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Cento anni di Mario Merz: l’Arte Povera e l’Eterno

Dal neon agli igloo: il percorso artistico del maestro dell'Arte Povera attraverso materiali quotidiani trasformati in simboli universali.

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«L’Arte concettuale è uno strumento che suona tra parole stampate, scritte luminose e lettere scarabocchiate in una calligrafia frettolosa, nervosa, istintiva.» (Mario Merz)

Il 1° gennaio 2025 ricorre il centenario della nascita di Mario Merz, artista visionario e figura cardine dell’Arte Povera. La sua opera, caratterizzata da una straordinaria capacità di trasformare materiali quotidiani in simboli universali, ha segnato profondamente il panorama artistico del XX secolo.

Un inizio tra guerra e arte

Nato a Milano nel 1925, Mario Merz trascorre la maggior parte della sua vita a Torino. Le architetture industriali del capoluogo piemontese hanno un impatto sulla sua sensibilità artistica, spingendolo allo studio per i temi della trasformazione e del lavoro umano. Durante la Seconda guerra mondiale, Mario Merz viene arrestato per aver preso parte ad attività antifasciste: è proprio il periodo di detenzione il punto di svolta della sua carriera di artista. Durante la prigionia, Mario Merz conosce Luciano Pistoi, che dopo la guerra diventerà il suo gallerista, e comincia a disegnare. Le sue sperimentazioni artistiche lo portano, una volta terminata la detenzione, ad abbandonare gli studi di medicina per dedicarsi unicamente all’arte.

«Ho preso un pezzetto di carta e una matita e sono andato nel bosco, lontano da casa, lontano da tutti, a fare, a disegnare, perché mi dicevo: l’arte deve diventare il messaggio nuovo.» (Mario Merz)

Negli anni successivi, Mario Merz si affermerà come una delle figure più significative dell’Arte Povera. La sua arte è una sintesi tra il mondo naturale e quello creato dall’uomo, la creazione non solo di un prodotto ma di uno Spazio dove fare ed essere Arte.

Le sperimentazioni con il neon

Nel 1966 Mario Merz realizza le prime installazioni in cui vengono impiegati tubolari al neon che escono, entrano e si intersecano con grandi tele bianche sagomate unite a triangolo. Mario Merz comincia ad utilizzare il neon inserendolo letteralmente negli oggetti della vita quotidiana: attraverso un bicchiere, una bottiglia, un ombrello, un impermeabile, ed infine posizionato su un piedistallo o appeso a parete. L’impiego del neon nell’arte contemporanea non è certo una novità nel 1966: risale a più di dieci anni prima la struttura al neon di Lucio Fontana costruita in occasione della IX edizione della Triennale di Milano. Oltreoceano, dai primi anni Sessanta artisti come Bruce Nauman e Dan Flavin ricorrono quasi esclusivamente al neon nella loro pratica artistica.

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Mario Merz, L’horizont de lumière traverse notre verticale du jour, 1995 – Foto di Renato Ghiazza

Il neon non è un materiale nuovo, ma il modo in cui Mario Merz lo impiega è un passaggio fondamentale per comprendere ciò che vuole comunicare con il suo fare arte. Per Mario Merz si tratta di energia intubata, è un fascio di potenza che attiva oggetti inanimati. L’oggetto del neon, con un processo quasi dadaista, annulla l’oggetto nella sua funzionalità del quotidiano. Tuttavia, al contrario del pensiero dadaista, in Mario Merz non c’è una volontà ironica o critica della società nell’impiego di questa tecnica. La sua è volontà di creare un’azione energetica, di fulminare un corpo e dargli vita.

