divenuto progressivamente metro della moralità e della legittimità del nostro agire sessuale sia nel dibattito pubblico che giuridico. Proprio il valore dirimente assunto da tale concetto all’interno di queste dimensioni richiama la necessità di un’analisi che ne lasci finalmente emergere sfumature, criticità, influenze sociali, politiche, culturali. Si tratta, come direbbe Clifford Geertz, di proporne una descrizione densauna descrizione, cioè, che tenga conto della realtà contestuale in cui si incastonano tanto il concetto in questione tanto gli attori che lo impiegano. Ne deriva, per l’autrice Manon Garcia, che nessuna analisi contemporanea del consenso potrà definirsi esaustiva fintantoché esso non verrà inquadrato nel più generale contesto della società patriarcale e del suo disciplinamento di condotte e desideri di chi la abita.

#MeToo: per una grammatica del consenso

È nel 2017, a fronte del celebre caso Weinstein e della nascita del movimento #MeToo, che il concetto di consenso sorvola il perimetro della filosofia, del diritto e della teoria politica per colonizzare il dibattito pubblico ed interrogarci su quali rapporti sessuali sia possibile definire legittimi e perché

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Il fatto che a denunciare le violenze e le molestie subite siano componenti dello star system genera una risonanza mediatica senza precedenti, producendo un «mutamento delle condizioni di ricezione della parola delle vittime». Mutamento che è possibile giustificare attraverso l’equazione più basilare dell’ingiustizia testimoniale nei casi di violenza sessuale: meno sei povera, meno sei nera, meno sei prostituta, più sei potente e più speranza hai di essere creduta. Ma il lessico del consenso costituisce davvero uno strumento sufficiente per valutare quanto ci sia di moralmente cattivo e giuridicamente illegittimo in certe interazioni sessuali? Possiamo realmente sostenere che ogni rapporto consenziente sia transitivamente legittimo? Spoiler: per Manon Garcia la risposta è decisamente noe la ragione risiede non solo nella pericolosa liminalità del concetto tra piano morale e piano legale, ma anche nella fallacia secondo cui siamo portati a pensare in rapporto di sinonimia la consensualità giuridica e quella sessuale. 

Consenso giuridico e consesso sessuale: un rapporto controverso

Il termine consenso, in ambito giuridico, lo ritroviamo principalmente in materia di diritto civile, in particolar modo in relazione alla dimensione contrattuale. Nella teoria contrattuale peculiarità del consenso è quella di generare non un’autorizzazione, ma un’obbligazione delle parti contraenti. Nel diritto penale, al contrario, come rileva Raphaëlle Théry, il consenso genera, eventualmente, autorizzazionie non è legato al contratto. Sulla base della dimensione di pertinenza, il consenso può dunque declinarsi «come manifestazione dell’autonomia di una volontà che o si obbliga per contratto o che autorizza altri in vari modi possibili». Comprendiamo quindi che la radice del problema consiste proprio nel considerare equivalenti il piano dei rapporti intimi e il piano delle relazioni contrattuali, cioè interpretando equivalentemente il consenso in materia penale e il consenso in materia civile

In quanto le nostre leggi, istituzioni, norme e pratiche attribuiscono un posto particolare al sesso e ne fanno una sfera di attività che coinvolge in modo particolarmente acuto l’autonomia e la vulnerabilità di ognuno/a, il sesso (che questo sia fondatamente giustificato o meno) occupa una posizione morale specifica. Che lo stupro sia considerato legalmente e moralmente un atto diverso dagli atti di tortura o di percosse e ferite o che la prostituzione sia oggetto di dibattiti specifici e distinti è sinonimo del fatto che il sesso non è considerato un’attività uguale alle altre e che di questa specificità si deve tener conto nelle analisi del consenso sessuale. 

