Nel 1980 un venticinquenne emiliano, tale Pier Vittorio Tondelli, prende per il collo la letteratura italiana e la costringe a guardare la realtà. Lo sguardo ritorna sui cocci di un paese imploso: fra scritte al neon, eroina, capitali straniere, capannoni industriali, Altri libertini getta su carta l’irrequietezza dei giovani e lo fa lasciando che sia il vissuto a squarciare le maglie della letteratura. Da quel romanzo d’esordio – così pervasivo in un intero immaginario generazionale – Pier Vittorio Tondelli persegue con la stessa irrequietezza dei suoi personaggi la costruzione del proprio linguaggio, mattoncino su mattoncino, facendo e disfacendo. L’attività avanza con Pao Pao (1982), Rimini (1985), e Camere separate (1989); poi la morte nel 1991, per un AIDS covato nel silenzio, lo coglie stremato e stravolto. Camere separate, l’ultimo lascito letterario infatti raccoglie da Altri libertini solo l’angoscia esistenziale e tutte le sue cupe vibrazioni, abbandonando qualsiasi tono vivace.
La storia è priva di un vero e proprio intreccio, narrata com’è da sequenze riflessive e intermittenti flashback (ecco, le sole vicende sono oramai remote e riesumate dalla memoria) tramati con un italiano lento e meditativo. È la lingua opposta alla torrenzialità di Altri libertini, baldanzosa o drammaticamente scarna secondo le peripezie dei giovani personaggi tondelliani. Camere separate, invece, poggia unicamente sul rapporto tra Leo, rinomato scrittore trentenne (si tratta verosimilmente dell’alter ego di Tondelli), e Thomas, tedesco poco più che ventenne amante del pianoforte. È una relazione sì omosessuale, ma soprattutto filiale. Non si spiegherebbero altrimenti i litigi continui e sfibranti, né il sublime rapporto di attrazione-repulsione fra il romanziere italiano, ricco e maturo, e il fanciullo tedesco («una coppia di occhi intensi e neri su cui, ogni tanto, ricade un ciuffo di capelli color del miele scuro») affamato d’affetto e di soldi. Leo sperimenta – nonostante il suo ruolo paterno – una sudditanza amorosa, non una devozione individuale, non sua e basta: insomma, Leo ha dentro di sé l’affetto smisurato di tutti i padri e le madri del mondo, per Thomas il suo cuore è smisurato; a maggior ragione al momento dell’abbandono: Leo si vede come «femmina di un animale che si trascina appresso il cadavere del figlio, che si rifiuta di abbandonare quella carcassa ancora calda e sanguinante». Se Leo ricorda Thomas con questa ossessività, addolcita dal calore insieme paterno e materno, è perché lo ama come solo un amante disperato può fare: Leo è disperatamente solo, soffre come Thomas, e infatti il loro amore è anche una condivisione di sofferenze. Si citano qua sotto poche righe, in cui il protagonista è colto in un momento di sconforto a causa di Thomas. A Tondelli bastano poche scalpellate, rapide e decise, per raggiungere la radice del malessere di Leo-Pier Vittorio.
Pensò a sua madre e pianse. Pensò alla madre di sua madre, e alla madre della madre di sua madre. E si sentì abbandonato. Pianse di nuovo. Si vedeva come un feto abortito sballottato da un utero all’altro attraverso milioni di anni.
Camere separate sviluppa, inoltre, il tema della carnalità già avviato con Altri libertini, giungendo però ad un esito inaspettato per gli ammiratori dell’energia folgorante all’esordio. L’omosessualità è una tragedia per Leo, recide ogni legame con la cultura che lo ha educato. Ora, l’inconciliabilità col mondo-padre è un tema che esiste da che esiste la letteratura: uno scrittore (a maggior ragione al nostro tempo della globalizzazione) scadrebbe nel banale se forzasse unicamente questo aspetto, magari affidandosi a un Dio ineffabile e assolutore di ogni nodo esistenziale; e lo spessore di Tondelli (uomo o scrittore poco importa, ché spesso coincidono) sta in un rapporto fisico con l’eterno. Rivolgendosi a un imprecisata platea di benpensanti, Leo chiarisce come il suo rapporto con Dio sia sacralmente corporeo:
Io non posso amare la religione del cilicio e della pena. Io vorrei amare la religione della pienezza. Vorrei essere felice nella mia religione, perché la sto sentendo come un bisogno fisiologico, come mangiare, come bere, come fare l’amore. Ma voi sembrate non capire questo. Io cerco di parlare con sincerità, ma voi negate la mia stessa esistenza.
E poche righe dopo ecco Tondelli. La voce narrante si sposta nella mano dello scrittore malato di AIDS, che si riavvicina alla spiritualità amorevole materna, quella che riempiva le mattinate di Pier Vittorio prima della messa noiosa:
Anche nella sua silenziosa preghiera, lui era consapevole di mettere in gioco tutta la propria sessualità. Per questo leggeva Osea. Perché in quelle pagine non c’era una visione esclusivamente mentale del rapporto fra Dio e il suo popolo, ma una rappresentazione di corpi, di prostituzione, di abbandono, di delirio della separazione, di rabbia, di paterna protezione. Come succede, da sempre, fra gli uomini che si amano.
Camere separate racconta pagina per pagina questa sofferta sacralità del sesso. Ma il racconto di Leo e Thomas, pur essendo drammatico, non ha mai una tensione saggistica, mai una riflessione complessamente filosofica; ed è questa l’argomentazione mossa da coloro che hanno imputato allo scrittore emiliano il tradimento delle movenze vivaci di Altri libertini.
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Come può uno scrittore “tradire” se stesso? Tondelli, al contrario, accompagna se stesso alla conclusione di Camere separate e, ricordando la sua «imbarazzante finitezza» si riappropria della malattia mortale. Nel libro-intervista con Fulvio Panzeri e Generoso Picone, Tondelli. Mestiere di scrittore, definisce Altri libertini «un libro assolutamente ‘inventato’». Il vero cuore di Pier Vittorio Tondelli, infatti, lo ha messo a nudo senza censure proprio Camere separate.
Andrea Piasentini
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