Durante un live a Milano, nel 2002, Bono Vox , leader degli U2, introdusse il brano Miss Sarajevo dicendo che gli sarebbe piaciuto convertire la canzone in una preghiera, preghiera che diceva così:«don’t become a monster; in order to defeat a monster». Questo incipit contiene in sé una massima etica che ha il tono di un motto: non diventare a tua volta un mostro per sconfiggere un mostro. Ciò vuol dire che, per combattere contro i malvagi, non bisogna essere buoni, quanto piuttosto non essere cattivi. Tutto sta nel comprendere e nell’avere coscienza che è possibile compiere azioni malvagie senza con ciò diventare cattivi. Ossia combattere il male con efficacia, contrastarlo e sconfiggerlo restando buoni, vale a dire restando fedeli alla propria natura di buoni senza soccombere al male, senza lasciarsi sopraffare né tanto meno diventando a nostra volta malvagi.
Questa lezione di morale prospetta una condotta che è l’opposto del messaggio di pace evangelico, che invita colui che è buono a «porgere l’altra guancia», a sconfiggere l’odio con l’amore senza opporvi resistenza, cedendo e sottomettendosi ad esso. L’Amore sconfigge l’Odio nel senso che quando l’uno è presente l’altro è assente e viceversa, questo lo sapeva bene già Empedocle di Agrigento (492 – 432 circa – a.C.) quando parlava di phìlia e neikos. Ma che succede quando ci spostiamo dall’orizzonte fisico-cosmologico a quello umano e mondano?
Nel mondo umano amore e odio coesistono sempre, sono perennemente compresenti senza escludersi vicendevolmente. Bene e Male sono, pertanto, come il vero e il falso del libro IX della Metafisica di Aristotele: dove c’è l’uno c’è anche l’altro e entrambi insieme sono «l’essere nel senso più eminente». Anche l’evangelista Matteo afferma qualcosa del genere con la «la parabola della zizzania» quando dice che «la mietitura rappresenta la fine del mondo[…]come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo» (Mt. 13,37-42). Il grano (bene) e il loglio (male) crescono innanzitutto assieme, per poi essere separati solo dopo la raccolta (mietitura): il buono col buono e il cattivo col cattivo. Ma durante la coesistenza il buono non è ancora il davvero buono e il cattivo non è ancora il davvero cattivo; il male si mescola al bene, pertanto resistere al male diventa qualcosa di naturale per il bene. Resistere qui non significa fare resistenza nel senso di non cedere, di trattenersi dal compiere atti malvagi al fine di mantenere inalterata la propria natura di buoni; resistere qui significa piuttosto contrastare, far guerra al male senza divenirne vittime e al contempo senza entrare nella schiera dei malvagi.
In Blood Diamond di Edward Zwick l’autentico buono non è il povero pescatore a cui i ribelli della Sierra Leone hanno distrutto il villaggio e rapito la famiglia, bensì è Danny Archer (Leonardo di Caprio), un ex soldato dell’esercito regolare che si è messo a fare l’allibratore di diamanti sporchi di sangue. Danny è propriamente ciò che si direbbe un malvagio approfittatore, un astuto ingannatore, ma in realtà si rivela essere piuttosto un uomo intelligente che usa le sue capacità per sopravvivere e soprattutto per andarsene dall’Africa, terra di morte.
Ritorna in Blood Diamond il riferimento alla terra rossa africana, quasi un gioco antico, tra Danny e il suo ex comandante dell’esercito; un segno del radicamento a quella terra tremenda e meravigliosa insieme, un memento per restarvi. L’amore per la famiglia, per la propria terra, per la tranquillità della vita emerge con forza, così come la vittoria finale della verità su tutti i residui di falsità incrostati sul mercato dei diamanti. L’aspetto decisivo è quello di mostrare come la verità (i diamanti “puliti”) e la falsità (i diamanti “sporchi” mescolati con gli altri) siano uno stratagemma capitalistico. Nel traffico legale-illegale di diamanti dal continente africano ne traggono guadagni economici enormi le società europee che monopolizzano il mercato e senza colonizzare fisicamente le terre da cui ricavano le risorse. L’episodio della Sierra Leone rappresentato in Blood Diamond è ovviamente realmente accaduto: i bambini-soldato, i ribelli che asservono i civili per l’estrazione dei diamanti, le rotte commerciali e il processo di vendita dei diamanti e degli oggetti in cui essi sono presenti, tutto questo è vero da cima a fondo. Questo film non lascia spazio alcuno alla classica finzione cinematografica e al contempo non è affatto annoverabile tra i prodotti di intrattenimento dell’industria del cinema.
Il personaggio fondamentale di Blood Diamond, dunque, è proprio Danny Archer, uno di quelli che, riprendendo il Faust di Johann Wolfgang Goethe, «desidera eternamente il male e opera eternamente per il bene». Lo dimostra la toccante scena della sua morte; fino alla fine continua a sparare, ma allo stesso tempo dà consigli e aiuta Solomon (Djimon Hounsou) e il figlio ad andarsene in sicurezza e si commuove quando vede che loro intendono aiutarlo. Questa commozione è indice di riconoscimento: Danny si emoziona perché, finalmente, in un mondo di guerra e violenza, di bugie e di dolore, finalmente trova qualcuno che, come lui, è buono e riconosce quella bontà come vera, come priva di secondi fini malvagi. In quella scena, che dura pochi istanti, il Bene si è liberato dal Male. Ormai i due sono riconoscibili in piena evidenza e possono essere separati: loglio con loglio e il grano col grano.