René Burri blocca fotogrammi di storia, della seconda metà del secolo. È un fotografo svizzero, che nasce a Zurigo nel 1933 e vi torna a morire, nel 2014. La sua formazione pasticcia la fotografia con la pittura e il cinema, studia composizione e disegno. Bilancia la Leica in una mano e la macchina da presa nell’altra, si iscrive alla scuola di fotografia e gira i primi documentari.
Nel 1955 presenta alla Magnum un reportage sui sordomuti, che lascerà una scia lunga dietro di sé, pubblicato su Life. Entrato nella scuderia della Magnum Photos, per suo conto si apre una via, la sua via, in Italia, Cecoslovacchia, Turchia, Egitto ed altri paesi. Si sporca con qualsiasi consistenza: va sui campi di battaglia e nelle gallerie d’arte, incontra gente di terra e personaggi che faranno la storia, e forse alcuni ancora neanche lo sanno. Li salva nella memoria del tempo, fissandone il volto in rappresentazioni emblematiche. Che Guevara, Pablo Picasso, Le Corbusier, Alberto Giacometti, Ingrid Bergman.
È un paesaggista di volti e di opere dell’uomo, e gioca con la luce anche per scrivere geometrie. Rappresenta architetture e visioni urbane, come la celebre vista di San Paolo dall’alto.
«Ho visto delle cose atroci e in quei momenti mi son detto: “Attenzione vecchio mio, oltre a vedere le cose bisogna anche guardarci dentro, con queste immagini si può anche gettare polvere negli occhi”»
Ferdinando Scianna nasce a Bagheria nel 1943. Spizzica corsi alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo, ma non conclude gli studi. Conosce Leonardo Sciascia, alla sua prima mostra fotografica presso un locale a Bagheria, nel 1963. Inizia a collaborare come fotoreporter per l’Europeo a Milano, poi da Parigi come corrispondente estero. Nel 1982 diventa membro della Magnum Photos.
«A photograph is not created by a photographer. What they does is just to open a little window and capture it. The world then writes itself on the film»
Fa anche fotografia di moda, nonostante l’insegnamento dell’amico e maestro Henri Cartier-Bresson: «Mai mettere in posa il mondo!». Dei suoi scatti dice che sono una corrida con il destino. Ma con Stefano Gabbana e Domenico Dolce ci parte lo stesso, sull’auto sgangherata di un fratello, su e giù per la Sicilia, senza soldi e senza truccatori ma con una musa già allora d’eccezione: la modella olandese Marpessa. Ne esce un modo «pirandelliano» di rappresentare – a detta di Sciascia -, che lo calamita poi sulle vette di Vogue, Marie Claire, Grazia, Stern. Quello che si dice che fa, è moda reportage. E poi anche pubblicità.
Ferdinando Scianna si forma quindi impastando ingredienti diversi. Taglia fette di mondo nelle consistenze della sua amata Sicilia, per i vicoli e le piazze di pietre sporche di storia; delicatamente dipinge ritratti di gente importante, di modelle fuscelli, di registi. Usa tecniche varie, e non si appoggia mai nella stessa comoda poetica. Si mette in discussione, di ogni hic et nunc cerca quella che sente come la sua, personale e unica e radicale, poesia.
«Di come sia il mondo con il nostro essere e vivere in esso lo specchio di questa forma d’arte, la fotografia».
Burri e Scianna corrono in parallelo nello spazio espositivo La Casa dei Tre Oci sull’isola della Giudecca, a Venezia. Cento scatti del fotografo svizzero si arrampicano tra pian terreno e piano nobile dell’antica dimora veneziana, per accompagnare poi al secondo piano, dove sono esposti i cinquanta scatti inediti di Scianna.
Utopia di René Burri scandaglia il rapporto tra il fotografo e l’architettura: i cento scatti sono centrati su paesaggi umani e volti di architetti. Il linguaggio architettonico definisce una dimensione, personale, di sguardo sul mondo, un modo di costruire che seleziona e scolpisce, veicolando una precisa interpretazione della realtà. Burri la avvalla per questa sua potenzialità, per la capacità di condensare momenti pregni di storia. Il fotografo ha viaggiato tra Europa, Medio Oriente, Asia e America Latina, sul tracciato dei grandi architetti del XX secolo: Le Corbusier, Mario Botta, Renzo Piano, Richard Meier.
In mostra anche i fermi immagine di tanti eventi chiaroscurali del nostro secolo, carichi di contrasti tra violenza estrema e strenua speranza: la caduta del muro di Berlino, o le proteste di piazza Tienanmen a Pechino.
Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo di Ferdinando Scianna propone una selezione di cinquanta scatti appositamente realizzati per l’esposizione. Siamo a cinquecento anni esatti dalla creazione del Ghetto ebraico di Venezia (29 marzo 1516), e compito di Scianna è quello di navigare tra i vicoli e gli anfratti di ciò che oggi ne è rimasto. Il progetto artistico è di Civita Tre Venezie. Tra le strade si incastrano volti, interni di case, architetture e scorci. Visioni da sopra sotto e dentro un Ghetto che ancora oggi è parte pregna della storia della sua città. La spiritualità caratteristica della comunità ebraica si legge in sovrimpressione in questi schizzi di luce. Scianna è morbido e rispettoso nel raccontare la storia di un popolo che palpita di sofferenza. Scopre l’intimo, ma lo fa con dolcezza.
Le due esposizioni, inaugurate il 26 agosto, rimangono allestite alla Casa dei Tre Oci, Giudecca, Venezia, fino all’8 gennaio 2017.