Dare una definizione compiuta ed univoca del pensiero medievale, alla luce delle conoscenze attuali, è impossibile. Questo perché il Medioevo, come tutta la storia, ha avuto le sue luci e le sue ombre; ha avuto i suoi Rinascimenti e le sue decadenze. Bernard de Fontaine (1090-1153), fondatore dell’abbazia di Clairvaux, per questo conosciuto come Bernardo di Chiaravalle, fu l’espressione più chiara e più autentica di uno dei volti del XII secolo: quello che guardava con esclusività allo spirito (cristiano per essere precisi). Senza mediazioni, senza necessità filosofiche.
Negli anni in cui comparivano i primi nuovi filosofi latini, in cui si tornava a riflettere sulla possibilità di un ritorno alla speculazione filosofica – che dopotutto lo stesso Agostino aveva amato prima di rinnegare – Bernardo rimane la forza centripeta che spinge verso un’unica necessità: la fede assoluta. Aveva ottime doti d’intellettuale – non si pensi ad un estremista cieco e sordo – ma per una precisa volontà concentrò tutte le sue capacità nella strenua difesa del valore spirituale a discapito della mondanità.
Dalla fondazione di Clairvaux all’indizione della Seconda Crociata, dalle polemiche filosofiche e teologiche con la condanna di Abelardo alle critiche sulla dispendiosa cattedrale di Suger a Saint Denis, sino all’atto di riconoscimento dei Templari, Bernardo di Chiaravalle è stato la voce della Chiesa del XII secolo.
Il monaco dei monaci, l’Ordine cistercense, l’abbazia di Chiaravalle: Bernardo, opinionista ante litteram
Il mondo attuale, tra radio, giornali, televisioni e web, ci ha abituati ormai alla figura dell’opinionista. L’estrema competenza nella dottrina che aveva sviluppato nel XII secolo, consentì a Bernardo di intervenire, come gli opinionisti di oggi, quasi sempre liberamente – e spesso di sua spontanea volontà – nelle discussioni più accese del suo tempo. Non solo. La sua parola godeva di assoluta autorevolezza, fungendo sovente da vero e proprio “via libera” sul da farsi. Se Bernardo si metteva di traverso, era come avere di traverso la Chiesa stessa.
Questo suo potere deriva da una condizione di assoluto prestigio. Fu certamente il monaco dei monaci, cioè uno tra i più celebri frati della storia, fondatore nel 1115 di Clairvaux, in Francia, abbazia che diverrà importantissima, una delle quattro “primigenie”, cioè una delle prime quattro affiliate alla prima abbazia cistercense, cioè Cîteau. Gli abati nel Medioevo godevano di un potere persino superiore rispetto a quello di vescovi o governatori locali; figurarsi quello di una delle sedi cardine dei Cistercensi.
Le basi ideologiche della Seconda Crociata
Papa Eugenio III, salito al soglio di Roma nel 1145, incaricò proprio l’autorevole monaco di predicare a favore della Seconda Crociata, inizialmente pensata per coinvolgere soprattutto i francesi, ma che Bernardo riuscì ad estendere anche ai tedeschi. Obiettivo: la conquista di Damasco in mani musulmane. Ideologia fomentata da Bernardo e capacità di persuasione non bastarono: la crociata si rivelò fallimentare. Quei musulmani non erano in cattivi rapporti con Gerusalemme, anzi. Bernardo di Chiaravalle morirà poco dopo, nel 1153.
Accusa a Pietro Abelardo: la condanna alla filosofia
Una delle dispute nella quali Bernardo di Chiaravalle entrò a gamba tesa, fu senza dubbio quella contro il filosofo e teologo Abelardo, primissimo precursore della Scolastica e della nuova filosofia latina. Di Abelardo si potrebbe dire tanto. Commovente rimane il suo amore (ricambiato) con Eloisa, nipote del canonico di Notre-Dame, nonché sua allieva, per il quale Abelardo subì la tremenda pena dell’evirazione. Ma non saranno certo questi i motivi che lo porteranno in collisione con Bernardo.
Pietro Abelardo era convinto di poter dimostrare la fede e l’esistenza di Dio per mezzo della ragione. Contemplava la possibilità degli studi filosofici, di una possibile coniugazione della teologia con la speculazione dei pensatori antichi. Questo connubio sarà consacrato più avanti da Tommaso D’Aquino e da Alberto Magno. Con tali idee (dichiarate formalmente eretiche dalla Chiesa nel 1139), si avventurò in un’opera di esegesi dei testi sacri e di interpretazione dei dogmi cristiani. Gli costò carissimo.
