Non aprite quella box: se il Ministero non sceglie un metodo per la storia

Le nuove, controverse, direttive del Ministero dell'Istruzione sono davvero utili per i ragazzi?

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Lo scorso martedì 11 marzo il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato la bozza definitiva delle Nuove indicazioni per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione. Le 154 pagine del documento (a questo link il testo completo), ora destinate al «dibattito pubblico» come da sottotitolo, saranno alla base del vademecum che guiderà gli insegnanti della fascia 0-13 per i prossimi anni scolastici.

Per molti di noi, memori di precedenti dichiarazioni e consapevoli dell’orientamento del governo, è stato inevitabile correre a leggere le pagine da 68 a 77, dedicate all’insegnamento della storia. Ci aspettavamo che le frasi più marcatamente schierate fossero almeno celate tra le righe, ma il testo inizia ricordandoci solennemente che «Solo l’Occidente conosce la Storia» e citando grottescamente Marc Bloch. È il preludio adeguato a ciò che segue, sul quale si è già scritto molto e bene. Tra le riflessioni più lucide e complete si può segnalare quella dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.

Le introduzioni discorsive Perché si studia la storia e Finalità dell’insegnamento sono lunghi giri di parole che mirano a riportare l’identità nazionale italiana, occidentale, greco-romana e cristiano-giudaica al centro della disciplina, screditando i recenti (per quanto colpevolmente tardivi) progressi compiuti nel metodo d’insegnamento della storia e nella ricerca storica stessa: sembra incredibile, ma cent’anni dopo gli Annales il documento del Ministero pretende che i fatti tornino al centro dell’’insegnamento (p. 70). Non è ancora questa la sede per affrontare la sezione introduttiva, né per dimostrare come le indicazioni sui contenuti (i programmi da svolgere, per intenderci) appaiano evidentemente impossibili da seguire per chiunque abbia messo piede in una classe. C’è altra carne al fuoco.

Ministero metodo storia
Fonte: movimentoscuola.ch

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Per ora può avere senso prendere una lente di ingrandimento e guardare alla sezione che è passata più in secondo piano nelle analisi che si trovano online. Alla fine delle sezioni dedicate a ogni materia (per la storia, alle pagine 74-77), il Ministero ha scelto di collocare tre box, che contengono rispettivamente un Esempio di moduli interdisciplinari, una serie di Suggerimenti metodologico-didattici e altri per possibili ibridazioni tecnologiche. Sono parti che sembrano voler strizzare l’occhio al lettore, per dirgli “ci siamo capiti, ecco la parte pratica che ti interessa”. Il tentativo che si coglie è quello di rispondere a domande che effettivamente qualcuno potrebbe porsi: come dovrei organizzare una lezione? Quale filosofia didattica il Ministero si aspetta che io pratichi? Come faccio convivere la mia disciplina con le tecnologie che abbiamo a disposizione in classe e fuori?

La prima delle box, sull’interdisciplinarità, presenta solo un esempio di progetto sul territorio che coinvolge l’italiano, l’arte e le scienze, ma l’impianto ideologico torna di prepotenza nella seconda e nella terza box (pp. 76-77). Riportiamo alcuni passaggi dalla box 2 e il testo quasi completo della 3. Anche se numerosi punti meriterebbero un’analisi completa, ci soffermeremo solo su qualche dettaglio.

Box 2:

«Per favorire la capacità di orientarsi nella ‘linea del tempo’ e di comprendere almeno alcune semplici periodizzazioni, già nell’ultimo biennio della scuola primaria appare necessario promuovere la conoscenza e la memorizzazione di date, fatti, personaggi, anche tramite esercizi da svolgere collettivamente»; «Così come [l’insegnante] non escluda la possibilità di animare la sua lezione invitando gli alunni a comporre testi letterari propri o a sceneggiare un particolare avvenimento storico che sarà poi rappresentato dalla classe»; «L’insegnamento potrà avvalersi naturalmente di approcci metodologici tradizionali o più innovativi: seguendo il libro di testo o in attività laboratoriali; rintracciando e consultando materiali reperibili nella Rete (sotto la guida e il controllo dell’insegnante); […] Altrettanto validi sono i materiali tratti dalle fonti audiovisive: […] in internet sono reperibili documentari e lezioni di argomento storico. Spetterà ovviamente all’insegnante scegliere attentamente quali di questi sussidi, e in quale misura, sia opportuno utilizzare nelle unità didattiche»; «È necessario ribadire l’importanza centrale che nell’insegnamento/apprendimento della storia hanno i fatti, gli eventi, le date, nonché l’importanza che in alcuni snodi essenziali ha avuto la singola personalità umana».

Box 3:

«L’insegnamento della storia, nell’era digitale, si arricchisce di una vasta gamma di opportunità didattiche innovative e stimolanti. L’integrazione delle tecnologie non solo potenzia l’accesso a risorse e materiali, ma trasforma anche il modo con cui gli studenti interagiscono con il passato, permettendo loro di esplorare la storia in modi dinamici, coinvolgenti e partecipativi, affiancando i tradizionali metodi frontali che restano tuttavia fondamentali […] Ma resta un punto decisivo: la storia e il suo insegnamento non sono un video o un film storico, né sono sostituibili da alcuna simulazione virtuale. Così come egualmente la storia non può prestarsi a nessuna manipolazione “creativa” da parte degli studenti. Per quanto si voglia rendere interessante il racconto storico esso deve essere anzitutto conosciuto attraverso la spiegazione dell’insegnante o le pagine scritte di un libro. Al contrario di quanto comunemente si pensa l’interazione con contenuti multimediali non è in grado di promuovere il pensiero critico e l’analisi storica».

