Cobain – Montage of Heck, un docufilm, un’opera, una fonte di guadagno o forse solo una necessità. Questa necessità di fissare con immagini e suoni, ancora una volta miscelate, il volto di un uomo, forse meglio dire un ragazzo, che ha cambiato la musica. Il fenomeno mediatico, il padre, il cantante, il relitto umano, la sofferenza, l’eroina, le distorsioni, la necessità d’esprimersi, di trovare la quadratura ad un cerchio che continuava a girare, assomigliando ad una spirale che stringe con forza costante e soffoca la vita, quella leggera speranza tutta riposta in sei corde e un urlo continuo, un lamento straziante pulsante di vita, di una grande consapevolezza mutuata da un grande mito d’infanzia e non solo: «Meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente». Chi ha pronunciato queste parole se ne è pentito, ne ha sofferto, perché hanno significato solamente lo spegnersi di un sogno, di una fiammella pura, talmente pura da essere manipolata, sfruttata, consumata, svuotata da un mondo odiato, profondamente incompreso, perché non c’è speranza di comprensione se i linguaggi parlati non si rassomigliano, se non c’è tentativo di capirsi.
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Milioni di persone e una donna, una donna in milioni di persone, milioni di persone in una donna hanno posato una cupola di vetro su questa candela ardente, ne hanno così privato il rifornimento di ossigeno e così si è spenta, nemmeno ad un terzo della sua durata. Un evento atteso, sperato, dimenticato, ma alla fine sorto dalle ceneri del nulla. Un susseguirsi di immagini, animazioni, parole, musica e testi, ma una sola domanda: «che cosa volete?». La risposta: «prenderemo tutto di te, ti divoreremo e ti lasceremo lì, agonizzante, solo». Tua sorella parla di te, tua madre, tuo padre e la tua matrigna – troppo simili ad un personaggio lynchiano, non persone, caricature di se stessi -, tua moglie; ti definiscono un bambino pieno di vita, ma introverso e fragile; un bambino iperattivo da fermare e da calmare, perché la società vuole soldatini. E tu non lo sei. Intanto risuona Territorial Pissing, un urlo amaro:
«Come on people now, smile on your brother and everybody get together, try to love one another right now. When I was an alien, cultures weren’t opinions. Gotta find a way, to find a way, when I’m here, gotta find a way – a better way – I had better wait; never met a wise man, if so it’s a woman».
Sì, potrebbe essere una donna, forse tua madre, dalla quale sei stato separato, forse è stato il vero uomo che in qualche modo ti ha cresciuto. Tua madre era troppo giovane, tuo padre non era pronto, il matrimonio è fallito; hanno fallito. Volevi esprimerti, ma la moda e la società non te lo permettevano, allora disegnavi, iniziavi a suonare; mancino suonavi con una chitarra da destro, tutto più difficile, come un tuo quasi-concittadino, ma alla fine riposate sotto la stessa terra, dipartiti alla stessa età. Una storia strana per un mondo strano, nato, cresciuto e scomparso come hai fatto tu. Eri difficile da gestire, volevi stare con tua madre. Speravi ti capisse. Nessuno ti capiva, allora suonavi e guardavi la televisione, il mondo era complesso e nessuno ti aiutava a capirlo, ti raccontavano un sacco di bugie, erano tutte scuse per non occuparsi di te – intanto un carillon sussurra con leggerezza All Apologies:
«What else should I be
All apologies
What else should I say
Everyone is gay
What else should I write
I don’t have the right
What else should I be
All apologies.»
La scuola, chiara formatrice di soldatini, non faceva per te; soggetto a bullismo, picchiato, derubato, non capito, preso in giro: non era il tuo mondo, lo abbandoni al secondo anno delle superiori. Sono gli anni in cui la musica inizia a diventare il tuo unico mezzo espressivo, senza di essa scompariresti, «il punk-rock è libertà».
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Aberdeen non è Seattle, bisogna sgomitare di più farsi vedere, urlare più forte degli altri, Buzz Osbourne ti è vicino, è un amico, ti capisce, non sei solo, ma solamente alla ricerca di te stesso, della tua libertà. Fondi la tua prima e unica band con un ragazzone che ti starà accanto sempre, fino al tuo ultimo giorno, lui non riesce a trovare le scarpe, ha i piedi grossi, tu non riesci a trovare una forma, sei troppo grande per qualsiasi etichetta che ti si possa applicare. Le tue urla straziano il mondo, straziano te e le tue braccia, il tuo fegato, il tuo corpo. Il tuo nome, il nome della tua band crescono sempre più, ormai tutti parlano di te, ma tu vuoi silenzio, non vuoi altri genitori, non vuoi altre delusioni. Allora ti sposi, vuoi una vita e una famiglia vera, non vuoi fallire come ha fatto tuo padre, non sarai mai tuo padre, sarai te stesso. Sei alla ricerca dell’amore, perché quello completa gli uomini, quello li rende liberi; lo trovi, forse. Il tuo mal di stomaco aumenta, soffri troppo, vuoi morire, non sopporti più il mondo, il dolore e la routine, non sopporti una moglie che vuole essere te, il suo rumore – Love Buzz:
«Would you believe me when I tell you
You’re the queen of my heart
Please don’t deceive me when I hurt you
Just ain’t the way it seems
Can you feel my love buzz?»
Tu suoni per quelli che come te soffrono, sono emarginati, non si sentono parte di questo mondo egoista e divoratore; alla fine non lo sai o non vuoi ammetterlo, ma sei uguale al tuo amico e rivale Eddie Vedder, parlate ad un mondo che ha perso, ad un mondo di persone vere. Il dolore è troppo, l’oppressione supera ogni limite. Pochi anni in giro per il mondo, suoni all’impazzata, i live ti fanno sentire vivo, pieno di energia, carico, ma poi torna la vita vera, quella che ti opprime, i fotografi, i giornalisti; tu non vuoi essere una rock-star, tu vuoi solo esprimerti. Le tue ultime note suonate, un urlo straziantemente bello in cerca di pace, una canzone tradizionale di quel paese che tanto hai odiato e che tanto ti ha odiato, riadattata pochi anni prima con il tuo amico Mark Lanegan, una domanda rivolta alla donna della tua vita, la libertà: «where did you sleep last night?»
«My girl, my girl, don’t lie to me
Tell me where did you sleep last night
in the pines, in the pines
Where the sun don’t ever shine
I would shiver the whole night through
My girl, my girl, where will you go
I’m going where the cold wind blows».
Risuona ancora la tua voce insieme a quel colpo di fucile e continuerà a farlo. Non sei un mito, non sei nulla o forse sei tutto. Ma tu chi sei? Lo annunci con voce di bambino all’inizio di questo viaggio, questa opera davvero unica, «who are you?» «I am Kurt Cobain».
Cobain – Montage of Heck è questo, la tua vita, la tua storia, un’opera davvero unica, che non ha prezzo. Va visto, perché lì ci sei tu e molto altro, c’è la storia di un mondo, c’è la storia. Un’opera d’arte su uno dei diamanti pazzi che il mondo ci ha regalato. Assolutamente da vedere: la sala del cinema gremita in un silenzio magico, che lascia risuonare l’essenza di un uomo: la sua musica.