Oltretutto era stato maestro di Giovanni da Salisbury, un Machiavelli ante litteram del XII secolo, che con i suoi scritti sostenne apertamente la necessità di una separazione tra potere temporale e spirituale e non è detto che presso la scuola di Abelardo non se ne fosse discusso. Insomma, Pietro era visto come un “libertino”, forzando il termine quanto basta. Consapevole della sua piena autorevolezza, Bernardo di Chiaravalle rilevando una minaccia alla fede, lo fece condannare.
La condanna passò prima da Sens, in Francia, nella cui cattedrale Bernardo lesse le tesi di Abelardo ritenute eretiche, dinnanzi al re, dopo averle fatte già sottoscrivere dai vescovi. Poi, saputo del tentativo del teologo avversario di voler chiedere l’intercessione presso il Papa, riuscì ad entrarvi in contatto per primo e a farsi dare ragione. Abelardo non fece neppure in tempo a giungere a Roma che la notizia della ratifica papale alla condanna – e quindi la conferma del forte potere di Bernardo – lo colsero ancora in viaggio.
Suger e il cantiere di Saint Denis: la condanna allo sfarzo
A Saint Denis, per opera del visionario abate Suger, appoggiato dal re di Francia suo amico e compagno di studi in giovane età, si stava avviando in quegli anni il cantiere probabilmente più importante del Medioevo, quello che avrebbe fatto sorgere la prima cattedrale gotica della storia. Suger aveva letto trattati sulla luce, intesa anche in chiave teologica come manifestazione di Dio nel mondo. Voleva una chiesa maestosa, mai vista prima, dove la luce giocasse un ruolo chiave.
Coniugando esperienze architettoniche, tecniche, scientifiche ed ingegneristiche, consegnategli dai libri, da esperti consultati, ma anche dai viaggi, Suger elabora un progetto senza precedenti. Per farlo riesce a raccogliere un quantitativo inimmaginabile di ricchezze, molte furono offerte tanto dal re di Francia quanto dall’aristocrazia, devota a San Dionigi e certamente adeguatamente suggestionata dallo stesso Suger.
Bernardo di Chiaravalle si scaglierà fortemente contro l’opera. All’abbazia cistercense erano infatti giunte le notizie sull’enorme costo del cantiere e sulle spese folli di Suger. E forse anche sul progetto maestoso che avrebbe dato una visibilità “pericolosa” ad un altro abate diverso da lui. Poco impiegò Bernardo a definire quello addirittura come “il cantiere del demonio”. Suger si giustificò dichiarandosi seguace della corrente teologica che vedeva anche nei beni materiali la magnificenza di Dio.
Dopo una battaglia a colpi di missive – stavolta Suger non era un nemico con pochi agganci come il povero Abelardo – e una lusinghiera promessa di far aderire i monaci di Saint Denis alla regola di Clairvaux, il cantiere poté continuare: Bernardo diede la sua “benedizione” e in cambio ottenne da Suger un punto in più per la sua regola monastica. Una reciproca legittimazione politica diremmo oggi.
De laude novae militiae ad Milites Templi: Bernardo di Chiaravalle scrive la Regola dei Templari
A Bernardo si deve anche la legittimazione ideologica dell’operato dell’ordine monastico-cavalleresco più famoso della storia: i Templari. Un po’ come si cercherebbe oggi una prefazione per un libro firmata da un personaggio autorevole, il neonato Ordine dei cavalieri del Tempio di Salomone, era in cerca di una legittimazione autorevole. Andava sancita la nascita di una figura mai vista prima: il monaco-guerriero.
L’unico attraverso il quale una congiunzione apparentemente assurda e paradossale poteva divenire acclamata e accettata da tutta l’opinione pubblica, era Bernardo di Chiaravalle. “De laude novae militiae ad Milites Templi”, la Regola dell’Ordine dei Templari, fu dunque redatta da Bernardo tra il 1128 ed il 1136. Come la ottennero i Templari? Come convinsero il potente abate a metterci la firma? Attraverso la più classica delle scorciatoie: la raccomandazione.
Secondo attendibili ricostruzioni questa scorciatoia sarebbe stata trovata dal primo Gran Maestro dell’Ordine, Hugues De Payns, che aveva legami con i Cistercensi e con lo stesso Bernardo. Dopotutto i vertici templari non erano crociati qualsiasi, erano cavalieri europei di alto lignaggio, soprattutto francesi, vicini anche alle abbazie. Nello scritto di Bernardo, difatti, il monaco si rivolge al capo templare con un linguaggio che fa trasparire chiaramente un qualche legame affettivo e di amicizia.
