Composizione II in rosso, blu e giallo è una tra le opere più belle del pittore Piet Mondrian (diminutivo di Pieter Cornelis Mondriaan), padre del neoplasticismo (o De Stijl) insieme a Theo van Doesburg.
Dotato di un’apparente semplicità formale e stilistica, la complessità della sua progettazione smentisce ogni dubbio sulla sua originalità.
Per comprendere l’opera, dobbiamo forse ascoltare le parole stesse dell’autore, che afferma in una lettera ad Arnold Saalborn: «Il comune essere umano cerca la bellezza nella vita materiale, ma l’artista non dovrebbe farlo. La sua creazione deve collocarsi ad un livello immateriale: quello dell’intelletto»
L’utilizzo delle opere verticali e orizzontali è presente in tutta la carriera artistica dell’autore, che affermava di utilizzarle in modo consapevole per creare armonia tra le parti della sua composizione pittorica.
«Composizione II in rosso, blu e giallo» di Piet Mondrian, analisi dell’opera
Nel caso di Composizione II in rosso, blu e giallo di Mondrian abbiamo linee perpendicolari e campiture di colore che utilizzano i colori primari (rosso, giallo, blu), bianco e nero. Come il risultato di una continua e quasi estenuante ricerca della perfezione formale.
Quest’opera aderisce perfettamente ai dogmi del neoplasticismo in pittura che, sotto l’ala dell’astrattismo geometrico, assomigliava molto più ad un’operazione matematica piuttosto che pittorica, basando la sua teoria sugli elementari della linea, del piano e dei colori primari.
L’autore dichiarò di essersi ispirato (per questo ma anche per la maggior parte delle sue opere di questo periodo) alla natura:
La natura mi ispira, mi mette, come ogni altro pittore, in uno stato emozionale che mi provoca un’urgenza di fare qualcosa. Voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta. Credo sia possibile che, attraverso linee orizzontali e verticali costruite con coscienza, guidate da un’alta intuizione, e portate all’ armonia e al ritmo, queste forme basilari di bellezza, aiutate se necessario da altre linee o curve, possano divenire opere d’ arte, così forti quanto vere.
Quest’opera, che abbraccia pienamente la sua idea neoplastica, si deve guardare con l’intellegibile proposito di trovarsi di fronte a un’idea, una ricerca estrema dell’armonia teorizzata dal pittore. Dovrebbe essere osservata come si osserva un teorema matematico o un assunto filosofico; da uno spettatore consapevole di trovarsi davanti a preconcetti veri, immutabili ed eterni. E per questo fortemente necessari.
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Per l’osservatore è inutile cercare di intravedere delle irregolarità tra le campiture, degli sbuffi di colore. La sua precisione di stile si realizza nel punto esatto in cui egli esibisce la contezza dell’assunto che cerca di trasmettere. Se qualcuno, davanti al quadro, ne avesse ricercato al suo interno una qualche irregolarità, avrebbe probabilmente offeso Mondrian, che avrebbe visto tradite le sue intenzioni.
L’artista qui rappresenta elementi indispensabili e inseparabili. Il quadrato blu non è nient’altro che un quadrato blu, così come le line parallele e perpendicolari sulla tela che si rincorrono e si scontrano formando un connubio tanto ingegnoso quanto eurìtmico. È come singole arie che insieme danno vita a una grande opera sinfonica, come la scelta oculata del lessico per la composizione poetica.
E ogni elemento si richiama all’altro in maniera del tutto univoca e dipendente. Dobbiamo domandarci: il quadro esisterebbe ugualmente senza il giallo? O il rosso? Senza quell’equilibrio di bianco? Probabilmente la risposta sarebbe no.
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Chi era Piet Mondrian
Pieter Cornelis Mondriaan nasce ad Amersfoort, nei Paesi Bassi, nel 1872. Appena ventenne entra nell’Accademia di Belle Arti di Amsterdam per ricevere la più classica delle formazioni. Inizia a dipingere quadri figurativi, impressionisti; ma inizia anche ad avvicinarsi all’espressionismo di Munch.
Per Mondrian saranno decisivi gli anni a Parigi (dove arriva nel 1912), e il suo incontro con Picasso e Braque, che lo porterà ad avvicinarsi al Cubismo. Nel 1913, nel tentativo di elaborare una teoria pittorica che contenga i principi teosofici che nel frattempo aveva assorbito (dove aveva unito arte, scienza e religione con l’unico scopo di cogliere l’essenza rigorosa dell’universo), Mondrian arriva a compiere la scelta di rinunciare definitivamente al soggetto, approdando alla totale astrazione formale.
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Torna in Olanda nel 1914, e qui conosce artisti come Bart van der Leck e Theo van Doesburg. Con questi nel 1917 fonda il movimento De Stijl e un giornale omonimo. Il manifesto del movimento auspica un’arte nuova, che miri all’eterno, all’immutabile e incorruttibile. Per i loro fondatori, la ricerca della verità doveva avvenire attraverso l’uso degli elementi più semplici, dei piani e delle rette, orizzontali e verticali, e dei soli colori primari oltre che del bianco e del nero. Gli stessi principi saranno validi anche fuori dal campo della pittura; spaziando anche nel design e nell’architettura.
Mondrian tradurrà i principi del De Stijl in regole pittoriche, attraverso una serie di undici articoli, pubblicati tra il 1917 ed il 1918, dal titolo De Nieuwe Beelding in de schilderkunst, il Neoplasticismo in pittura.
Alla fine della guerra tornò in Francia. È questo il periodo in cui diede vita a molti dei suoi quadri definiti “a griglia”, tra i quali Composizione II in rosso, blu e giallo.
Nel 1938 Mondrian fu costretto a lasciare Parigi a causa dell’avanzata del Nazismo. Si trasferì prima a Londra, poi a New York, dove rimase fino alla morte, avvenuta nel 1944 all’età di 71 anni.
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