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La Cina nell’Antropocene

dalla newsletter n. 38 - aprile 2024

2 minuti di lettura

Un recente viaggio in Cina ha suscitato in chi scrive un ripensamento delle questioni centrali del dibattito ambientale, in particolare riguardo alle due rubriche della tecnosfera e del Capitalocene. Il primo dato da cui siamo stati costretti a ripartire è la “noosfera” o “infosfera”. La digitalizzazione della vita che caratterizza la quotidianità pechinese rende arduo pagare, muoversi in città o comunicare senza uno smartphone su cui siano installate specifiche applicazioni cinesi. Le banconote sono oramai desuete tanto che addirittura i venditori ambulanti sono passati ai codici QR, mentre i taxi arrivano soltanto se ordinati con il cellulare. La situazione diviene paradossale per uno straniero perché la dipendenza digitale del mondo sociale si accompagna all’impossibilità di utilizzare la maggior parte delle applicazioni in uso da noi (a partire da Google a WhatsApp) e, in molti casi, delle carte di credito per noi più comuni. Ci si trova immersi in un circuito altamente integrato senza esservi integrati. I nostri account e siti di informazione abituali sono per lo più oscurati. In definitiva, gli algoritmi scandiscono la quotidianità potenziandola e depotenziandola ad un tempo. Si è presentata ai nostri occhi alieni una potente infosfera la quale invita a ripensarne la sua funzione nel contesto generale dei ritmi e della gestione dell’Antropocene. In secondo luogo, l’inquinamento dell’aria. È raccomandabile indossare mascherine per proteggersi dallo smog se non piove o soffia il vento per qualche giorno. L’irrespirabilità dell’aria non pare però una conseguenza del traffico, in quanto il parco auto di questa metropoli asiatica è moderno, un’alta percentuale di automobili sono elettriche, i trasporti pubblici lo sono nella quasi interezza, oltre ad essere efficienti e abbordabili per i cittadini. La gente si sposta in massa anche con bici e motorini elettrici noleggiabili. Per molti versi la “transazione ecologica” cinese, nella sua veste tecnologica, sembra più avanzata che da noi. Mentre però in Europa tale concetto si sposa con una logica capitalistica volta a delegare allo sviluppo tecnologico la sostenibilità del consumismo capitalistico e il discorso dominante è tutto incentrato su consumi e comportamenti individuali, come comprendere la transizione cinese? Si colloca al di fuori dalla logica di accumulazione del capitale?

La leadership comunista del paese suggerisce che l’analisi debba essere impostata in termini differenti, qui, riguardo al ruolo che il capitale svolge nella distruzione dell’ecosistema planetario. La critica del capitalocene e del capitalismo fossile ci ha abituati a legare l’imperativo della massimizzazione del profitto alla combustione fossile industriale. Sotto il segno di questo nesso si è articolata un’acuta critica dell’estrattivismo, in particolare dell’estrazione di petrolio, carbone e gas quali fonti energetiche. Ma l’inquinamento atmosferico di Pechino ci pone di fronte all’enigma della sua origine in un contesto dichiaratamente estraneo al capitalismo. Si tratta di uno scollamento tra ideologia e realtà economica? Oppure la CO2 cinese è un dato che rafforza i critici dei critici del capitale, secondo i quali la devastazione ambientale non va imputata al capitalismo più che ad altre formazioni sociali e sistemi econ…

Giovanni Fava

25 anni; filosofia, Antropocene, geologia. Perlopiù passeggio in montagna.

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