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Capire la vittoria di Lula

Lo scorso 30 ottobre Lula si è conquistato il prossimo mandato e ha realizzato le speranze di chi, in Brasile e nello scenario internazionale, temeva altri quattro anni con Bolsonaro alla guida del paese.

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Il 30 ottobre Ignacio Lula Da Silva ha sconfitto il suo rivale Jair Bolsonaro alle presidenziali brasiliane. Una maggioranza risicata: il 50.9% contro il 49.1% del presidente in carica. Così si è conquistato il prossimo mandato e ha realizzato le speranze di chi, in Brasile e nello scenario internazionale, temeva altri quattro anni con Bolsonaro alla guida del paese.

In molti erano preoccupati riguardo alle potenziali reazioni dell’ex-militare di fronte alla sconfitta, il quale invece ha dichiarato di rispettare la Costituzione e ha dato l’assenso all’inizio della transizione dei poteri. Eppure durante la campagna elettorale Jair Bolsonaro si è speso in dichiarazioni minacciose in cui sosteneva che non avrebbe lasciato il suo posto e in insinuazioni sull’inaffidabilità del sistema elettronico di voto. I disordini comunque non sono mancati: i supporter di Bolsonaro non hanno tardato a scendere in piazza e bloccare le strade per opporsi a una cosiddetta “elezione rubata”, ma non è stato per ora raggiunto l’apice di violenza e caos che si temeva.

Ivan Grozny Compasso, autore del libro Quando c’era Lula… e reporter che ha speso anni nelle metropoli così come negli angoli più remoti del Brasile, documentando le grandi manifestazioni e le lotte sociali dal 2011 ad oggi, commenta così gli avvenimenti della scorsa settimana:

Secondo me la violenza vera non si è ancora vista: quando si parla di Brasile questo non è niente. Ma non si può escludere che avvenga. Il fatto è che Bolsonaro è vicino a un mondo tradizionalista, ultracattolico, un mondo che ha forti legami con i militari. C’è tanta gente in Brasile ancora oggi che ha nostalgia di quello che erano gli anni ’60, ’70 e ’80, gli anni del regime. Per tante persone chi protesta contro le autorità e per la giustizia sociale non ha ragione e non ha diritti. Nelle manifestazioni di settimana scorsa si è sottolineato il ruolo dei camionisti. In Brasile come in quasi tutte le Americhe i camionisti non sono “operai”, bensì sono liberi professionisti legati ai fazendeiros, cioè ai proprietari terrieri. Nel prologo del libro presento due personaggi: due persone diverse per tanti aspetti che prevedono delle cose che oggi stiamo vedendo. Angelo ha scelto di lasciare la favela di Rio in cui viveva e di andare ad abitare in un’isola molto piccola, per non rischiare di finire coinvolto nella violenza che secondo lui si sarebbe sicuramente scatenata, durante la campagna elettorale o dopo il voto. E così è andata. Augusto invece è un avvocato per i diritti umani, fa politica da quando era ragazzino ed è dentro al PT bahiano. Chiaramente lui racconta una Bahia che sta quasi tutta dalla parte di Lula, ma la Bahia non è l’intero Brasile.

I punti chiave della campagna elettorale di Lula hanno fatto leva esattamente sulla minaccia alla democrazia rappresentata dal presidente in carica, sull’opposizione all’ideologia razzista e misogina dell’avversario e sulla rivendicazione di ciò che di positivo dal 2003 al 2010 il PT ha fatto per le fasce più deboli della popolazione, in primis nell’ambito del sistema di sussidi Bolsa Familia. Negli ultimi quattro anni invece il paese ha visto, tra le altre cose, un tracollo aggravato dalla malagestione della pandemia da parte di un Bolsonaro No-Vax e l’aumento dei sussidi per la popolazione povera avvenuto a fini elettorali, articolato nel programma Auxilio Brazil che ha sostituito Bolsa Familia. Nonostante ciò Lula non ha stra-vinto.

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Commenta Ivan Compasso:

Se guardiamo il racconto europeo e italiano che è stato fatto fino a un mese fa ci accorgiamo che eravamo convinti della vittoria di Lula al primo turno. Oggi siamo di fronte a qualcosa che non comprendiamo, cioè il fatto che abbia vinto con uno scarto minuscolo. Ma l’errore l’abbiamo fatto prima. Io non so come si faccia a votare qualcuno come Bolsonaro… Ma c’è da dire che anche Lula ha delle responsabilità nel momento in cui ha perso il 15% dei voti. Quel 15% di elettori che hanno scelto di non votarlo mai più, anche se il rischio era la vittoria Bolsonaro, perché l’ha fatto? Io nel libro cerco di raccontare questo: racconto quel 15%. Per esempio le persone quando parlano di Lula e delle indagini di Lava Jato si fermano a dire che il processo era comandato, che il giudice che l’ha incriminato poi è diventato ministro eletto nelle liste di Bolsonaro. È tutto vero: Lava Jato era una montatura, la giustizia in Brasile non funziona… Tutto vero, ma da lì al fatto che non si siano fatti corrompere e comprare… L’hanno fatto. Quel 15% quindi è come l’elettorato italiano a cui chiedi: ma tu di fronte all’avanzare della destra, lo voteresti il PD? Trovi tanta gente in Italia che risponde no. Allora se c’è gente che dice di no in Italia, perché invece in Brasile dovrebbe essere per forza sì?

