Che la Francia sappia fare le rivoluzioni è noto dal 1789. Un popolo fiero, combattivo capace di rivoltare come un calzino monarchie, dittature, governi. La forza la fa il gruppo, ci insegna, non il singolo: e lo stiamo capendo in questi giorni osservando la forza delle immagini che ci arrivano da Parigi e da tutte le principali città d’Oltralpe, in rivolta contro il governo e contro il Presidente Macron a causa dei tentativi di modifica della Legge sulle pensioni, che prevede di spostare l’asticella del pensionamento da 62 a 64 anni.
A rendere possibile questo cambiamento così mal digerito è stato non il voto del Parlamento, bensì una eccezione contenuta nella Costituzione francese che, in casi straordinari, permette al governo di promulgare una legge senza passare dal voto dell’Assemblea Nazionale. Tutto appeso a un filo, compresa l’agibilità politica del Presidente che ora è costretto a fare i conti con malcontento e proteste dentro e fuori dal Parlamento.
Il voto in aula e la scelta del 49.3
Il mese di marzo in Francia è stato caratterizzato dal dibattito sulla riforma delle pensioni, in francese Réforme des retraites. Il punto principale della riforma è l’innalzamento dell’età minima per la pensione da 62 a 64 anni. Le ragioni di tal innalzamento sono dovute alla situazione sociale ed economica post-Covid che ha spinto il governo ad una scelta tanto radicale quanto impopolare. Negli ultimi mesi lo spettro della bancarotta del Paese è stato costantemente brandito dall’esecutivo, durante i dibattiti in Parlamento o nelle trattative con l’opposizione. «È riforma o bancarotta!», ha ripetuto per tutto l’inverno il ministro delegato ai Conti pubblici, Gabriel Attal, promettendo, se necessario, non meno di «500 miliardi di debito aggiuntivo».
L’iter di approvazione della riforma ha avuto una accelerata nelle ultime due settimane: le ragioni, spiegate da Macron stesso, sono legate a «rischi finanziari ed economici troppo grandi» in caso di rigetto della legge in aula.
Je considère qu’en l’état, les risques financiers, économiques sont trop grands.
Il primo voto in aula della contestatissima legge è avvenuto il 9 marzo, al Senato. Con 201 voti favorevoli e 115 contrari, i senatori hanno dato il via libera approvando l’articolo chiave della riforma. La legge, però, non è mai arrivata in votazione ai parlamentari dell’Assemblea Nazionale, il più importante dei due rami del parlamento francese. Ad approvarla è stato direttamente il governo di Élisabeth Borne grazie ad un escamotage costituzionale che prende il nome di 49.3 (è l’articolo 49, comma 3 della Costituzione francese), e permette di approvare una legge senza che questa passi dall’Assemblea Nazionale, bensì dal Consiglio dei ministri. Come ricostruisce Il Post,
Il ricorso al comma 3 dell’articolo 49 era una delle opzioni possibili a disposizione del governo per far passare la riforma, ma veniva considerata politicamente la più estrema. […] Il ricorso al 49.3 non è così inusuale nella storia repubblicana francese: dal 1958 è stato utilizzato 89 volte, ma raramente negli ultimi due decenni, quando le maggioranze parlamentari erano state più solide, e quasi mai per una riforma così importante, o al centro di un dibattito pubblico tanto animato.
Le proteste in piazza
Da quando il governo ha approvato la legge con il 49.3 (era il 16 marzo, ndr), la situazione è peggiorata, acuendo le manifestazioni di piazza che già erano cominciate durante l’iter di discussione parlamentare. A scioperare con percentuali talmente alte da mettere in crisi il normale svolgimento delle città sono soprattutto gli operatori ecologici e i distributori di benzina, supportati dalle principali sigle sindacali del Paese ma anche da una nutrita fetta dell’opinione pubblica. Particolarmente emblematiche in queste ore sono le foto delle strade francesi sepolte da sacchi della spazzatura.
Gli scioperi in molte aziende sono massici e con percentuali record: vanno avanti nonostante le considerevoli somme di denaro che ogni lavoratore perde ogni giorno incrociando le braccia. A darci un’idea del prezzo della protesta è stato Michele Serra, che in uno dei suoi ultimi pezzi ha menzionato il caso di manifestanti che “rinunciano” a salari di 104 euro al giorno pur di mantenere il punto. A Ivry-sur-Seine, il più grande dei tre siti di incenerimento di Syctom, ad esempio, a scioperare è stato circa il 95% dei dipendenti. A macchia di leopardo scioperi del genere si stanno svolgendo praticamente ovunque paralizzando i centri urbani. A Parigi, venerdì 17 marzo era stata ufficialmente superata la soglia delle 10.000 tonnellate di rifiuti non raccolti.
