Un ponte. Stando alla Treccani, esso è un «Manufatto di legno, di ferro, di muratura o di cemento armato che serve per assicurare la continuità del corpo stradale o ferroviario nell’attraversamento di un corso d’acqua, di un braccio di mare, o di un profondo avvallamento del terreno». Da sempre simbolo di unione, strumento in grado di connettere due sponde, due popoli, due civiltà.
Ogni tanto però un ponte risulta essere legato indissolubilmente al mondo della guerra. Come il celeberrimo Ponte sul fiume Kway, dove il regista David Lean adatta per il cinema un episodio avvenuto nel sud-est asiatico durante la seconda guerra mondiale. Oppure il ponte sul Reno fatto costruire a tempo di record da Giulio Cesare durante la campagna di Gallia. Esiste un altro ponte che in un’epoca storica molto recente è diventato simbolo di un conflitto. Esso risulta essere intrinsecamente connesso alla violenza, alla distruzione, alla morte. È stato abbattuto negli anni ’90, ricostruito nel 2004 e oggi è patrimonio dell’UNESCO. Questo splendido ponte venne costruito nel 1557, voluto fortemente dal sultano Solimano il Magnifico per sostituire il precedente ponte fatto in legno, quindi non più affidabile. Eppure anche il nuovo materiale, la pietra, non ha saputo resistere alla violenza dell’artiglieria contemporanea. Il 9 novembre 1993 lo Stari Most, il ponte vecchio di Mostar, città dell’Erzegovina, viene abbattuto dalle milizie croate. Nulla sarà più come prima.
Mostar è una città che oggi può vantare più di 100 mila abitanti. Costruita sul fiume Neretva, è certamente una delle più importanti e popolose città della Bosnia-Erzegovina. Nella ex Jugoslavia, la Bosnia è, fra tutte, la regione più eterogenea, dove di fatto il mélange etnico-culturale pone le proprie radici nella intricata storia dell’est europeo. Mostar viene fondata nel XV secolo dall’Impero Ottomano, divenendo presto la capitale amministrativa dell’Erzegovina. Nel 1878 scivola sotto l’amministrazione di una altro impero, quello Austro-Ungarico. Successivamente segue la sorte geopolitica di tutta la regione balcanica, entrando a far parte della Jugoslavia di Tito.
In questo periodo storico, cioè fra le seconda guerra mondiale e lo scoppio del conflitto balcanico, in cui la Bosnia-Erzegovina non esiste come nazione, a Mostar sopravvive una sola squadra di calcio, l’FK Veleź Mostar. Il nome Veleź, accentato sulla Z, deriva dalla catena montuosa che circonda la città. Eppure nella cittadina, alla fine del 1800, venne fondata un’altra società calcistica, la cui storia sportiva va a coincidere perfettamente con la storia politica del paese. Difatti il HSK Zrinskij Mostar, l’altra faccia della città, scompare dai radar calcistici jugoslavi per quasi tutta la seconda metà del ‘900: il club venne soppresso esattamente per 47 anni. Il perché lo si può cogliere solamente conoscendo la storia jugoslava.
Lo Zrinskij Monstar non deve il suo nome ai monti della regione, né a niente di simile. La denominazione Zrinskij viene imposta nel 1912 ed è un omaggio a una importante famiglia nobiliare locale. C’è un particolare, un dettaglio, un elemento da tenere bene a mente. Gli Zrinksij sono una famiglia della nobiltà croata. Sì, perché nella straordinaria eterogeneità balcanica, Mostar rappresenta uno degli esempi migliori, forse il più celebre.