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Lula e Dilma Rousseff

Noi non ci rendiamo conto che Lula, perché anche Dilma Rousseff era il prolungamento di Lula, ha perso tanti supporters perché a un certo punto le sue scelte sono andate in contrasto con lo spirito che animava la sua prima campagna elettorale e il suo primo mandato. In Brasile ci sono duecento milioni di abitanti e di questi cento milioni sono super poveri. Durante il primo mandato di Lula questi cento milioni hanno avuto accesso a servizi, non è stato semplice introdurli e poi Bolsonaro li ha minacciati. All’inizio la Bolsa familia ha fatto fatica a funzionare perché la gente non sapeva come andare a ritirare i soldi, era gente che non aveva mai visto un banca. Il Lula di oggi però è completamente differente, non dobbiamo farci ingannare in questo senso. Altrimenti Lula avrebbe vinto con il 70%. Il problema del PT, e della politica in generale, è quello della rappresentatività. La rappresentatività è un limite, perché se non hai Lula chi candidi? Ma Lula ha 77 anni, può essere lui l’uomo della rinascita del socialismo latinoamericano? Lui è uno che ha scelto il capitale a un certo punto.

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I problemi del Brasile quindi ovviamente non nascono nel 2018. Quando c’era Lula spiega come ben più longevi rispetto all’ascesa di Bolsonaro siano lo stra-potere dei militari e delle forze di polizia, le lotte per la terra delle comunità rurali contro i grandi proprietari eredi del sistema coloniale, le rivendicazioni antirazziste della popolazione nera, la denuncia delle violenze nell’ambito della lotta ai narcos, attraverso cui le autorità trasformano le favelas in teatri di guerriglia urbana mentre parlano di “operazioni di pacificazione”.

Nel libro racconto un Brasile complicato, trecento pagine non sono abbastanza. Ho cercato di spiegarne più aspetti possibili con la chiave di due eventi inusuali: l’organizzazione di una Coppa del mondo e di un’Olimpiade. Perché c’è anche l’elemento che il Brasile era un paese talmente in rampa di lancio che si era candidato a organizzare tutto! È stato un periodo in cui il Brasile guardava alla grandeur, anche se Lula non userebbe mai una parola del genere. Per esempio una cosa che Lula contesta a Bolsonaro è che l’agenda internazionale è sparita dal Brasile e che il Brasile non esiste più a livello internazionale. Invece Lula voleva che il Brasile fosse protagonista nel mondo, il suo era il Brasile dei BRICS. Tutto ciò è anche una cosa bella, ma ha delle controindicazioni.

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Proteste contro la Coppa del Mondo, Rio de Janeiro

Nel libro racconto queste controindicazioni. Racconto le storie viste dal basso, per esempio le lotte dei sem terra, cioè delle persone che ancora oggi lottano per avere una riforma agraria. Oppure la questione della violenza, uno dei motivi per cui ho scritto il libro è raccontare le storie delle mamme i cui figli sono stati uccisi. C’è una storia che non ho raccontato, quella di Anamelia che ancora si illude che un giorno avrà giustizia. Suo figlio è stato investito in motocicletta da un giudice che guidava completamente ubriaco in un passaggio pedonale. Hanno rivoltato la questione e alla fine deciso che la sua stessa morte fosse colpa del figlio di Anamelia. Questa è la giustizia in Brasile, devi essere milionario per avere giustizia. Ovviamente in latinoamerica e in Brasile ci sono anche grandissime meraviglie, le persone sottovalutano e giocano su queste cose della musica, la samba, il pallone, le feste in spiaggia… Ma se tu osservi questi aspetti, ti dicono tutto di un paese. Il funky e il rap ti raccontano storie di prevaricazione e di gente incazzata, cantano delle canzoni che raccontano di contesti in cui ti sparano. Questo mentre Bolsonaro le armi voleva darle a tutti, facilitarne l’uso.

Francesca Campanini

Classe 1999. Bresciana di nascita e padovana d'adozione. Tra la passione per la filosofia da un lato e quella per la politica internazionale dall'altro, ci infilo in mezzo, quando si può, l'aspirazione a viaggiare e a non stare ferma mai.

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