«Merz violenta gli oggetti e il reale con il neon. Il suo è un inchiodare drammatico, che atterrisce. È un continuo sacrificio dell’oggetto banale e quotidiano quasi novello cristo (il culto dell’oggetto è una nuova “religio”). Trovato il chiodo, Merz da buon filisteo del sistema crocifigge il mondo.» (Germano Celant – Arte povera. Appunti per una guerriglia)

Gli igloo, simboli di un’arte universale

Gli igloo di Mario Merz, oltre a costituire l’installazione manifesto dell’Arte Povera, costituiscono le opere più celebri ed iconiche dell’artista. Nascono come strutture semisferiche realizzate con i materiali più differenti – dalla pietra più solida e spessa, alla sottile lastra di vetro fino al pane, materiale fragile e soprattutto degradabile. Il primo igloo, denominato Igloo di Giap, risale al 1968. È realizzato da uno scheletro tubolare metallico su cui sono posizionati dei panetti di argilla ricoperti di plastica. Lungo la superficie semisferica si avvoltola una scritta al neon «Se il nemico si concentra perde terreno se si disperde perde forza Giap», la celebre frase del generale vietnamita Võ Nguyên Giáp. La prima e più diretta interpretazione dell’opera rende l’Igloo di Giap un simbolo rivoluzionario, una denuncia delle atrocità della guerra del Vietnam. Ma dietro a tutti gli igloo di Mario Merz si nasconde anche un secondo concetto assoluto e filosofico: la volontà di creare uno spazio di libero pensiero, un invito a riflettere sulla connessione tra uomo, natura e architettura. Nell’igloo, lo spazio del “non angolo”, nulla è escluso.

L’ultimo igloo di Mario Merz risale al 2003 e si tratta di Numeri nel bosco, installazione permanente realizzata per la Salzburg Foundation. Su uno scheletro in acciaio inox, le prime ventuno unità della sequenza di Fibonacci – realizzate nuovamente in neon – racchiuse in scatole di plexiglass sono ordinate in ordine crescente dal basso verso l’alto. La sequenza di Fibonacci, altro elemento fondamentale nella produzione artistica di Mario Merz, rappresenta per l’artista l’espressione massima ed il codice assoluto di interpretazione della natura e della crescita organica. I numeri nel bosco crescono e si espandono verso l’alto, appesi come foglie ad un ramo: essi sono il simbolo della dinamica espansione della natura.

La Fondazione Merz

Dopo la sua scomparsa nel 2003, l’eredità di Mario Merz è stata custodita e valorizzata dalla Fondazione Merz, istituita nel 2005 a Torino negli spazi dell’ex centrale termica Officine Lancia, in Borgo San Paolo. La Fondazione è presieduta dalla figlia dell’artista, Beatrice Merz. Nell’ottobre 2024 la mostra Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola ha portato permanentemente negli spazi della Fondazione tre nuove opere: gli igloo di pietra argentina e di pane rispettivamente del 1997 e del 1989 e l’opera pittorica Geco in casa del 1983. Sempre nel 2024, Fondazione Merz ha realizzato il Catalogo ragionato degli Igloo di Mario Merz, il primo volume del lavoro artistico di Merz esclusivamente dedicato al corpus degli igloo.

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Mario Merz, Senza titolo (Foglie d’oro), 1997 – Foto Renato Ghiazza

«Tensione concentrazione da un lato, distensione e dispersione dall’altro. Sentirsi forti e al contempo ammettere la propria debolezza. Dobbiamo allenarci a essere flessibili, dobbiamo imparare ad agire contemporaneamente a diversi livelli, a sviluppare strategie di sopravvivenza. Verso la fine degli anni Sessanta avevamo speranze e utopie; quel che è rimasto sono le stesse letali contraddizioni all’interno della società, mentre le utopie sono sparite. Eppure per me l’Arte continua a essere una strategia di sopravvivenza… Probabilmente. E i miei igloo sono simbolo di questa volontà di sopravvivenza, con la loro forma assoluta come la cupola del cielo; sono un riparo elementare il ventre interno, o anche un’astronave.» (Mario Merz)

In copertina: Ritratto fotografico di Mario Merz, Documenta 7, Kassel, 1982 – Foto di Nanda Lanfranco

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Clarissa Virgilio

Studentessa di lingue e letterature europee ed extraeuropee a Milano, classe 2001. Durante gli anni della triennale di lingue, ho seguito un corso presso la NABA sulle pratiche curatoriali. Amo guardare ciò che ha qualcosa da dire, in qualsiasi lingua e forma.

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