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Calabria e Emilia Romagna: quando due elezioni regionali raccontano un Paese intero

È importante discutere delle insensatezze di un territorio per poterle correggere e non per stigmatizzarlo. Riusciranno le elezioni ad essere un primo passo verso il miglioramento della condizione degli ultimi?

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4 minuti di lettura

Lasciati alle spalle i due appuntamenti regionali del 26 gennaio, mettiamo da parte per un momento i risultati per capire quanto le elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna raccontano di tutti noi e dell’Italia come Paese.

Il Nord e il Sud, lo sviluppo industriale e l’emorragia demografica, l’Emilia Romagna e la Calabria. Una è una storica roccaforte della sinistra, esempio di buona amministrazione e simbolo della sinistra di palazzo e di piazza. L’altra è una terra calda e ruvida che contrappone le storture del Sud alle sue bellezze. Da un lato l’Emilia Romagna, indiscussa protagonista di questa campagna elettorale. Una roccaforte da difendere o da espugnare. Per la sinistra, l’Emilia Romagna è un simbolo, è una casa. Per la destra è l’ultimo baluardo di qualcosa che proprio da lì potrebbe rinascere in altra forma e che quindi è meglio tagliare alla radice. Laboratorio politico e di idee innovative, l’Emilia Romagna ha primeggiato in questa campagna elettorale anche perché è considerata un esempio di successo in fatto di crescita e di collaborazione tra cultura, tradizioni e impresa.

Dall’altro lato la Calabria sulle cui elezioni regionali si sapeva poco ancora qualche settimana prima del voto. Forse per i protagonisti, forse per l’assenza di gesti eclatanti o forse perché in fondo «al Sud il voto è ballerino» quindi è meglio non darvi troppa importanza. La Calabria è una regione che come molte altre nel Meridione d’Italia soffre problemi quali la disoccupazione, lo spopolamento e la presenza della criminalità organizzata pronta ad infettare non solo la politica, ma anche e soprattutto l’economia.

Due scenari molto diversi che, di fatto, raccontano molto di tutti noi e del nostro paese troppo spesso diviso, più nero nel viso, più rosso d’amor…

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La comunicazione e la tendenza alla via più facile

Come spesso accade nel caso di elezioni regionali ed europee, i temi della politica nazionale le fanno da padrone. È più facile puntare su temi conosciuti dalla platea nazionale distraendo da temi locali o internazionali in cui di solito si pecca clamorosamente. Questa tendenza ha caratterizzato maggiormente l’appuntamento emiliano romagnolo.

Nel periodo pre-elettorale, la compagine di centrodestra ha sventolato bandiere come l’immigrazione e la lotta alle droghe cadendo in scivoloni come il caso dell’oramai famosa citofonata a favore di telecamere e social ad un privato cittadino minorenne (stranamente di origine nordafricana) accusato di essere uno spacciatore.

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Una voce spiacevole

A ciò si aggiunge l’oramai noto caso dei bambini di Bibbiano, che dopo essere stato sbandierato a livello nazionale con tanto di magliette ed accuse incrociate, viene messo nuovamente sotto i riflettori nella perenne spettacolarizzazione del dolore. Dall’altro lato, si è risposto con solide barricate tenute in piedi dai dati di 5 anni di amministrazione e di risultati considerati positivi dall’elettorato, ma mettendo da parte i simboli di partito che lasciano spazio ad un verde chiaro che poco ha a che vedere con la storia della sinistra emiliano-romagnola.

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Fonte TPI.

Spostandoci nella punta dello stivale, sarebbe stato interessante vedere la stessa forza nello stigmatizzare un cancro come la ‘Ndrangheta che affligge la Calabria e la sua economia. È inutile negare che non tutte le liste erano pulite come più volte affermato dal Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri e non tutti i candidati si sono chiaramente espressi contro la criminalità organizzata. Ma al Sud, si sa, il voto è ballerino…

Quanto sapete delle elezioni in Emilia Romagna? E quanto sapete sulla competizione calabrese?

