Per i documenti importanti, occorre carta importante. Il Vaticano, nel redigere i documenti ufficiali, si serve di fogli di pregiatissima ed elegante fattura. Gli stessi fogli che molti artisti amanti dell’acquerello privilegiano per via della loro grana spessa, che assorbe i colori senza sbavature, o ancora che sono scelti, grazie alla loro durabilità, per gli inviti ai matrimoni, come augurio di eterna felicità. Sono i fogli di carta prodotti ad Amalfi, in Campania, attraverso secoli di tradizione.
La carta: brevi cenni storici
Le origini della carta risalgono al II secolo d.C., quando in Cina si iniziarono ad utilizzare le fibre di bambù e le cortecce di gelso per fabbricare un prodotto leggero e liscio, atto ad assorbire l’inchiostro e a trattenerlo – ma non solo, poiché i cinesi usavano la carta anche per vestirsi. L’invenzione ebbe successo e interessò progressivamente i giapponesi, gli arabi e gli egizi. In Europa, furono gli arabi a diffondere la carta. Tra le cartiere più rinomate, due si trovavano in Italia: Fabriano e Amalfi.
Nascita dell’industria della carta ad Amalfi
La carta arrivò ad Amalfi attraverso gli arabi intorno all’anno Mille, sostituendosi al papiro e alla pergamena. Le ragioni di questo cambio furono prettamente economiche: la produzione di carta era più veloce, più facile e meno costosa rispetto a quelle dei suoi antenati. Le cartiere erano spesso poste vicino ai corsi d’acqua per sfruttarne l’energia motrice, e Amalfi in questo non faceva eccezione: le sue cartiere costeggiavano il fiume Canneto, nella cosiddetta Valle dei Mulini. Questa collocazione, sebbene strategica, poteva rivelarsi fatale in caso di alluvioni, quando i detriti sporcavano l’acqua o, peggio, ingrossavano il fiume fino a farlo diventare un pericoloso torrente terroso. Comunque sia, Amalfi nel XVIII secolo arrivò a ospitare ben 13 cartiere, configurandosi come polo dell’industria cartaria italiana, insieme a Fabriano.
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La carta bambagina, il marchio di Amalfi
Oggi siamo abituati alla carta di cellulosa, ma l’utilizzo di questo polisaccaride vegetale nell’industria della carta è diventato prassi soltanto nel secolo scorso. Prima, invece, erano tessuti come il cotone, il lino e la canapa a fungere da base per l’impasto della carta. Ad Amalfi, la carta autoctona si chiamava bambagina, per via della sua composizione di fibre tessili che le donava una palpabile morbidezza. Nelle cartiere della città, una volta procurati gli stracci dai cenciaioli – i quali li racimolavano non solo in città, ma anche nei paesi limitrofi – ci si adoperava per sfibrarli con coltelli e forbici. Era essenziale, inoltre, rimuovere borchie e bottoni e persino sbiancarli.
L’impasto ottenuto dallo spappolamento degli stracci veniva versato in una grande vasca circolare, detta “tina”, dove il cartaro lo mescolava. Prelevata poi una parte di impasto, veniva posta in uno stampo rettangolare che gli conferiva la forma del foglio. Dei fili metallici imprimevano un logo, ovvero la filigrana, che marchiava l’originalità del lavoro artigiano.
Gli spandituri
Dopo aver preso la forma del foglio, la carta di Amalfi veniva trasferita negli spandituri, degli ampi locali finestrati nei piani superiori della cartiera, adibiti all’essiccazione. Una volta asciutta, la carta andava incontro al processo di collatura, durante il quale la si faceva bollire insieme agli scarti della concia del coniglio, con lo scopo di renderla più resistente e adatta alla scrittura. Fuori dal pentolone, la si pressava nuovamente e la si rimetteva ad asciugare.
La carta di Amalfi e l’industrializzazione
Giunse il XIX secolo e, con esso, l’industrializzazione, il commercio globale e, come abbiamo già detto, la cellulosa. Le cartiere amalfitane iniziarono a soffrire e ad arrancare per rimanere al passo con i tempi. Ben presto, quella che prima era una collocazione strategica, come la Valle dei Mulini, adesso era un luogo impraticabile, difficile da collegare con la rete stradale e ferroviaria. La dipendenza dall’acqua era un altro punto debole: alluvioni e siccità erano pericoli sempre dietro l’angolo – nel 1954, infatti, un’alluvione devastò la città e distrusse numerose cartiere. Infine, i macchinari erano ormai antiquati e l’approvvigionamento delle materie prime sempre più difficoltoso.
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Della moltitudine di cartiere che un tempo costellavano Amalfi, oggi ne rimane una piccolissima parte. La famiglia Milano decise di trasformare la propria in un museo della carta, mentre la Amatruda è tuttora fieramente in funzione.
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