Croati e bosniaci vivono nella stessa città da svariati secoli, all’interno di essa si trovano luoghi di preghiera che coinvolgono le principali religioni monoteiste. Una buona fetta di questi luoghi di culto (la Cattedrale cattolica, il monastero di francescani, ma anche una dozzina di moschee) venne abbattuta nell’aprile del 1992, pochi mesi dopo lo scoppio del conflitto. In particolare, Mostar appare una città divisa soprattutto in due fazioni, dove bosniaci musulmani e croati cattolici hanno convissuto fra loro, affrontando tutte le tappe di una convivenza che ha vissuto anche momenti terribili. In una città spaccata a metà, niente è meglio di un derby calcistico per esprimere i sentimenti opposti dei due schieramenti. Non a caso Zrinskij – Veleź è da anni considerato il derby più pericoloso al mondo. Come si è detto, esso è tornato a disputarsi solamente in epoca molto recente, perché nella Jugoslavia di Tito non c’era posto per una squadra come lo Zrinskij, poiché il governo jugoslavo mise al bando qualsiasi club che facesse riferimento a realtà locali.
Croati contro bosniaci, cattolici contro musulmani. Il derby di Mostar è soprattutto questo, una violenta sfida infinita, poiché il ricordo dell’orrore della guerra è troppo recente per essere scalfito. E, forse, non potrà mai essere dimenticato del tutto. I tifosi sono gli eredi dei militari che combatterono fra il 1992 e il 1996, coloro che, fra le altre cose, distrussero lo Stari Most. Metaforicamente la distruzione del ponte ha significato qualcosa d’altro: la comunicazione fra due mondi che, ancora oggi, rimane quasi impossibile.
Lo Stari Most è stato ricostruito e dal 2004 è perfettamente agibile; eppure la città resta ancora divisa in due, a Oriente della Neretva si trovano i musulmani bosniaci (oggi in minoranza), mentre l’occidente cittadino è appannaggio dei croati. Oggi Mostar vive una situazione realmente drammatica. La città è divisa in tutto, l’esempio più noto (e tragico) riguarda il mondo scolastico. Le scuole di Mostar hanno regole ben precise: gli ingressi sono separati, la campanella per la ricreazione suona a orari differenti, il futuro della città e dell’intera regione (gli studenti) non possono parlare, conoscersi, comunicare e interagire fra loro. Il consiglio comunale non viene rinnovato dal 2008 e recentemente si sono tenute le elezioni amministrative bosniache: Mostar è l’unica città del paese in cui non si è votato.
Per questi motivi il derby, quando viene disputato, diventa un evento ad alto rischio, forse l’unico caso in cui le due fazioni si trovano realmente a contatto fra loro. Già, perché il derby non si disputa spesso, poiché il Veleź, la squadra dei bosniaci, continua a salire e scendere dalla seconda divisione, mentre lo Zrinksij è diventata una delle squadre più forti del campionato nazionale, vinto per l’ultima volta nel 2016. Le sorti dei due club calcistici simboleggiano perfettamente cosa è stata e cosa è Mostar oggi. Il Veleź un tempo era tra le squadre più forti del calcio jugoslavo, unico club di Mostar, orgoglioso della propria identità bosniaca; oggi invece ha passato la palla, metaforicamente e non, ai rivali croati dello Zrinskij, diventati dopo il conflitto la componente maggioritaria della città. Restando nel mondo del calcio, Mostar è la città che ha dato i natali a Senad Lulic, calciatore bosniaco attualmente alla Lazio.
Ma non c’è solo calcio a Mostar; infatti è anche la città di Pedrag Matvejevic, uno dei principali intellettuali balcanici contemporanei. Questi, croato a tutti gli effetti, ha insegnato per anni Slavistica alla Sapienza di Roma. La sua opera più celebre è Breviario Mediterraneo in cui racconta come la culla della civiltà occidentale sia stata, anche e soprattutto, un emergere di fazioni, antitesi, contraddizioni perennemente in lotta fra loro. «Un ecumenismo generoso accanto a un ostracismo feroce. L’universalità e l’autarchia. L’agorà e il labirinto. Atene e Sparta. Roma e i barbari. L’impero d’Oriente e quello d’occidente. Il cristianesimo e l’Islam».
D’altronde, del Mediterraneo, Mostar rappresenta perfettamente un microcosmo. Bosniaci e croati. Veleź e Zrinskij.