La bellezza non è una qualità obiettiva e immanente a qualcosa, passibile di una definizione. L’età, il luogo, la classe sociale di appartenenza sono in grado di plasmare la bellezza ideale corrispondente al sentimento estetico delle persone di quel luogo e di quel dato periodo.
Nella società di oggi, dove il limitato e l’immediato si realizzano nei rapporti umani, le immagini di irresistibile sensualità, tra corpi nudi e disinvolti, se da una parte essi sono in sovrapproduzione, dall’altra il mondo dell’arte è saldamente ancorato a tabù vecchi quanto l’umanità stessa, alla tendenza occidentale a evitare parole o immagini perché innominabili e inavvicinabili; sopratutto se parliamo di nudo maschile.
Quanto è stata difficile la strada percorsa dal nudo maschile nella storia dell’arte fotografica? Qual è il tabù che sta alla base di questa situazione?
Oggi il nudo di donna, nonostante trovi nell’arte fotografica uno spazio alquanto limitato, viene esposto tramite le immagini in modo tanto regolare quanto naturale. Il corpo maschile invece non ha mai goduto, e non gode tuttora, dei medesimi favori sia che esso sia accostato all’arte sia una necessità più consumistica. Così l’uomo nudo, inteso come simbolo dell’uomo ideale, metafora o categoria iconografica, ha sempre dovuto vivere di espedienti per essere accettato dalla società.
La storia ha inizio più di un secolo fa, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del ‘900, al tempo delle prime fotografie e del delicato momento in cui macchine fotografiche, acidi e cloruri da stampa non erano ancora del tutto oggetti e pratiche ritenuti appartenenti alla sfera dell’arte.
Se l’ingresso della fotografia nel mondo dell’arte non è stata un susseguirsi di semplici oggettività, non c’è arte senza legame con la rappresentazione del corpo umano che, nelle sue svariate forme e linee, da sempre, è stato fonte di ispirazione dei maggiori artisti. Basti pensare al corpo maschile, con spalle ampie e fianchi stretti, idealizzato nell’arte dell’antica Grecia e a Roma.
Nella metà del 1800, comunque, l’attenzione si era già spostata verso il corpo femminile e dagli anni ’80 di quel secolo il corpo maschile era raramente idealizzato nell’arte. La possibilità di fornire modelli ai pittori e ai disegnatori a prezzi imbattibili era l’elemento maggiormente apprezzato nella fotografia applicata al nudo, anche se non mancava il deprecare la crudezza della rappresentazione, che faceva continuamente sfiorare il sospetto dell’oscenità e della pornografia, anche quando il soggetto non aveva intenti espressamente sessuali. Eppure, il nudo maschile è stato per molto tempo il fondamento della formazione accademica e costituisce una linea cardine della creazione artistica in Occidente.
Gli standard socioculturali di bellezza per gli uomini enfatizzavano la forza e il tono muscolare. In tal senso si preferiva il tipo mesomorfo (ben proporzionato e di costituzione media), piuttosto che magro o grasso. All’interno della categoria mesomorfo, una maggioranza preferisce un «uomo muscoloso, caratterizzato da un petto ben sviluppato, braccia muscolose e spalle larghe assottigliandosi con una vita stretta». In un’ottica maschile nessuno si poneva il problema se qualche donna avesse potuto apprezzare la bellezza artistica contenuta in un nudo dell’altro sesso. Intanto la sensualità e la sinuosità diventano caratteristiche quasi esclusive delle immagini di nudi femminili, carichi di morbidezza e al contempo di grazia si distinguevano dalla simmetria del corpo maschile: in opposizione al corpo dell’uomo spogliato delle sue vesti, il corpo femminile riusciva ad attenuare i contrasti, rendendoli più dolci nell’andamento di una schiena, nella forma rotonda di un seno materno, a indurre lo sguardo dell’arte occidentale verso la rappresentazione idealtipica della bellezza. Sollecitazione beata dei sensi in un’immagine.
Il pericolo intimamente inserito nei nudi maschili nel mondo dell’arte – che ingenera il tabù – sta nel fatto che nella rappresentazione del corpo nudo dell’uomo i suoi genitali esposti (se non esibiti) alla vista, cosa che invece non avviene in quello femminile.
Al tabù infatti sono sfuggite in origine soltanto le fotografie espressamente prodotte per fornire modelli agli artisti – di cui ancora oggi conserviamo perfetti corrispondenti in quadri o statue – e quelle scientifiche, per esempio quelle destinate ai medici: in entrambe il nudo era presentato come “necessità”. Più tardi saranno le fotografie sportive a costituire immagini in cui la semi-nudità dell’atleta maschio diventerà il punto chiave di lettura.
