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Colapesce, il giovane siracusano
che nuota nel pop

3 minuti di lettura

Lo scorso 20 Aprile Le monde lo battezza l’«avenir d’Italie». L’unico cantante che «rigenera il devastato paesaggio della canzone transalpina». A grandi definizioni corrispondono grandi nomi, leggendari. E si tratta di Colapesce, nome d’arte di Lorenzo Urciullo. Egomostro, suo ultimo album di cui vi abbiamo già parlato qui, ha stupito con la maturità dell’equilibrio fra liriche e sonorità. Scopriamo cosa c’è di leggendario in Colapesce e rispolveriamo il suo primo disco, Un meraviglioso declino.

"Mito di Colapesce" di Renato Guttuso, Teatro Vittorio Emanuele, Messina
“Mito di Colapesce” di Renato Guttuso, Teatro Vittorio Emanuele, Messina

Secondo la leggenda, al tempo di Federico II un ragazzo messinese, Nicola, amava immergersi in acqua, esplorare i fondali marini e visitarne gli abitanti, meritandosi il soprannome Colapesce. Mentre i suoi fratelli e suo padre lavoravano come pescatori, Cola esplorava esaltato le sconfinate foreste di alghe e di coralli. La madre non ne poteva più di quel figlio sfaticato, a mollo dalla mattina alla sera, tanto da maledirlo: così il giovane diventò metà uomo e metà pesce, con la pelle sempre sferzata dalle correnti dell’isola, a contatto dei mostri e dei tesori custoditi dallo Stretto. Il magnifico imperatore normanno venne a conoscenza di questo prodigio, giacché tutti i pescatori ne parlavano, e subito lo chiamò a sé affidandogli la risoluzione del seguente enigma: «Di cosa sono fatti i fondali e dove poggia l’isola?». Dopo un giro attorno alla Sicilia Colapesce trovò tre colonne a sostegno di essa – una per ogni capo – quella di Messina, però, era scheggiata. Per giunta, il ragazzo s’impaurì durante l’immersione sotto la punta della propria città: il mare dove tanti anni aveva nuotato pareva infatti senza fine, e non volle più tornarci. Allora Federico II gettò la propria corona in acqua, purché il giovane scoprisse il fondo del Faro, nel tentativo di riprenderla. Da quell’ultima calata, fino a oggi, Colapesce non tornò più a galla: perché tuttora è lui che sostiene Messina, una delle tre colonne della sua isola.

Al pari del corpo di Cola, la voce di Urciullo è legata alla Sicilia senza che questo attaccamento sia evidente in superficie: il suo esordio è Un meraviglioso declino che, come testimonia lo stesso cantante, «è fatto di chitarre, più che di tarantelle». Per intenderci, le suggestioni sonore dominanti evocano il folk del Neil Young di After the gold rush Déjà vu di Crosby, Stills, Nash & Young; la voce i toni delicati di Elliot Smith e di Nick Drake. Non è una forzatura affermare che il modello stilistico del disco sia un mix tra questi due generi di folk – uno più elettrico, l’altro più intimista – ma Colapesce li supera, per approdare ad un pop maturo già all’esordio. È il caso di Satellite, da cui affiora vivido il carattere del cantautore siracusano. Le tastiere completano gli arpeggi sognanti della chitarra amplificandoli, la linea ritmica del basso e le voci di Colapesce e di Meg (ex 99 Posse) bussano alle porte del Mediterraneo.

 

Un meraviglioso declino, frontUn’altra cifra stilistica di Un meraviglioso declino è la tendenza a rallentare le pulsazioni della melodia nei momenti più intensi, evitando che la canzone si accasci a terra rantolando nella monotonia. L’esempio perfetto di quest’abilità è senza dubbio Oasi, brano dream pop che ricorda Bon Iver e fa da sfondo a un immaginario viaggio post lauream di due innamorati lungo un’autostrada siciliana «che sputa fuoco».  Sulla stessa onda navigano S’illumina, Restiamo in casa e la struggente Bogotà, l’unico pezzo dichiaratamente autobiografico, essendo dedicato al fratello da anni stabilitosi nella capitale colombiana. Fra questi pezzi s’incastrano con andamenti più sostenuti La zona rossa, Un giorno di festa  e Quando tutto diventò blu (non aspettatevi, comunque, schitarrate frenetiche).

 

In conclusione, risultano malamente calibrati tutti quei giudizi che la critica profonde su Colapesce, Dimartino, Levante, Carnesi etc. volendo unirli tutti in nome di un’unica grande scuola siciliana. Raggrupparli indistintamente vorrebbe dire – per ora – porre in secondo piano le peculiarità di singoli musicisti che stanno muovendo i primi passi per far risorgere il cantautorato italiano. Definire scuola una creatura appena nata, insomma, significherebbe degradare tutti questi sforzi al rango di semplici hobby autoreferenziali. Perché se è vero che «la storia non è un fiore da far morire nei margini dei libri di scuola» (I barbari), allora è bene interpretarla con nuovi innesti e assaggiarne i frutti. Nel nostro caso, ciò che è sicuro è che Lorenzo Urciullo decora i vestiti abbandonati da Lucio Dalla, Lucio Battisti e Franco Battiato con la sua speciale personalità, che promette un meraviglioso futuro.

Andrea Piasentini

Colapesce

 

 

 

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

2 Comments

  1. […] Non è comune, nella musica di oggi, trovare un disco capace di raccontarti una storia, con ogni traccia indissolubilmente legata alla precedente. Non è comune, e non è banale, sentir citare Cesare Pavese con maestria ed avere la possibilità, tramite la voce di un cantautore, di sentirsi parte di un viaggio. Dimartino ci è riuscito. Nel suo album Un paese ci vuole ha raccontato un viaggio. Il cantautore del palermitano, emigrato al nord, ci ha regalato un pezzo di Sicilia. […]

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