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La comunità ci salverà dal populismo?

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Nel 2001 il sociologo polacco Zygmunt Bauman scriveva nella prefazione a Voglia di comunità:

La comunità ci manca perché ci manca la sicurezza, elemento fondamentale per una vita felice […] l’insicurezza attanaglia tutti noi, immersi come siamo in un impalpabile mondo fatto di liberalizzazione, flessibilità, competitività ed endemica incertezza, ma ognuno di noi consuma la propria ansia da solo.

In un mondo di individui sempre più soli, una società sempre più liquida e precaria, il tema della comunità sembra essere tornato di grandissima attualità. Uscito dalle stanze un po’ polverose del mondo accademico, non smette di essere uno dei punti focali del dibattito culturale contemporaneo.

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Da questa necessità si muove La forza della società. Comunità intermedie e organizzazione politica (acquista), il nuovo libro di Giovanni Quaglia e Michele Rosboch edito da Aragno e presentato martedì 11 dicembre al Circolo dei Lettori di Torino. Presenti, oltre agli autori, Loredana Sciolla, docente di sociologia presso l’Università degli studi di Torino e Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica e personaggio di spicco nel mondo culturale italiano.

Come è stato più volte ribadito durante l’incontro, l’evento non si è limitato semplicemente a presentare l’ultima fatica dei due autori, ma, partendo da essa, si è articolata una profonda riflessione sull’attuale scenario politico, sul senso del populismo e, soprattutto, sul valore sociale e culturale dei corpi intermedi quale esempio valido ed evidente di quelle comunità di cui l’uomo della società liquida sembra essere disperatamente in cerca. D’altra parte, da sempre, la comunità è sinonimo di scambio, relazione, interazione, tutti elementi evidentemente in crisi nel contesto di oggi. 

Come ha sottolineato Loredana Sciolla, l’idea e le tesi portate avanti da Quaglia e Rosboch hanno alle spalle una lunga tradizione teorica e politica che va da Max Weber a Simmel, da Durkheim al più eminente teorico del comunitarismo, Ferdinand Tönnies. Tutti questi sistemi sociologici vedono il disgregarsi di legami comunitari all’alba della modernità a vantaggio del paradigma individualistico-liberale. Esso prevede che il soggetto debba disfarsi del giogo opprimente di una collettività che compromette la sua libertà di scelta e autodeterminazione. Ma a che prezzo? La rinuncia al modello comunitario (un idillio rurale lo definiva Tönnies marcandone i caratteri di pre-modernità), ha probabilmente lasciato solo l’uomo davanti allo Stato, ma, ancor peggio, davanti al Mercato del mondo capitalistico. La comunità come gelosia del tutto (Simmel), come modello totalizzante e, forse, forzosamente aggregante, si è disfatta lasciando un citoyen, un cittadino senza storia e senza radici.

Ecco, allora, la necessità di corpi intermedi di cui il testo disamina la lunga storia, fino ad arrivare al ruolo centrale, in questo senso, delle Fondazioni Bancarie. D’altra parte, il problema relativo ai corpi intermedi, nel mondo dell’individualismo liberale, è un tema presente da sempre nella letteratura sociologica, ha osservato Sciolla, citando la celebre Democrazia in America di Alexis de Tocqueville che ad un’Europa già vecchia e sclerotizzata contrapponeva il grande valore che l’America dava all’associazionismo. Proprio l’associazionismo, infatti, rappresenterebbe la terza via tra un individualismo spinto fino all’atomismo e una comunità opprimente, totalizzante, che compromette le prerogative liberali.

La disintermediazione a cui si assiste oggi, cioè la crisi dell’opera di mediazione attuata da fondazioni, partiti, sindacati, associazioni, ci pone di fronte ad un popolo come massa informe, come tutto indifferenziato a cui il politico si rivolge direttamente (senza mediazioni, appunto). A questo proposito, il ruolo del web è centrale, come emerge dall’intervento di Ferraris. Esso è esattamente la cifra di quel popolo inteso come massa e attraverso il mondo dei social ha contribuito a trasformare e a paralizzare la politica e il politico. Egli non è più parte attiva di una decisione (pensiamo all’immagine del politico del novecento come colui che agisce sullo stato d’eccezione secondo Carl Schmitt), ma parte passiva di una costante valutazione da parte di chi ne osserva i comportamenti, le attitudini, i gesti. Non è più propriamente influencer come notava recentemente Aldo Grasso, ma influenced. Influenzato, insomma, da una platea diversificata e multiforme che costantemente e in tempo reale esprime accordi o disaccordi sul suo operato, di fatto, depotenziandolo. Un Panopticon al contrario, osserva Ferraris, dove non è più il singolo che controlla tutti secondo la celebre distopia di Bentham ripresa da Foucault, ma tutti che controllano uno.

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Ecco da dove il populismo nasce e si nutre: un’approvazione e una disapprovazione immediata e ininterrotta che cambia i connotati della politica intesa come capacità di prendere iniziative, anche impopolari. D’altra parte, fa notare Ferraris, il governo attuale non ha preso alcuna decisione finora, vittima com’è dell’angoscia dell’approvazione e del consenso misurata in termini di tweet e di post. Il bacino collettore del web è, quindi, uno dei fulcri essenziali della disintermediazione presentandosi in apparenza come grande mediatore, ma di fatto come l’essenza del popolo-massa a cui il politico si rivolge direttamente.

Come si collocano, allora, i corpi intermedi in questa crisi, apparentemente irreversibile della politica? Quali possono essere i nuovi attori della mediazione che supportino la politica? I due autori, a fine serata, traggono le conclusioni. Innanzitutto bisogna, forse, intendere il popolo in modo diverso, osserva Rosboch. Non una massa indifferenziata, ma una collettività solidale e interattiva, un’assemblea umana. Occorre, quindi, rivitalizzare i corpi intermedi classici: i partiti, i sindacati, ma anche crearne di nuovi, come le reti associative o di solidarietà, valorizzare il terzo settore per difendere l’uomo dalla sua solitudine di fronte allo Stato e al Mercato impersonale.

Particolare attenzione, osserva Quaglia, va data alle Fondazioni bancarie che si pongono come fulcro e punto di arrivo del libro. Esse non devono essere considerate né una longa manus delle banche né tantomeno una sorta di bancomat filantropici, ma delle realtà associative vive sul territorio, delle comunità pronte alla condivisione e all’azione di cui la politica ormai depotenziata non è più in grado.

Il testo è, quindi, un nuovo e calzante esempio di come il problema comunità sia uno dei temi centrali nel dibattito socio-politico attuale. La fine delle comunità totalizzanti, pre-moderne, che hanno liberato l’individuo dal loro giogo, ha lasciato l’individuo stesso orfano di un’identità, di un gruppo, di una rete. I gruppi intermedi dovrebbero rappresentare le nuove comunità di cui l’uomo ha voglia, che lo trasformino da uomo irrelato a homo relatus, secondo le parole di Quaglia. Tutto ciò ha non solo un valore politico, ma un profondo valore sociale e filosofico poiché salvando l’uomo dalla solitudine del mondo post-moderno, dal mare della massa e dall’indifferenziato del web, lo salverebbero da quell’ansia che lo consuma.

Ilaria Vergineo

Redazione

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