È curioso come un film sui replicanti sia diventato esso stesso un replicante. Un doppio di se stesso, un revenant destinato a non spegnersi. Ridley Scott ha seguito la duplice direzione delle aspirazioni e del mercato e, dal 1982 in poi, ha prodotto tanti piccoli Blade Runner sempre più profetici e desiderosi – come i loro personaggi – d’infrangere la barriera della mortalità.
Di qualche mese fa la notizia di un secondo capitolo, di oltre ventitré anni, il Director’s Cut. Il fatto che Blade Runner continui a parlare all’intelligenza del pubblico è ormai un dato di fatto; non si tratta di un semplice film di culto, di un fenomeno pop alla Blues Brothers in grado di causare la sola impennata di vendite di occhiali o feticci da amatori.
Blade Runner di Ridley Scott è ciò che comunemente si usa definire immortale. Non solo perché resiste al tempo e allo spazio senza scadere mai nella minestra riscaldata di cui prequel e sequel facilmente abbondano ma perché, incredibilmente, risulta essere cadenzato sulla contemporaneità. [Continua a leggere su NPC Magazine]
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[…] (volontari o involontari) a romanzi come La bussola d’oro (1995) di Philip Pullman o al film Blade Runner (1982), a sua volta basato sul romanzo Il cacciatore di androidi (1968) di P. K. […]