Scontato appare il fatto che la storia racconti i fatti… o almeno ci provi. Lo storico, di solito, cerca con l’ausilio delle fonti di ricostruire una cosa accaduta. Ben diverso – ironia della sorte – è il racconto di qualcosa che non è mai accaduto. O meglio, di qualcosa che non è mai esistito. Fantascienza dunque? No, storia anche questa. Nell’anno 1582, infatti, dieci giorni di ottobre sono stati letteralmente cancellati dalla storia e dalla linea del conto temporale. Accadde esattamente nel momento in cui fu fatto entrare in vigore il cosiddetto calendario gregoriano, quello che usiamo ancora oggi.
L’anno sfasato, l’errore di dieci giorni, la necessità di riformare il calendario
Prima dell’entrata in vigore del calendario gregoriano per volere del pontefice Gregorio XIII, dal quale prende il nome, veniva utilizzato il cosiddetto calendario giuliano, impiegato dal 46 a.C. al 1582 appunto. Il problema del calendario giuliano era il fatto che tendesse ad accumulare un giorno di ritardo rispetto all’anno solare ogni 128 anni. Al tempo di papa Gregorio, tale rallentamento contava già dieci giorni di ritardo in totale. Il Papa intuì la necessità di impostare nuovamente il calendario, perché altrimenti ci sarebbero stati problemi anche con le festività religiose.
Con l’entrata in vigore del nuovo calendario, basato sull’anno solare, si decise perciò di eliminare a tavolino i dieci giorni accumulati di ritardo. Il calendario entrò in vigore il 4 ottobre 1582. Il giorno dopo si decise che ci si sarebbe svegliati già a giorno 15 ottobre. Ben 10 giorni, tecnicamente, non sono mai esistiti. Raccontata così, la vicenda, sembrerebbe semplice, ma non lo è. Dietro il nuovo calendario ci fu uno studio scrupoloso e lunghissimo, che unì alcuni tra gli ecclesiastici e gli scienziati più illustri del tempo, chiamati a Roma per risolvere l’annoso problema.
Un errore già noto, gli studi precedenti e l’istituzione di una commissione pontificia per il calendario gregoriano
La questione del calendario giuliano “rallentato” rispetto all’anno solare e dei giorni sfasati era nota già da tempo. Nel pieno Medioevo non era sfuggita ai pontefici e a illustri studiosi ed astronomi. Lo stesso Dante ne aveva fatto menzione, tra le righe, nella Commedia. Se ne parlò con più attenzione poi nel XIV secolo, senza tuttavia giungere a conclusioni definitive. A essere coinvolti furono anche l’astronomo e intellettuale Giovanni di Konigsberg, l’astronomo tedesco Paolo di Middelburg e persino Copernico, il quale segnalava l’impossibilità di un calendario perfetto.
La commissione che arriverà a decretare l’avvio del nuovo calendario gregoriano avvierà i lavori solo sotto Gregorio XIII per concluderli appunto nel 1582. A presiederla, il cardinale Guglielmo Sirleto e oltre a lui il vescovo Vincenzo Lauro, il gesuita Clavio, il teologo spagnolo Chacòn, il patriarca di Antiochia Nehemet, gli scienziati fratelli Luigi e Antonio Lilio, il linguista Abel, l’esperto legale francese Serafino Olivier e il domenicano Ignazio Danti. Ma la riuscita dell’impresa (nonché gli studi determinanti), furono compiuti da tre calabresi eccellenti, tutti e tre nella commissione.
I tre padri calabresi del calendario gregoriano: Guglielmo Sirleto, Vincenzo Lauro e Luigi Lilio
I tre uomini in questione erano il cardinale Guglielmo Sirleto (di Guardavalle), presidente della commissione pontificia; il cardinale, matematico e astronomo Luigi Lilio (di Cirò), che studiò la questione insieme al fratello Antonio; il cardinale e teologo Vincenzo Lauro (di Tropea).
Sirleto era un intellettuale di altissima levatura, filosofo e teologo, conoscitore del greco, del latino e dell’ebraico, divenuto custode della Biblioteca Apostolica Vaticana. Fu amico di Papa Marcello II, curatore di un’edizione della Vulgata biblica, maestro di San Carlo Borromeo. Fu anche vescovo di Squillace (una delle diocesi più importanti e antiche della Calabria) nonché curatore del primo catalogo completo dei manoscritti in lingua greca presso il Vaticano.
Il cardinale Lauro, invece, si occupò di medicina a Napoli e Padova. Fu tra i collaboratori di Ippolito d’Este e fu medico di Emanuele Filiberto di Savoia. Oltre a partecipare a importanti conclavi in Vaticano, fornì un contributo che secondo le fonti fu essenziale per gli studi sul calendario. Ma non solo: egli si recò per formazione e per impegni diplomatici anche all’estero, dal re di Polonia Stefano I, ma anche dalla regina scozzese Maria Stuarda, nel 1566. Fu per questo anche cardinale protettore del Regno di Scozia.
Le poche notizie su Lilio (Giglio) e il monumento di Gregorio XIII
Più complessa è la storia del terzo uomo, di colui che in buona sostanza partorì la riforma del calendario e ne studiò le implicazioni astronomiche, scientifiche e matematiche: Luigi Lilio, colui il cui libro è raffigurato nel bassorilievo sul monumento funebre di Gregorio XIII, nella Basilica Vaticana, mentre viene offerto al pontefice dal fratello, Antonio Lilio, dopo la morte dell’astronomo. Poco si sa della biografia di Lilio (o Giglio, Lilius in latino). Il manoscritto originale con il suo studio sul calendario – il fratello ne presenterà al pontefice solo un sunto in copia – sparì misteriosamente.
Il manoscritto scomparso e l’edizione del «Compendium»
Quell’istante raffigurato sul bassorilievo per Gregorio XIII si è consumato il 5 gennaio 1578, cioè quattro anni prima dell’entrata in vigore del calendario. Antonio Lilio, fratello del defunto Luigi, vero autore del documento, presenta al pontefice un sunto dell’originale, il Compendium (in esteso Compendium novae rotationis restituendi kalendarium), che rappresentava una sintesi degli studi di Luigi Lilio e ne riportava le osservazioni principali. Il libro era stato stampato nel 1577 da Antonio Blasio a Roma. Fu proprio Luigi Lilio a suggerire l’eliminazione dei 10 giorni nel nuovo calendario, spariti per sempre dalla storia insieme all’originale del suo manoscritto.
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