Conseguentemente, non è possibile pensare il consenso sessuale analogamente a forme quotidiane di consenso ordinario. Più semplicemente: non posso paragonare il mio consenso ad avere un rapporto sessuale con X al consenso con cui, ad esempio, autorizzo X ad utilizzare la mia auto. Sull’accezione di consenso come «manifestazione dell’autonomia di una volontà» di cui sopra si apre un’ulteriore criticità. Il senso comune guarda al consenso come manifestazione autonoma della volontà di chi la esercita, senza chiedersi quanto di quella volontà sia realmente ascrivibile alla sfera dell’autodeterminazione. La filosofia morale, passando per la riflessione kantiana, risponderebbe che la volontà che genera permessi e accordi formalmente validi è diversa dalla volontà come espressione della volontà autonoma degli esseri umani e della loro dignità: l’una è formale, l’altra è veramente moraleComprendiamo così perché la liminalità del consenso tra piano morale e piano legale rischia di originare un vero e proprio vicolo cieco concettuale: «se ci si vuole attenere a una definizione formale, eventualmente perseguibile dall’apparato giudiziario, il consenso da solo non può bastare a porre le basi di una sessualità buona. E se invece si vuole una concezione capace di porre le basi di una sessualità moralmente buona, essa è con ogni probabilità troppo esigente per risultare punibile dal diritto».

Il dilemma dell’agentività

Da questo discorso traiamo una conclusione importante: se il consenso, per essere valido, deve porsi come l’espressione di una completa autonomia, allora forse di nessun consenso può veramente predicarsi la validità. E in questo il problema del consenso sessuale sembra muoversi esattamente sulla stessa direttrice del problema filosofico classico del libero arbitrio, in cui all’idea che gli individui siano liberamente responsabili delle proprie scelte si contrappone quella che esse siano determinate dalle leggi sociali e di natura. 

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Nella dimensione sessuale queste considerazioni subiscono addirittura un inasprimento. Come ci insegna Michel Foucault con la propria riflessione sul “biopotere”, il sesso è un terreno tutt’altro che neutro, poiché in esso tendono a riprodursi le stesse strutture di dominio e sottomissione dell’ordine sociale. Inquadrare il consenso nel contesto della società patriarcale rende estremamente problematico conciliare il rispetto delle scelte sessuali degli individui con la consapevolezza che molte di esse siano prodotte dal patriarcato e dalle rappresentazioni con cui esso quotidianamente contribuisce alla costruzione e limitazione della nostra identità. Se è vero che l’eteropatriarcato disciplina le nostre sessualità corroborando una vulnerabilità già rafforzata dalle gerarchie di razza e di classe marginalizzando le espressioni ad esso non conformi (donne e uomini non eterosessuali, persone non binarie, ecc), quale spazio possibile per una sessualità scevra da norme di genere che incoraggi e consenta la libera espressione di chi la agisce?

Il consenso? Una conversazione erotica tra pari

In merito alle ultime criticità espresse, la posizione di Quill R. Kukla potrebbe prospettarsi se non risolutiva, quanto meno dirimente. È opinione del filosofo canadese, difatti, che quello di totale autonomia rischia di costituire un ideale destinato a non trovare una piena corrispondenza nella realtà concreta: «la nostra autonomia varia in funzione dei contesti […]. I compromessi sulla nostra autonomia sono la norma e non l’eccezione».

Ciò che resta importante, come ci mostra Garcia, è interfacciarsi al consenso scartando dal semplicismo dell’immediatamente intuitivo, interrogandolo nella sua complessità polisemica e strutturale; non in veste di «unico accordo valido e formale, ma come la manifestazione dell’autonomia sessuale dei partner che deve aver luogo in modo continuo durante l’incontro sessuale». È per questo che intrattenere un rapporto sessuale sano con qualcuno equivale, per l’autrice, ad intrattenere una vera e propria conversazione erotica tra pari. Significa, cioè, porsi in una condizione di apertura, ascolto, attenzione, interrogazione non solo di ciò che viene comunicato, ma soprattutto di ciò viene taciuto, nel pieno rispetto e comprensione dell’altro, «della sua situazione presente, delle limitazioni che può avere, dei differenziali di potere o di autorità che possono sussistere». Perché è solo attraverso il riconoscimento reciproco che saremo in grado di accostarci all’altro sempre come fine e mai come puro mezzo del nostro piacere.  

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In copertina: Photo by Dương Nhân on Pexels.com

Sara Campisi

Classe 1996. La mia vita è un pendolo che oscilla tra la Filosofia e la perdita di diottrie.

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