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Con Calcutta l’underground si veste di «Mainstream»

Non è certo un disco perfetto, ma esprime potenzialità promettenti. Qual è il genere che caratterizza l'ultimo album del cantautore latinense?

3 minuti di lettura

Nella ricca e confusa fauna della musica indie italiana, negli ultimi mesi si è fatto strada un volto nuovo: baffetti e tanta «hipsteria» direttamente da Latina. È Edoardo D’Erme, in arte Calcutta. Il suo ultimo album Mainstream, prodotto da Niccolò Contessa, ha letteralmente spopolato sul web (e fuori).

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Calcutta, oltre ad essere il suo nome d’arte, era la band formata con Marco Crypta che, però, qualche anno dopo lo abbandonerà al suo destino di cantautore con la tastiera. Le sue musiche risultano piuttosto semplici, accompagnate tra l’altro da una voce particolare che, al primo impatto, potrebbe sembrare grossolana – per alcuni al limite della stonatura. Forse lo è davvero. Ma già al secondo ascolto non importa più: ormai ti ha già catapultato in un universo di malinconia da cui è pressoché inutile tentare di evadere.

Si direbbe che, in generale, la fenomenologia dei primi ascolti di Calcutta segue più o meno lo schema illustrato da Michele Monina per il Fatto Quotidiano: all’apparenza è solo uno dei tanti cantautorucci come ce ne sono troppi in giro, ma dopo un ascolto più approfondito ci si rende conto che la sua musica ha tanto da dare. Mainstream non è certo un disco perfetto, ma esprime potenzialità promettenti. Certo è che con questo lavoro, più pulito dei precedenti, Calcutta è riuscito ad abbandonare la nicchia dei primi album facendosi strada, appunto, tra il mainstream. Cosa è cambiato quindi? Lo spiega Edoardo stesso, in un’intervista a Rock.it:

Il titolo non è ironico […]. Per prima cosa c’è stato cambio di scrittura e poi c’era l’idea di fare qualcosa che arrivasse a più gente possibile. È un discorso in cui, però, mi sono perso: un pò perché non ero capace, un pò perché volevo anche altro. La distanza tra queste due cose […] ha portato al risultato che senti nel disco. È anche sopraggiunto un istinto un pò nichilista del tipo: ‘sticazzi l’arrangiamento deve essere una cosa funzionale. Mi andava di rompere le palle ad un certo tipo di giornalisti che avevano sempre tifato per me. Volevo piantarla con tutte quelle menate sperimentali, eleganti e raffinate che erano piaciute a tutta una serie di persone con il primo disco.

Difficile, però, credere che abbia venduto l’anima al commerciale: il suo, al massimo, è un underground che si traveste da pop. Con risultati notevoli, come il cantante ha illustrato nel corso di un’intervista a Michelangelo Iulano per Radio Deejay.

Non c’è una volontà di comunicare un’emozione specifica dietro Mainstream. Però forse quella che ho provato di più era una sorta di saudade, per dirlo alla portoghese, una malinconia piena di speranza. Una certezza che le cose miglioreranno e torneranno come un tempo. Un tempo che forse non c’è mai stato, o che è sempre esistito […]. Tutti dicono che sono un cantante generazionale. Quello che provo a fare è scremare la storia e il contingente e descrivere tutto ciò che rimane, parlare direttamente al cuore. Più che generazionale mi sento umano.

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E ho fatto una svastica in centro a Bologna
ma era solo per litigare
non volevo far festa e mi serviva un pretesto
per lasciarti andare
(Calcutta, Gaetano)

Calcutta parla di atmosfere provinciali e malinconie sorridenti che si concretizzano in immagini per lo più indeterminate ed ermetiche: all’inizio sembra che tutte quelle frasi siano state messe lì un pò a caso, alla maniera «vascobrondiana» che pare tanto entusiasmare i ragazzini alternativi di oggi. Ma la verità è che tutto, anche le frasi più insensate cantate a squarciagola, lasciano addosso la sensazione che del talento ci sia. Quantomeno il talento di saper esprimere tante vaghe percezioni che altrimenti passerebbero inosservate e che rendono l’ascoltatore parte di un qualcosa di più grande, una storta di ordine cosmico che allinea una generazione.

Vado di corsa e non so il perché
e mi giro a guardare se perdo parti di me.
Io ti giuro che torno a casa e mi guardo un film,
l’Ultimo dei Mohicani, non so di chi.
Ti giuro che torno a casa e non so di chi,
io ti giuro che torno a casa e non so di chi.
Ti chiedo scusa per l’appartamento e la rabbia che mi fa,
non ho lavato i piatti con lo Svelto e questa è la mia libertà.

Ti chiedo scusa se non è lo stesso di tanti anni fa,
leggo il giornale e c’è Papa Francesco
e il Frosinone in Serie A.
(Calcutta, Frosinone)

Ma non mi ricordi nessuna guagliona,
una cassa che suona, una casa che brucia
tutta la notte, tutta la notte.
Ma io mi ricordo una scritta sul muro,
un rullo, un tamburo, una danza kuduro
tutta la notte, tutta la notte.

Hai qualcosa di brutto alle spalle lasciato in un film,
Certamente fai così.
(Calcutta, Oroscopo)

Sicuramente ha bisogno di una menzione d’onore anche il brano Oroscopo, singolo uscito lo scorso 12 maggio. Un pezzo fresco e abbastanza spensierato che si lascia alle spalle la cupezza (per quanto sorridente) di Mainstream, complici soprattutto i suoni elettronici e reggae. A dire la verità, Calcutta ha voluto sottolineare come questo non sia davvero un singolo, ma piuttosto una canzone scritta quasi per scherzo. Qualsiasi cosa sia, è fantastica. Sfuggire dall’ascoltarla a ripetizione per giorni è praticamente impossibile. Evitare di cantarla a squarciagola è pura utopia. E chi critica il suo reggae troppo pop, forse dovrebbe imparare ad ascoltare fuori dalle solite nicchie. E respirare un pò di estate.

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Camilla Volpe

Classe 1995. Prima a Milano, ora sotto il Vesuvio - almeno per un po'. PhD candidate in Scienze Sociali e Statistiche. Mamma e papà non hanno ancora capito cosa faccio nella vita.

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