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“Call it what it is”:
torna Ben Harper con
The Innocent Criminals

5 minuti di lettura

«Ho finito un nuovo album, amico. Undici canzoni pronte e non vorrei rinunciare a nessuna di loro, ho il disco che volevo. Non vedo l’ora. Per me è un’ossessione: quando decido che un album è finito devo pubblicarlo. E devo avere sempre tutte le canzoni migliori che ho a disposizione. Se non mi dessi questa regola, potrei restare in studio per sempre».
(Intervista a Ben Harper su Rollingstone)

Ben Harper
Immagine tratta da: www.stuff.co.nz

A nove anni da Lifeline, la reunion dello scorso anno del cantautore californiano Ben Harper con la storica band The Innocent Criminals ha fruttato il nuovo disco Call it what it is, uscito lo scorso maggio. «Conosco questi ragazzi alla perfezione, so dove andranno prima ancora che comincino a muoversi», sentenzia il cantante sempre nell’intervista su Rollingstone: questa ritrovata complicità, che ha il sapore di un vecchio sodalizio risaldato, è una combinazione vincente al pari di quella di Bruce Springsteen con l’amata E Street Band.

Questo lavoro suggella, infatti, un tornare alle origini e ai suoni poliedrici tipici della loro collaborazione: il ritorno sonoro è inoltre accompagnato da uno tematico, perché Ben opta per i temi sociali, più veri e sinceri, lasciando da parte le vicissitudini personali. Al momento della riunione alcuni brani erano già pronti – come When sex was dirty, All that has grown e Bones – invece altri da un lato avevano il testo, dall’altro avevano bisogno dell’aiuto dei The Innocent Criminals per l’arrangiamento musicale, mentre altri ancora sono stati composti ex novo dalla band.

La componente eclettica di Harper gli permette di miscelare con risultati felici i più disparati generi musicali dal blues, al rock, al reggae. La prima canzone, When sex was dirty, ricorda molto lo stile rockeggiante dei Rolling Stones e della loro rivoluzionaria Satisfaction:

«I remember when sex was dirty
and the air was clean
and everything worth knowing
was in a magazine

We made everything we have
out of nothing at all
way back when marijuana
was against the law
we were always outnumbered
we were always outmanned
went down a road of ruin
but here we stand».

Un rock che però non stride con il raggae di Finding our way:

«Let every moment be filled with grace
don’t let tomorrow just be another day
we’ve come too far to suffering fools
and we’re much too young for these old rules

God knows what’s in your heart
so you can stay home from church
who will survive the end of the world

We have a way of finding our way
finding our way
finding our way
we have a way of finding our way home».

https://www.youtube.com/watch?v=yLV1mv6hsbQ

Non mancano poi le tanto amate ballad, che danno al lavoro di Harper una patina classica e tradizionale, come Deeper and Deeper o All that has grown che sono accomunate da una malinconia di fondo:

«Deeper and deeper until I drown
hard going under without a sound
I try to run but you hold me down
deeper and deeper until I drown

Longing is a ghost
when the one you love the most
no longer has you on their mind».
(Deeper and deeper)

«After the storm
and the lightning fires
and the last bird
have flown from the wire
after the rain
the wind dries us cold
after the storm
just you and me growing old

after the storm
and the skies are blue
after everything
we put each othe through
the dust and the mud
have become stone
after the storm
just you and me on our own

our choices and our words
like that bird have flown
after the storm
look at all that has grown».
(All that has grown)

Non dimentico della tradizionale black music del popolo afroamericano, che gli scorre nelle vene, con il singolo Bones:

«When the writing’s on the wall you better read it
make your bones
when the moment comes around you gotta
seize it
take your bones
pain comes do your best to ease it
throw your bones

A hundred people got a hundred problems
in their bones
hard not to feel like the odd one in my bones

Every now and then I get so tired
I rest my bones
I rest my bones
sitting alone with my desires
in my bones
in my bones».

https://www.youtube.com/watch?v=SWf-3GqtlRM

Significativo è il brano che dà nome all’album, con specifici riferimenti ai ragazzi afroamericani che hanno subito abusi dalla polizia come Trayvon Martin – morto la notte del 16 Febbraio 2012 per mano dell’agente George Zimmermann – e Michael Brown – assassinato a Ferguson nell’Agosto 2014. Sulla base di una ritmica potente, Harper canta infatti «chiamalo per come è: omicidio» denunciando i pregiudizi razziali e il dominio delle armi e della violenza che ancora oggi risulta essere questione irrisolta negli Stati Uniti:

«They shot him in the back
now it’s a crime to be black
so don’t act surprised
when it gets vandalized

Call it what it is
call it what it is
call it what it is
murder

Trayvon Martin
Ezell Ford
Michael Brown
and so many more

Governament ain’t easy
policy ain’t easy
hard times ain’t easy
oppression ain’t easy
racism ain’t easy
fear ain’t easy
suffery ain’t easy

Gun control
mind control
self-control
we’ve dug ourseves a hole

Call it what it is
call it what it is
call it what it is
murder».

Il testo è scarno, le parole sono gravi e non vengono sommerse dalla musica, che è invece ridotta all’essenziale e non fa che conferire risonanza alla denuncia sociale sottesa al testo. Il brano ricorda molto Like a king, del disco Welcome to the cruel world (1994), dedicata a Rodney King, vittima di un pestaggio avvenuto il 3 marzo 1991 da parte di alcuni agenti di Los Angeles. L’assoluzione degli agenti aveva poi scatenato la sommossa ricordata come “La rivolta di Los Angeles” dell’aprile e maggio dell’anno successivo.

«Well Martin’s dream become Rodney’s worst nightmare / can’t walk the streets to them we are fair game / our life don’t mean a thing / Like a king, like a king, like a king / Rodney King, Rodney King, rodney King / like a king, like a king, likea king / how I wish I could you could help us Dr. King»: lapidarie parole, queste del brano, che tracciano un collegamento, nonché una orrenda simmetria tra la situazione della comunità afroamericana negli anni Sessanta e quella contemporanea per dimostrare quanto ancora si debba fare per acquistare una vera parità.

Il brano del nuovo disco testimonia, inoltre, quanto la strada sia ancora in salita e l’obiettivo lontano: «When we will look to the past / look to the past to learn?», quante vittime ci dovranno ancora essere? Nell’intervista a Radio Popolare del Maggio scorso Harper ha spiegato il dolore che prova nell’essere «giornalista musicale», e che preferirebbe non scrivere canzoni su certi temi ma è doveroso denunciare ingiustizie come queste per contribuire alla possibilità di un cambiamento dello status quo, non importa quante complicazioni ne possano derivare.

Call it what it is è, dunque, un disco eterogeneo su scorta di lavori classici come quelli dei The Beatles, i Pink Floyd e i Led Zeppelin, dove sono riunite canzoni molto diverse sia per genere che per temi trattati che regalano agli ascoltatori un perfetto pastiche musicale che ricorda molto i primi lavori di Harper, meno vincolati. Un lavoro che ha il sapore di un nostalgico ritorno alle origini della propria carriera che lo accompagnerà in tour il prossimo ottobre al Mediolanum Forum di Assago.

Nicole Erbetti

Ben Harper
www.deejaytv.it

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Redazione

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