È evidente che l’informazione influisca pesantemente sulla partecipazione e sul peso delle singole campagne elettorali. La sovrarappresentazione dell’Emilia Romagna risalta ancora di più se confrontata con l’appuntamento calabrese al quale giornali e telegiornali hanno dato un ruolo marginale. L’impressione è che come al solito, il Sud sia meno considerato e che sia più importante segnare un punto facile a proprio favore che scendere in campo e lottare su terreni difficili.

La Calabria è una terra in crisi che perde ogni anno i suoi figli regalandoli alle regioni del Centro-Nord o alle più varie destinazioni estere. Si fugge da casa propria alla ricerca di migliori opportunità di studio e di lavoro perché la terra dove si è nati non ne offre abbastanza o perché, in quella terra, amicizie e parentele sono più importanti del proprio Curriculum Vitae. È proprio lì che serve creare un’alternativa e un modo di fare politica che sia diverso. Bisogna sporcarsi le mani creando un’alternativa all’emigrazione che è una delle cause dell’alto astensionismo. Il voto ai fuorisede rimane un diritto negato e uno spreco elettorale perché si impedisce a una larga fetta della popolazione (solitamente giovane e scolarizzata) di esprimere il proprio diritto/dovere al voto.

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da LaSicilia.it

Parlando di partecipazione, non ci sorprende che nella regione di Peppone e del primo Vaffaday nasca un movimento di piazza come le Sardine, che crea in poche settimane un’onda che risveglia le coscienze e dà fiducia ai molti che si oppongono ad una politica che spinge verso una lotta fratricida. Il primo pregio di questo movimento è quello di aver fatto sentire «meno sole» tutte le persone scese in piazza nelle varie città d’Italia e di aver fatto credere che in fondo non tutto è perduto. Questa forte mobilitazione, insieme alla polarizzazione del voto in un rinnovato bipolarismo, è uno dei principali fattori che ha contribuito alla crescita della partecipazione in Emilia Romagna toccando punte superiori al 70% nella provincia di Bologna.

Un’alternativa

Numerose sono le voci che nelle ultime ore hanno invocato la creazione di un fronte progressista che si opponga alle destre e che ponga al centro un rinnovato Partito Democratico (con qualche goccia di sinistra in più) attorniato da quelli che una volta si definivano «cespugli». L’idea è quella di unire sensibilità leggermente diverse puntando ad un medesimo obiettivo. La storia ci insegna che le coalizioni elettorali non bastano e che serve un corposo progetto politico che guardi lontano e non solo al successivo appuntamento elettorale.

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I dati ISTAT del 28 gennaio sulla forbice economica tra Nord e Sud dipingono uno scenario disastroso. In virtù di ciò, è necessario pensare che valorizzare ogni territorio sia il primo passo per creare un’alternativa sia dal lato economico, che dal lato politico. È fondamentale parlare delle storture per poterle correggere e non per stigmatizzare un territorio. Allo stesso modo, è importante pensare al domani guardando a chi sta peggio e non a chi sta meglio. L’eguaglianza – di cui tanto si parla – si raggiunge migliorando la condizione degli ultimi, dei territori più depressi, e non abbandonandoli al proprio destino. Forse le elezioni sono un primo passo per guardare al domani, ma una volta tanto possiamo dirlo: «Ve lo chiedono le piazze, ve lo chiediamo tutti noi!».

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Giuseppe Vito Ales

Classe 1993. Cresciuto tra le montagne di Piana degli Albanesi, sono un Arbëresh di Sicilia profondamente europeo. Ho studiato economia, relazioni internazionali ed affari europei tra Trento, Strasburgo, Bologna e Bruxelles per approdare infine a Roma. Tra le grandi passioni, la politica, l’economia internazionale e i viaggi preferibilmente con uno zaino sulle spalle e tanta voglia di camminare.
Credo che nel mondo ognuno di noi possa contribuire al miglioramento della collettività in modo singolare e specifico, proprio per questo non mi sta particolarmente simpatico chi parla per frasi fatte o per sentito dire e chi ha la malsana abitudine di parlare citando pensieri e parole d’altri. Siate creativi, ditelo a parole vostre!