Camille Monet gioca con un ventaglio, indossa un abito rosso e sorride scherzosa e ammiccante al compagno che la ritrae. Le larghe foglie che abbelliscono il kimono si perdono sinuose verso l’ampia ruota di seta ricamata da basso dove un samurai, quasi scolpito nella stoffa, sembra prendere vita in un gioco di rimandi tra l’ambiente e la posa della protagonista. I fili d’oro, resi con grazia analitica, posseggono quella consistenza particolare propria degli abiti esposti dietro una teca.
Sullo sfondo, quasi sospesi sulla parete tra il blu e il verde, diversi ventagli con forma e motivi diversi sembrano volteggiare come uccelli intorno alla graziosità del corpo di Camille. La lunga curva della schiena accompagna l’occhio dell’osservatore verso il pesante tappeto dal fitto decoro mentre la parrucca bionda, indossata con una certa affettazione dalla signora, conferisce a lei stessa i tratti talvolta inquietanti della geisha.
È l’opera di Claude Monet più “chiacchierata” in casa Durand-Ruel, il quadro che suscita le reazioni più appassionate nel corso della seconda mostra delle gruppo impressionista.
Ispirato alle xilografie giapponesi ed esplicitamente riecheggiante La donna con abito verde dello stesso Monet, il dipinto racchiude in sé la passione dell’artista per gli oggetti orientaleggianti e dà voce al crescente interesse del “movimento” per l’arte dell’Estremo Oriente. L’assenza di prospettiva, l’angolazione originale e la tendenza a far sfuggire le figure dalla tela sono elementi da cui gli impressionisti non potranno prescindere, cercando di mantenere sempre un approccio quanto più naturale.
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La giapponese, esposta da Monet al numero 11 di rue le Peletier nell’aprile 1876, segna il riavvicinamento dell’autore al tema figurativo, saltuariamente ripreso in vista di esposizioni importanti che avrebbero potuto esaltare le sue capacità. Proprio nel corso dell’importante mostra, il dipinto in questione – da cui successivamente prenderà le distanze – frutterà a Monet 2020 franchi, suscitando nella critica reazioni appassionate. Nella Gazzette de France, ad esempio, S. Boubée lo descrisse così: «La Cinese (sic) ha due teste: una è quella di donna di liberi costumi posta sulle spalle, un’altra è quella di mostro, posta non osiamo dire dove…».
Un’accoglienza niente male per una delle più alte incursioni di Monet nell’arte figurativa. Camille Monet con costume giapponese era destinata già da subito a far parlare di sé.
[…] Camille gioca con un ventaglio, indossa un abito rosso e sorride scherzosa e ammiccante al compagno che la ritrae. Le larghe foglie che abbelliscono il kimono si perdono sinuose verso l’ampia ruota di seta ricamata da basso dove un samurai, quasi scolpito nella stoffa, sembra prendere vita in un gioco di rimandi tra l’ambiente e la posa della protagonista. I fili d’oro, resi con grazia analitica, posseggono quella consistenza particolare propria degli abiti esposti dietro una teca. Continua a leggere… […]