L’Italia è stata uno dei fulcri più proficui nella produzione di fotografie di nudo maschile. Tra i maggiori artisti è possibile ricordare Wilhelm von Gloeden (1856-1931), un pittore tedesco trasferitosi in Sicilia per problemi di salute, che dovette trasformare l’hobby della fotografia in professione a seguito di un tracollo finanziario, producendo per un trentennio immagini arcadiche di ragazzi siciliani camuffati da pastori neoclassici. Wilhelm von Gloeden seppe letteralmente inventare un mondo fantastico, totalmente suo, nel quale il nudo era “disinnescato” dalla carica esplicitamente erotica, e reso accettabile per la mentalità dell’epoca attraverso il richiamo a una classicità ideale, avulsa dalla realtà. Il tipo di ragazzo efebico che la società cercava.
Wilhelm von Plüschow (1852-1930), invece, stabilitosi a Taormina riesce maggiormente a intendere la fotografia del nudo come un prodotto industriale legato alle richieste di un mercato. Ancora, Vincenzo Galdi (1895-1907), che a Napoli è stato modello ed amante di Plüschow, lo segue poi a Roma come assistente e infine si dedica alla produzione e commercializzazione dei propri nudi maschili e sopratutto femminili.
Tra i fotografi che traevano ispirazione dall’Italia e dai suoi corpi c’era Frederick Rolfe (1860-1913) che dedicò la sua opera alla fotografia di adolescenti italiani.
Certo, la fotografia come mezzo democratico e pubblico stava iniziando a infrangere, in modo molto radicale, certi tabù, ma non tutto è stato così semplice e scontato: le opere fotografiche hanno dovuto sopravvivere alle persecuzioni durante il periodo fascista, che distrusse la maggior parte dei nudi maschili.
Il nudo maschile fotografico integrale fu impiegato per la prima volta in pubblicità nel 1967, in Francia, in occasione di un’annuncio pubblicitario della ditta, la Selimaille, specializzata in abbigliamento intimo. Era Frank Protopapa ritratto dal francese Jean-François Bauret (1932-2014).
Invece negli USA il mercato di immagini di nudo maschile si sviluppa solo dopo la Seconda guerra mondiale. A questo tipo di fotografia si rivolgevano coloro che avevano una preferenza per il corpo maschile adulto e virile, mentre la foto d’arte tendeva allora a preferire il corpo adolescente o comunque dell’adulto dalle caratteristiche maschili non troppo marcate. Con la scusa della “statuarietà” furono prodotte e smerciate in migliaia di esemplari cartoline rappresentanti celebri lottatori o sollevatori di pesi dell’epoca. In molti casi i modelli venivano collocati accanto a specchi, che moltiplicassero i punti di vista dell’immagine, e appesi a trapezi o rovesciati su divani appoggiati in verticale al muro.
La serie di fotografie datate 1980 e scattate dall’artista americano Robert Mapplethorpe (1946-1989) ci racconta chiaramente il suo grande amore per Michelangelo e per l’equilibrio dei corpi nudi e perfetti, anche se non sempre al riparo dalle polemiche e dalle accuse di fare “commercio di carne umana”.
Si alternano così, in questo periodo, i nudi apollinei e neoclassici di Stefano Scheda e le suggestioni in stile Mapplethorpe nei suoi scatti omoerotici della serie Martyrium.
Il focus sul corpo maschile riemerge negli anni ’80 e ’90, quando immagini idealizzate di uomini nudi o semi nudi divenivano comuni nei principali mass media occidentali. Il corpo maschile muscoloso è ora presente in numerose pubblicità, assieme a una magra versione del corpo ideale femminile. Nel mondo dell’arte invece siamo legati saldamente a quei tabù che rispecchiano perfettamente la società virtuale che viviamo, una visione del mondo ovattato e un po’ bigotto dove la censura si inserisce per preservare la “comunità perfetta” e dove le connessioni, appunto, si possono modellare, cancellare e censurare, a differenza dell’imprevedibilità della vita reale.
Il tabù, cambiando la sua forma, si è riproposto nella società delle immagini in cui viviamo oggi sotto forma di regole comunitarie, senza un’apparente comunità. Con la sua funzione di ordinatore della realtà sociale, il tabù costituisce una guida alle azioni umane e in moltissime circostanze ostacola la libera circolazione dell’arte, in tutte le sue forme, e curve sincere. La nudità, soprattutto quella maschile, vietata a livelli da regole collegiali, trova difficilmente spazio in una società così ancorata a regole vittoriane e il corpo maschile rimane avviluppato nelle statue apollinee e ai mezzi busti mentre si inizia a ri-discutere su quanti centimetri di pelle è possibile esibire e quanti invece no.
La presenza di lavori magistrali, come questo di Olivier Valsecchi, fotografo contemporaneo e specializzato nell’uso creativo del nudo, danno al mondo dell’arte una speranza di sopravvivenza, ancorata a una delle sue fondamenta: immerse nella polvere le figure maschili di Valsecchi assomigliano alla smaterializzazione di statue grezze che prendono vita nella potenzialità del corpo umano.
[…] il corpo maschile nudo è sempre stato modello di perfezione: era l’atleta greco colto nel momento precedente la sua […]