«Cosa devo sapere per essere la prossima, grande pornostar?». Linnéa, in arte Bella Cherry (l’esordiente Sofia Kappel) lascia la sonnolenta Svezia per approdare a Los Angeles, il regno dell’hard, tra “industria”, latex e luci al neon. Esordio nel lungometraggio della regista e attivista Ninja Thyberg, Pleasure (su MUBI dal 17 giugno scorso) è un viaggio iniziatico al termine del “porno“, un tentativo di diffrazione della sua meccanica invisibile.
Intendiamoci: nessuna analisi è soltanto un referto. C’è la passione, il coinvolgimento, l’occhio fotografico che fissa e insieme occulta. È ciò che impone l’immaginario, zona dai confini labili, mai del tutto pacificati, che funziona un po’ come l’inconscio, tra la consapevolezza e la rimozione.
Così Pleasure, che del cinema per adulti scandaglia soprattutto lo sguardo e le proiezioni (rigorosamente maschili), interroga con acume gli schemi narrativi – il fetish, il BDSM, l’extreme – e i dispositivi dell’industria del porno, che prima di essere un business è un grande archivio di forme, temi, modi sedimentati nel tempo.
Thynberg, a lungo impegnata in manifestazioni anti-porno, ha compreso che il genere produce miti, racconti, interpretazioni della realtà. Inutile tentare, in questa prospettiva, di schiacciare l’osservazione sul modello documentaristico, pur rispettato a livello “laboratoriale” essendo l’opera frutto d’incontri con professionisti, di sopralluoghi sui set durati cinque anni. Lo stesso cast, ad eccezione di Kappell, è composto al 99% di addetti del settore, dai registi ai produttori, alle effettive star del porno: Chanel Preston, Axel Braun, Casey Calvert, Lance Hart.
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Pleasure, tuttavia, è qualcosa di più, perché intrattiene con il reale un rapporto complesso, riconducendolo a schemi preesistenti, mentre cerca un grado di universalità che procede della storia individuale, dalla parabola del singolo. Il percorso di Linnéa, allora, è insieme osservatorio sul porno e racconto di formazione, radiografia dell’industria made in USA e resoconto intimo di un fallimento.
Un nuovo A star is born, come è stato notato, più lucido e disincantato, in cui s’alternano predatori e sogni infranti, momenti di convivialità tra amiche (Linnéa divide l’appartamento con altre aspiranti attrici) e turni di lavoro intensi.
Quello che Ninja Thyberg opera, al di là dell’analisi-denuncia di un sistema produttivo patriarcale, è dunque un lavoro sull’immaginario, uno scandaglio di quelle formazioni (in)consce che portano nel discorso pubblico qualcosa di profondo, che non può essere esplicitato. Realtà e finzione, che la stessa azione registica mescola con dovizia, si alternano in un terreno “misto”, fatto di proiezioni ed aspettative indotte, chiamate a mostrare nel momento in cui si occulta, per conoscere ed esorcizzare.
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In tale prospettiva, Pleasure diviene il punto di coagulazione di immagini e corpi, di antiche dinamiche di possesso, di utopie e disincanto. La sintassi dell’immaginario è infatti simile a quella dei sogni: difettosa e inspiegabile. In tale prospettiva, il cinema hard si pone come un “contenitore” che ha le stesse forme di spostamento, rimozione, ricostruzione, condensazione; niente accade per la prima volta, nulla si propone in forma diretta.
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