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Biden, l’Afghanistan e i soliti errori: una riflessione

3 minuti di lettura

Il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, la presa di Kabul e le immagini strazianti della fuga dei cittadini afgani hanno sollevato molte polemiche ma soprattutto molte domande: perché Biden non ammette la sconfitta? Che senso ha avuto la guerra in Afghanistan?

16 agosto 2021. Joe Biden, Presidente USA dallo scorso novembre, si è rivolto alla nazione con il suo look che sempre lo ha contraddistinto: occhi socchiusi, sguardo deciso, parole ben scandite dai gesti delle mani  e la vecchia retorica del buon padre di famiglia, per dire che «i soldati USA non possono continuare a morire in Afghanistan». Cosa che sembrerebbe molto pacifista, se non fosse che, a quanto pare, possono benissimo morire in Liberia, Siria e Iraq, dove le truppe arrivano eccome. Biden ha parlato alla nazione dopo i fatti di Kabul che nei giorni scorsi hanno fatto il giro del mondo: la riconquista dei territori afgani per mano dei talebani, che di fatto riportano il Paese a 20 anni fa. 

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Il suo, c’è poco da dire, è stato un discorso codardo. Non codardo per la sacrosanta decisione di non spedire ulteriori truppe, ma perché non ha avuto il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e spiegare all’America e al mondo come sono realmente andate le cose in Afghanistan. 

Afghanistan Ragazza Burqa - Foto gratis su Pixabay
Ragazze afgane, pixabay

Quello che emerge dal discorso è che Biden non ha voluto ammettere che la guerra in Afghanistan non solo è stata persa – peraltro in modo vergognoso con 2300 miliardi di dollari e tante vite buttati al vento – ma anche che è stata una guerra sbagliata sin dal principio. 

Torniamo indietro

Tutto nasce dal forte impatto emotivo figlio dell’11 settembre 2001. L’evento traumatico richiede azioni immediate e forti: il popolo, allora guidato dal Presidente repubblicano Bush chiede sangue e vendetta e la nazione è pronta a darglieli. Tuttavia i dirottatori artefici degli attentati alle torri gemelle non erano soldati di un esercito, bensì membri di un’organizzazione terroristica di cui si sapeva poco o nulla. Ma questo, a quanto pare, agli americani non interessava e, individuato un possibile luogo d’origine dei terroristi, applicarono il metodo al napalm: invasero senza alcuna pietà a forza di  razzi e bombe un Afghanistan ex sovietico, ex mujaheddin e neo talebano (ma sempre povero in canna). Tutto, chiaramente, in diretta TV, così da assicurare all’americano medio la confortante visione dello sfracellamento dei mediorientali, che da qualche mese erano divenuti vittime di discriminazioni e crimini d’odio anche in America. 

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Truppe americane in Afghanistan, Sam Shepard/CPL

Il piano americano e oggi

Una volta occupato l’Afghanistan, gli americani si misero a propagandare la vita all’occidentale, libera e consumista, bene accolta da una buona fetta della popolazione locale. Insomma, la solita “esportazione di democrazia” a suon di bombe e tavolette di cioccolato di cui noi italiani sappiamo qualcosa. Nel frattempo si instaurò di nuovo il governo dei mujaheddin, «più corrotto e inefficiente che prima», con il consistente appoggio americano. 

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E poi oggi. Quando l’opinione pubblica statunitense raffredda e la sofferenza dell’11 settembre sembra alle spalle, gli americani decidono di andarsene alla chetichella. Nel giro di (incredibilmente) poco tempo, i talebani si riprendono tutto, combattendo contro un governo e un esercito incapace e indolente. 

Nel mentre, gli afgani a cui hanno fatto assaggiare il sapore della libertà e che adesso si ritrovano sottoposti alla sharia vengono abbandonati al loro destino, ça va sans dire. Perché? Molto semplice, perché la loro tranquillità, i loro diritti umani, la loro libertà (al contrario della nostra) «non sono nel nostro interesse», come ha ammesso Biden. Lo stesso Biden che voleva far tornare l’America l’alleato sicuro e escludeva una nuova Saigon.

Una doppia codardia

La guerra, è chiaro, è guerra, si fa perché serve a chi la fa e non è etica di per sé. Ma allora perché mascherare i propri interventi a salvaguardia degli interessi militari e politici con la scusa della democrazia e della libertà? Perché non dire che si va in certi paesi, li si sfrutta (politicamente ed economicamente) finché servono, si illude la popolazione e poi li si abbandona quando non sono più fruttuosi? Ecco l’umanitarismo (leggasi utilitarismo) americano, buono per le copertine del Times dove il soldato abbraccia il bambino, ma sempre finché è nel nostro interesse. 

Kabul come Saigon, quel parallelo storico attraverso le immagini-  Corriere.it
Kabul e Saigon, Twitter

Ed ecco la doppia codardia di Biden. La prima è quella di non ammettere la débâcle, di non dire che la guerra è stata persa, sbagliata, mal condotta. La seconda è quella di lasciare gli afgani in mano ai talibans con la scusa che «noi in Afghanistan ci siamo andati per combattere il terrorismo, non per creare uno stato». Eppure l’Afghanistan cela numerosi interessi economici, uno fra tutto il passaggio degli oleodotti lungo la rotta che va dall’India al mar Caspio. 

L’Afghanistan, gli afgani e la democrazia servono solo quando ci “interessano”? Poi non si stupisca nessuno se nel prossimo paese in cui gli americani porteranno “la democrazia”, questi verranno presi a sassate. Ah, e per chi si chiedesse cosa fa Di Maio in tutto questo: il nostro ministro degli esteri è in vacanza in Puglia. E forse è meglio così.

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In apertura, un fotogramma del discorso di Biden del 16 agosto

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