Da insegnanti ci aspetteremmo una cura estrema nella scelta dei contenuti, dei loro significati e delle parole con cui veicolare i messaggi, ma anche a una prima lettura il testo contiene delle contraddizioni, come se più persone avessero messo insieme il testo senza che nessuno si preoccupasse di dargli uniformità di pensiero. Le indicazioni del Ministero sul metodo ci suggeriscono prima di «comporre testi letterari» o di «sceneggiare un particolare avvenimento storico» per poi ricordarci, poche righe dopo, che «la storia non può prestarsi a nessuna manipolazione creativa» e che tutto deve passare per altri canali. Significa che sperimentare al di fuori della lezione frontale è adeguato o no?

Nessun fautore di metodi alternativi ha intenzione di far discostare gli studenti dall’accuratezza storica. Aprire alla creatività degli studenti è, al contrario da quanto sostenuto dal Ministero, un metodo efficacissimo non solo per mantenere alto il coinvolgimento, ma anche per capire che la storia è fatta dagli uomini. Tutto sta alla fantasia dell’insegnante e alla voglia di mettersi in gioco, perché inventarsi interviste impossibili, realizzare uno spettacolo o creare esiti alternativi (cosa sarebbe successo se…?) sono le chiavi per andare davvero al cuore delle faccende storiche. E a non saperlo è solo chi in classe non ci ha mai provato.

Fa cadere le braccia quel “Ma” finale, quando la commissione del Ministero ci ricorda che il metodo d’insegnamento della storia deve passare solo per la spiegazione dell’insegnante o le pagine scritte di un libro. È di nuovo in contrasto con altri passaggi del testo, oltre ad essere una visione quantomeno retrograda: al posto di puntare sulla coesistenza di diversi metodi, facendo sviluppare agli studenti competenze in più ambiti, il Ministero sceglie di ritornare al modo di fare scuola che ogni studio qualifica come insufficiente da solo. La lezione frontale può arrivare solo a un certo punto, semplicemente perché ognuno di noi impara in modo diverso. Sbilanciarsi in questo modo verso un’idea analogica di scuola significa anche ignorare il bisogno che abbiamo in Italia di lavorare sulle competenze digitali, ancora sotto la media europea. Forse sarebbe utile spiegare meglio come le due dimensioni, analogica e digitale, possano integrarsi.

La motivazione di tutto questo è rivelata nell’ultima frase, in cui ci viene spiegato che «Al contrario di quanto comunemente si pensa (chi lo pensa? Chi è rappresentato da questo “comunemente”? Gli sciocchi insegnanti progressisti? Pedagogisti, ricercatori e docimologi? Il popolino?) l’interazione con contenuti multimediali non è in grado di promuovere il pensiero critico e l’analisi storica»

Questa frase, messa addirittura in conclusione alla sezione storica, sconvolge anche più di altri passaggi. È una chiusura a doppia mandata su ogni speranza di rinnovamento per come si fa questa materia in classe. Dagli studi di Bloch e dei suoi colleghi, che gli autori del documento dovrebbero conoscere bene dato che vengono citati a modello, la storiografia aveva rimesso al centro del suo studio l’umano e ogni sua manifestazione, il che significa che a partire da ogni cosa si può fare storia; questo lo dimostra ogni buon insegnante di storia, dalla scuola elementare all’università e anche oltre. Squalificare i contenuti multimediali, qui probabilmente intesi come fruiti attraverso uno schermo (ma che nella loro accezione più ampia indicano ogni forma di trasmissione di contenuti che utilizzi più di un canale), significa, ad esempio, non poter utilizzare i contenuti video sul Novecento, o non poter leggere le notizie online in diretta insieme agli studenti. Un’idea ridicola anche solo a pensarci.

Ministero metodo storia
Fonte: pexels.com

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Lo stesso vale per il pensiero critico. Per quale motivo interagire coi contenuti multimediali non permetterebbe di promuoverlo? Leggere criticamente o meno ogni tipo di input non dipende dall’input stesso, ma da chi ci ha insegnato a interpretarlo. Questo vale per un video su internet quanto per un paragrafo del libro di storia. Se non impariamo a farlo su ogni contenuto storico, come potremo prendere decisioni per il bene comune quando ce le troveremo davanti?

L’impressione, anche dopo una breve analisi, è che gli autori tentino con i loro giri retorici di mantenere le cose come stanno, anzi regredendo sul piano metodologico. Per ogni collega con un minimo di senso etico, la lettura di queste indicazioni dovrebbe essere critica, perché ne escono valorizzati i metodi della scuola autoritaria, in cui l’insegnante sta in cattedra a trasmettere nozioni da mandare a memoria e la sua figura non è mai messa in discussione. Si è deciso di ignorare che non si può fare scuola come la si faceva cent’anni fa. Dobbiamo ora, secondo coscienza, chiederci cosa farà bene ai bambini e ai ragazzi che avremo davanti nel nostro lavoro e che saranno presto cittadini a tutti gli effetti. Tutto il resto è un pericoloso gioco nazionalista.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole e di pace. Sono specializzato in storia medievale, insegno lettere alle medie. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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