Alla fine degli anni ‘50 Lucio Fontana ha già alle spalle una carriera costellata di successi e riconoscimenti ed è un nome di punta nella scena artistica del Nord Italia, ma il suo più grande successo è dietro l’angolo. Dopo aver aggredito la superfice pittorica con la serie dei Buchi realizzata a partire dal 1949, Fontana sferra l’attacco finale attraverso uno dei più iconoclasti e discussi gesti della storia dell’arte, la lacerazione della tela attraverso un taglio netto su una superfice monocroma. Da questo singolo gesto nascerà la famosissima serie dei Tagli, che occuperà quasi integralmente l’ultimo decennio dell’attività di Fontana, fino a divenire il suo marchio di fabbrica, con il quale sarà spesso riduttivamente identificato.
«Concetto spaziale, Attese» di Fontana: analisi dell’opera
Dai tagli-ferite di Fontana, esposti per la prima volta nel 1959 alla Galleria del Naviglio di Milano, è scaturita una pletora di interpretazioni e analisi, anche per via dell’evocativo nome attribuito dall’artista alla serie di opere: Concetto spaziale, accompagnato dalla parola Attesa o Attese, a seconda che la tela presenti un unico taglio o molteplici tagli. Fontana, dunque, sceglie di muoversi contemporaneamente lungo due direttrici: la prima, quella spaziale, indagata attraverso il gesto chirurgico e anaffettivo del taglio (antitetico rispetto alla pennellata auto-espressiva dell’Espressionismo astratto), volto alla smaterializzazione della tela per indagare lo spazio infinito che esiste al di fuori di essa; la seconda, più concettuale, esplorata attraverso uno stato di meditazione attiva, l’attesa atemporale e astorica che precede lo squarcio, descritta da Fontana stesso in una lettera del 1959 all’amico Bardini come l’unica cosa che sia mai riuscito a dargli pace e felicità durante la sua carriera.
Quando io mi siedo davanti a uno dei miei tagli, a contemplarlo, provo all’improvviso una grande distensione dello spirito, mi sento un uomo liberato dalla schiavitù della materia, un uomo che appartiene alla vastità del presente e del futuro.
Il trattamento che Fontana riserva alla tela, considerata alla stregua di un materiale da lavoro, ricorda da vicino le sperimentazioni di Alberto Burri, che attraverso l’utilizzo di materiali poveri e di riuso sembra voler ricomporre la tela, attribuendole nuovo significato, mentre Fontana opta per la distruzione della stessa per arrivare all’Altrove, una dimensione parallela e alternativa che esiste oltre la piatta bidimensionalità del quadro.
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Dopo il clamoroso successo ottenuto dai primi Concetti Spaziali, Fontana ne intensifica la produzione fino ad arrivare a realizzarne quasi 200 all’anno, per un totale di oltre 1.500 opere nell’arco di un decennio, imponendosi un rigido modus operandi che ricorda i ritmi lavorativi della Factory di Andy Warhol.
Per prima cosa Fontana preparava la tela, impregnandola di colore bianco sul recto e sul verso, per poi procedere alla colorazione vera e propria generalmente eseguita con l’idropittura, una vernice diluita con l’acqua impiegata soprattutto per dipingere le pareti delle abitazioni, molto amata da Fontana per l’asciugatura rapida. Infine, quando l’asciugatura non era ancora ultimata, procedeva con il taglio eseguito con un taglierino Stanley, operazione estremamente delicata poiché non consentiva margini di errore e richiedeva una mano perfettamente ferma. Una volta eseguito lo squarcio, applicava della garza sul recto del quadro per evitare che i bordi del taglio si deformassero con il passare del tempo.
A proposito di Lucio Fontana
Lucio Fontana (Rosario, Santa Fé, 1899 – Comabbio, Varese, 1968) è stato uno dei grandi nomi dell’arte italiana a partire dagli anni ‘30. Artista eclettico, ha operato anche come scultore e ha dato importanti contributi teorici, scrivendo nel 1946, durante un soggiorno in Argentina, il Manifiesto Blanco, dove si prefiggeva l’obiettivo di raggiungere l’unità di spazio e tempo, superando i concetti di pittura e scultura per approdare a una dimensione altra.
In quest’ottica, una volta tornato in Italia, realizza i primi Ambienti Spaziali, esito innovativo delle sue ricerche sullo spazio, dove oggetti scultorei dialogano con ambienti illuminati da luci al neon, innescando un’interessante dialettica tra spazi e vuoti.
Nel 1951, a Milano, è tra i firmatari del Manifesto tecnico dello Spazialismo, dove si pone come obiettivo ultimo la smaterializzazione dell’oggetto-quadro e dell’oggetto-scultura, per approdare a una traslazione in un ambiente spaziale, in accordo con le nuove scoperte tecnologiche e scientifiche.
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L’influenza di Fontana è stata decisiva sui due principali movimenti che dominano lo scenario artistico in Italia settentrionale negli anni ’50: Spazialismo e Nuclearismo, i cui giovani artisti vedono in Fontana un vero e proprio mostro sacro da cui ereditare il magistero. Nel 1957 accoglie sotto la propria egida il giovane amico Piero Manzoni, astro nascente dell’Arte concettuale in Italia, che proprio in quell’anno inizia la sua breve ma folgorante carriera.
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