E adesso che succede?
All’indomani dell’approvazione della riforma con il 49.3 le opposizioni hanno presentato due mozioni di sfiducia al governo. Lunedì 20 il governo le ha superate entrambe, seppur con un risicato margine (9 voti). Il voto parlamentare di lunedì ha quindi completato, almeno sulla carta, il percorso della riforma, che ora dovrebbe essere promulgata dal Presidente e diventare definitiva.
Tutto finito? Non esattamente. La protesta sembra infatti non placarsi: manifestazioni sono in corso in queste lunghe giornate e una nuova mobilitazione generale è stata annunciata dalle opposizioni e dai sindacati per oggi, giovedì 23 marzo. A scendere in piazza sono lavoratori, ma anche studenti, docenti ed attivisti: i luoghi simbolo della contestazione sono quelli prossimi all’Assemblea Nazionale, una fra tutti Place Vauban a Parigi, ma episodi di protesta, cortei, blocchi stradali e sit-in si stanno svolgendo in tutta la Francia. Come ricostruiscono i principali quotidiani francesi, lo scontro si sta facendo anche più aggressivo e violento: in rete stanno circolando video di episodi di violenza che coinvolgono manifestanti e forze dell’ordine. Lunedì sera 287 persone, di cui 234 a Parigi, sono state arrestate durante le proteste.
Le sigle sindacali intanto promettono mobilitazioni mirate e scioperi a rotazione. La CGT-Energie (Federazione nazionale delle miniere e dell’energia della Confederazione generale del lavoro, FNME-CGT), ad esempio, tramite il segretario generale della FNME-CGT, Sébastien Menesplier, durante una visita al picchetto della centrale nucleare di Gravelines, martedì mattina, ha dichiarato che «dimostreremo loro che siamo mobilitati e determinati. La rabbia è grande».
C’è movimento anche sul fronte legislativo e normativo. Il Consiglio costituzionale deve pronunciarsi sulla Réforme des retraites entro un mese. «Tuttavia, su richiesta del governo, in caso di emergenza, tale termine è ridotto a otto giorni», precisa l’articolo 61 della Costituzione. Nessun dettaglio è stato fornito dall’esecutivo sulla possibile “emergenza”. Le opposizioni e i cittadini contrari alla legge nel taschino avrebbero un’altra arma, seppur più complessa e con tempi ben più lunghi: il referendum abrogativo di iniziativa popolare. La richiesta (in francese, RIP) su iniziativa della sinistra per contestare la riforma delle pensioni, è stata sottoposta lunedì al Consiglio costituzionale, il quale ne esaminerà prima l’ammissibilità. L’hanno presentata circa 250 tra parlamentari, deputati e senatori. In caso di risposta affermativa, potrebbe effettivamente iniziare la raccolta firme dei cittadini, nel tentativo di raggiungere un decimo dei votanti, ovvero 4,87 milioni di firme, entro nove mesi.
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Fare i conti con la “scienza della felicità”
L’economista Philippe Moati dalle colonne di Le Monde spiega come le proteste di queste ultime settimane abbiano aperto in Francia una riflessione collettiva sul posto che il tempo libero dovrebbe avere nell’arco dell’intera vita. Su questo insistono anche i manifestati: per i lavori usuranti – quella categoria che si sente maggiormente toccata dalla riforma – si stima una aspettativa di vita di dieci anni in meno rispetto alla media. Un recente studio INSEE basato sui dati Eurobarometro raccolti dal 1975 ha osservato come la sensazione di benessere cambia man mano che le persone invecchiano monitorando le generazioni successive. La sensazione di benessere raggiunge il picco tra i 60 ei 69 anni. I motivi di questo “picco di felicità” in un’età che più o meno coincide con la pensione sono tanti, ma hanno a che fare con il tempo libero in più che segna la fine della vita lavorativa, mentre in generale siamo ancora in buona salute.
Ecco, la riforma delle pensioni, vista con questa lente, ruba anni di felicità proprio quando la meta è dietro l’angolo. E poco importa se nel suo piano di attuazione si calcola una entrata a pieno regime solo nel 2030: la frittata è fatta, l’ingiustizia è percepita. Lo spiega bene Giovanna Botteri, inviata della Rai a Parigi, che alle “Parole” di Gramellini ricostruisce lo spirito della piazza:
Ci hanno detto per 50 anni che bisognava lavorare, lavorare, lavorare duro, far carriera. Ti dicono che dipendi dal lavoro che fai, dalla forza del lavoro, dai soldi e così via. Poi improvvisamente oggi in piazza e nelle strade si sente qualcos’altro: che c’è una vita oltre al lavoro e bisogna rivendicarla.
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