Di certo Platone conosceva da vicino Eros. I dialoghi dedicati all’Amore, in particolare il Simposio, restano forse insuperati per la bellezza delle parole spese – che Platone, come i poeti che tanto avversava, sapeva ben maneggiare – e per il travolgimento concettuale che operano in materia erotica. Pochi si avvicinano, nella storia della filosofia, alle vette toccate da Platone nei dialoghi che mettono a tema Eros e, soprattutto, i sentimenti – intellettuali e non – che l’innamoramento induce.
«Non è intollerabile che per gli altri dèi inni e peani siano stati messi in versi dai poeti, e invece per Eros, dio tanto antico e tanto potente, neppure uno mai, fra i numerosi poeti esistiti, abbia composto neppure un encomio?». Un elogio di Eros, «il più bello che sia possibile», è la proposta avanzata da Erissimaco per occupare le ore notturne che scandiscono i discorsi dei quali il Simposio è il resoconto. Come al solito un dialogo, dove a confrontarsi sono le voci di ateniesi illustri (in ordine di apparizione: Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane ed infine Socrate) – un dialogo immaginario tenutosi a casa del drammaturgo Agatone per celebrarne la vittoria alle competizioni teatrali appena concluse in Atene (risalenti probabilmente al 416 a.C.).
La casa di Agatone diventa l’agone pronto ad incoronare il più bello fra i discorsi rivolti ad Eros; i simposiasti terranno il proprio elogio uno alla volta. L’ultima parola tocca a Socrate, punto d’arrivo dell’itinerario narrativo che muovendo dal primo dei parlanti (Fedro) eleva, in un crescendo di raffinatezza concettuale, la profondità del discorso filosofico. Ma Socrate, maschera del pensiero di Platone, non si pronuncia direttamente. Evoca piuttosto il ricordo di un incontro avvenuto a Mantinea: qui avrebbe udito le parole di una sacerdotessa, Diotima, iniziandosi ad un sapere più alto, più vero. È Diotima, una donna, che serba la verità su Eros; e Socrate si sottomette ad una conoscenza che non può detenere, lui, uomo. Si ricorderà che alle donne non era concesso partecipare ai simposi, e solamente per mezzo di Socrate Diotima può pronunciarsi.
Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, 1789
Eros non è un dio, ma «un grande demone», qualcosa cioè di «intermedio fra il divino e il mortale». Diotima-Socrate pare contraddire, in prima istanza, l’opinione comune (che già aveva trovato espressione nel corso del convito, nelle parole di Agatone) che fa dell’Amore un sentimento di serenità interiore e pienezza. Eros è invece l’esatto opposto: mancanza e privazione di ciò che si ama, non possesso e, in quanto demone, abitatore di un framezzo che sta tra l’eternità del possesso erotico, divina, e l’umana condizione di indigenza. Il fraintendimento nel quale incorre il senso comune, dice Diotima, sta nello scambiare la condizione dell’amato con quella dell’amante, laddove è piuttosto la tensione propria dell’amante che caratterizza il sentimento amoroso, e non lo stato passivo dell’amato.
Diotima esemplifica questo strano rivolgimento del carattere di Eros con un mito, fra i più belli in Platone: «quando nacque Afrodite [la dea dell’amore], gli dei si riunirono a banchetto e fra gli altri c’era anche Poros, Risorsa, figlio di Metis, Intelligenza Astuta. Dopo che ebbero cenato […] arrivò a mendicare Penia, Povertà, e si fermò sull’uscio. Poros, intanto, ubriaco di nettare […], entrò nel giardino di Zeus e […] si addormentò. Penia, vista la sua povertà, macchinandosi astutamente di avere un figlio da Poros, si sdraiò accanto a lui e rimase incinta di Eros. è per questo che Eros è seguace e aiutante di Afrodite […]. Peraltro, in quanto figlio di Poros e Penia, a Eros è capitato questo destino: innanzitutto è sempre povero e non è per niente delicato, come crede la maggior parte delle persone, ma è duro e sciatto e scalzo e senzatetto, sempre pronto a sdraiarsi per terra senza coperte, per dormire all’addiaccio […] perché ha la natura della madre. Da parte di padre, invece, è un macchinatore astuto in agguato ai belli e ai buoni, coraggioso, impetuoso, veemente, cacciatore terribile, sempre occupato a ordire trame».
Eros è filosofo, amante, come i filosofi, della sapienza, costantemente in cerca di appressarvici, ma mai suo pieno padrone. Ma l’anelito alla continuità del possesso si trasforma, per necessità, in desiderio d’immortalità, d’eternità: Eros, dice Diotima, «nello stesso giorno fiorisce e vive, quando trova la buona risorsa, eppoi muore, e di nuovo torna a vivere grazie alla natura del padre; e quel che si procaccia con le sue risorse scivola sempre via», ma ciò non toglie che il desiderio sia spento, anzi si ravviva più che mai. Un’immagine che aiuta a comprendere questo complicato passaggio non si trova in Platone bensì in Dante, quando nel XVIII Canto del Purgatorio (vv. 23-27) Virgilio illustra al compagno la natura dell’amore, paragonando il sentimento ad un piegare dell’anima («quel piegare è amor, quell’è natura che per piacere di novo in voi si lega») Dante indica efficacemente quello che Platone cerca di illustrare: il piegarsi dell’anima è un tendere costante in direzione di ciò che si ama, che trova riposo unicamente nel possesso eterno dell’amato. Il sentimento erotico è volontà di ciò che si ama, e più precisamente volontà di possedere eternamente l’oggetto del desiderio. Ma, si chiede Diotima,:«in che modo e con quale azione lo sforzo e la tensione di chi si slancia verso di esso possono essere chiamati eros?», e la risposta è sorprendente:« è il partorire nel bello, sia secondo il corpo, sia secondo l’anima». L’atto d’amore, la brama di possesso che scuote l’amato, sfocia nel desiderio di partorire nel bello, di creare il bello, perché «la procreazione è ciò che di eterno e immortale spetta a un mortale».
Spiega Diotima:«L’immortalità è necessario che si desideri assieme al bene, da quanto abbiamo convenuto, se è vero che eros è rivolto al bene, a possederlo per sempre. Da questo discorso deriva necessariamente che eros sia eros anche di immortalità». Il Bene, che nel mondo greco si accompagna sempre al Bello, è ciò di cui Eros manca, che desidera, e che nella generazione possiede.
Il discorso di Diotima-Socrate procederà ulteriormente, rendendosi troppo complesso per essere qui esposto. Resta in ogni caso affascinante la concezione di Eros che Platone, per bocca di Socrate, propone lasciando disorientato il lettore del Simposio. Poetessa fra le più grandi della lirica antica, Saffo usava parole che ben descrivono la privazione e il sentimento di mancanza che costituiscono Eros quale, al termine del simposio, Socrate ci fa conoscere :« Mi scrolla amore,| come vento nell’alpe su roveri piomba». Amore, come Saffo scrive altrove, quando nasce, si aggira ferocemente nel corpo di chi ama, e questo lo ricorda anche Diotima rivolgendosi a Socrate:« Non hai la percezione dello stato terribile in cui si trovano tutti gli animali, sia terrestri che volatili, quando sentono il desiderio di procreare? Sono tutti come malati e in uno stato erotico, innanzitutto per accoppiarsi fra loro, eppoi per allevare la prole, e sono pronti per i loro figli a combattere contro i più forti, loro che magari sono più deboli, e a morire al posto loro, sia subendo le torture della fame pur di nutrirli, sia facendo qualsiasi altra cosa».
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