Nel termine greco agoràzein c’è una grande verità che rimanda proprio all’atto di passeggiare per la piazza, a braccetto con gli amici, per discutere del più e del meno, dalla politica allo sport, dell’argomento del giorno, dei fatti nostri e di quelli degli altri. Atto che si adatta perfettamente al girovagare insito nella fotografia e che nasce dalla lontana consuetudine di Socrate di alzarsi presto per passeggiare con i suoi allievi tra le strade e le piazze, come se tra quelle vie si trovassero le risposte tanto cercate. Discutendo e fermandosi a guardare le stelle, è il suo costante passeggiare a diventare testimonianza, una testimonianza che custodisce l’essenziale semplicemente girovagando.
Parlare di Grecia oggi è come immergersi in una nebulosa di termini fuorvianti che diventano facilmente catastrofici: disastro, crisi, depressione, tensione e ancora scontri, resistenza, referendum e accordi. Tutte queste parole, che hanno un origine greca, oggi deviano il pensiero comune semplicemente ridondando da una testata giornalistica all’altra o da un canale televisivo a quello successivo. Così la crisi greca, che da anni fa parte della nostra vita quotidiana, diventa talvolta di difficile comprensione.
«La situazione in Grecia è tutto fuorché tranquilla e la tensione è palpabile, ma non c’è stato alcun panico. Se avete sentito trambusto e rumore, è solo il suono di un popolo che si erge titanico e si prepara a scontrarsi con la storia».
È questo il popolo più vicino all’idea di Grecia antica, che sa di resistenza più che di paura. Allora chi meglio di un greco, di origine e nostro contemporaneo, può sapere com’è vivere la Grecia di oggi? Chi meglio di un fotografo greco, può riuscire a trasmettere cos’è la cultura oggi tra le vie di Atene o quelle del Piraeus?
La storia di Christos Kapatos, inizia e continua proprio nel Pireo, sa di cultura greca e rughe quotidiane, racconta con le sue immagini storie chiuse nei locali, nei negozi o libere di camminare per strada. La Grecia che viene da lui dipinta ha una luce abbagliante e gioca con le ombre, nascondendo dentro di sé una grande voglia di rivincita.
La fine del 2011 e il pieno della crisi economica segnano per Christos Kapatos un cambiamento che lo vede stravolgere la propria vita, a costo di lasciare per sempre la sua carriera nel mondo dell’imprenditoria.
Lo stress pressante lo porta al cambiamento e a sacrificare la propria indipendenza, economica e personale, lasciando nel dimenticatoio la vita agiata. Lascia il superfluo, l’inutile e l’inutilizzato, ritorna a vivere nella casa insieme ai genitori con la sua fidanzata, per cercare di reinventare un nuovo modello di coabitazione. Questa nuova vita inizia per Christos proprio per riuscire a staccarsi dall’ansia, dalle preoccupazioni, dalle frustrazioni e si rivela il modo migliore per tenere viva la speranza. Così piano piano trova nel suo nuovo stile di vita l’essenziale fatto di amore, cura, assistenza e solidarietà, scoprendo che la propria idea personale di famiglia, può funzionare.
Intanto Christos Kapatos descrive ciò che vede e tra i suoi lavori, la Grecia è il filo rosso che tiene unite le storie. Nel progetto Athens la voce e gli sguardi dei cittadini si fondono con una Grecia che va avanti, inesorabilmente, passo dopo passo. Sulle ombre di quella che fu la Magna Grecia che ci ha donato tanto e che oggi trova la sua rivincita proprio nella vita quotidiana.
Guardando queste immagini dobbiamo dimenticarci la Grecia da cartolina e anche quella da turista take-away. La Grecia che si respira qui ha un profumo di consuetudine e di routine, che non sembra mai banalizzata. Liberiamo anche la mente dai preconcetti, derivanti dal terrorismo mediatico, che ogni giorno passano sotto i nostri occhi, ormai increduli.
Guardare un popolo negli occhi, è questo che ci permette di fare Christos Kapatos. Un popolo descritto – da chi greco è nato e cresciuto – per chi combatte, per chi si ribella anche per noi; perché passato il momento dell’euforia si continua a lottare per strada, per rimanere svegli.
«Questa signora, alta approssimativamente quattro piedi, la osservavo dal mirino prima di scattare e la vidi fumare. Letteralmente succhiare la sigaretta. Dovevo assolutamente scattarle una fotografia e il momento giusto fu quando, accecata dal fumo, mi perse di vista. In questa fotografia amo come i fili stradali e come si incastrino i segnali di divieto e il semaforo rosso con il soggetto. Ho cercato di rappresentare questa signora immersa nella pazzia urbana, ma con una certa maestosità».
Christos Kapatos
Sempre intorno al 2011, il padre Antonis si ammala, soffre di una serie di ictus – a distanza di cinque, sei mesi uno dall’altro – che gli lasciano in eredità l’incapacità di parlare e di fare alcuni movimenti.
«Mia madre e io siamo le uniche persone che capiscono cosa dice, e neanche sempre».
Antonis trova un modo di comunicare attraverso la scrittura, ma è nel 2012 che riesce a trovare le parole giuste negli occhi di suo figlio, che inizia a registrare la sua vita e la loro vita insieme. Da qui nasce il Diario per la voce di Antonis in una serie di fotografie intime e determinate, dove le parole diventano essenziali e nello stesso tempo inutili.
Con i suoi scatti, Christos Kapatos si presenta nel gruppo di lavoro denominato Depression Era, un collettivo composto da ricercatori, fotografi, artisti, scrittori, architetti e giornalisti che, formatosi intorno al 2011, prende ispirazione dal programma fotografico Farm Security Administration, istituito dal presidente Franklin Delano Roosevelt nel 1937 per catturare l’impatto della Grande Depressione sulla popolazione americana.
Depression Era è rappresentazione dell’oggi, un progetto che trasforma la crisi greca in uno stato d’essere planetario e Christos, con le sue immagini cariche di semplicità e impregnate di forza, si inserisce perfettamente in quest’ottica.
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