Mi hai chiesto di scrivere un discorso di esortazione per te e per i tuoi compagni d’arme e di brandire lo stilo, dal momento che non mi è concesso brandire la lancia, contro un nemico tirannico. (De laude)
L’impostazione della Regola e i contenuti
Un nuovo genere di Cavalleria è apparso nel mondo e proprio in quella contrada che un giorno Colui che si leva dall’alto visitò […] Essi combattono senza tregua una duplice battaglia, sia contro la carne e il sangue, sia contro gli spiriti maligni del mondo invisibile (De laude)
Bernardo apre l’opera con un elogio al nuovo ordine militare, con la spiegazione teologica della necessità di questa nuova compagine e con la giustificazione di una lotta armata per la fede, che non sia offensiva, ma principalmente difensiva.
Davvero impavido e protetto da ogni lato è quel cavaliere che come si riveste il corpo col ferro, così riveste la sua anima con l’armatura della fede […] L’anima non muore con l’uccisione del corpo. Morirà l’anima che ha peccato. (De laude)
Seguono critiche alla cavalleria comune, ai cavalieri dell’epoca, rivestiti di armature scintillanti, di gioielli, ti vesti preziose e sfarzose; una critica in linea con la rigida regola di Bernardo. I nemici per Bernardo non devono invidiare i cavalieri, ma temerli. L’avversario non deve desiderare le stesse ricchezze, ma ammirarne il coraggio. Poiché:
Il cavaliere di Cristo con sicurezza dà la morte, ma con sicurezza ancora maggiore cade. (De laude)
E prima di addentrarsi in una descrizione sulla sacralità dei luoghi della Terra Santa, Bernardo descrive anche lo stile di vita che questi nuovi cavalieri s’impongono: austerità, povertà (nonostante nei decenni l’Ordine diverrà il più ricco di sempre), semplicità nel vestirsi, vita comune presso il Tempio, con beni condivisi, come fossero un unico spirito.
Diresti che questa gente abbia un cuore solo ed un’anima sola. (De laude)
Avere una tale presentazione, sottoscritta da Bernardo di Chiaravalle, per i Templari ha significato molto. Un po’ come una spunta azzurra su un profilo social di oggi, un’autenticazione. Bernardo aveva “certificato” l’Ordine, gli intenti e i suoi componenti: era come se a farlo fosse stata la Chiesa nella sua totalità.
Forse anche questo portò i Templari a ricevere immense offerte da tutto il mondo, dopo la nascita di questa leggenda, fomentata da Bernardo, di misteriosi monaci combattenti in una terra lontana di cui poco si sapeva, di angeli custodi per i pellegrini in giro per il mondo. Immaginiamo l’impatto che tale novità ebbe sui tempi, anche in termini di suggestione. L’Ordine ebbe un sostegno enorme, fu esentato dalle tasse da quasi tutti i sovrani, ebbe potere sovranazionale, quasi come una sorta di Croce Rossa.
Così influente da aprire la via per il Paradiso: Bernardo di Chiaravalle e la Commedia di Dante
Credea veder Beatrice e vidi un sene / vestito come le genti gloriose. / Diffuso era per li occhi e per le gene / di benigna letizia, in atto pio / quale a tenero padre si convene. (Divina Commedia, Paradiso, XXXI, 59-63)
Ci troviamo quasi nel punto più alto del viaggio dantesco della Commedia, nel Paradiso, quasi al cospetto della Vergine. Dante si volta credendo di parlare con la sua accompagnatrice e amata Beatrice, ma trova un anziano: è Bernardo di Chiaravalle, che lo assisterà nei gradi più alti della sua ascesi. La scelta di Dante fa chiaramente capire l’influenza dell’abate di Clairvaux su tutta la tradizione religiosa successiva.
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Non si poteva non citare questo passaggio, poiché rende l’idea dell’impronta lasciata da Bernardo, nel mondo cristiano e nella letteratura, anche dopo la sua dipartita. L’unico ritenuto degno da Dante di poter accedere al divino è proprio lui.
Bernardo, come vide li occhi miei / nel caldo suo caler fissi e attenti, / li suoi con tanto affetto volse a lei, / che ‘ miei di rimirar fé più ardenti. (Divina Commedia, Paradiso, XXXI, 139-142)
Bernardo scorge gli occhi di Dante caldi, quasi lacrimanti, alla vista della Vergine in trono e a sua volta si volge ad ammirarla. E Dante si commuove ancor di più all’immagine del Santo che scruta la Madonna.
Ancora riferimenti templari?
Sono in molti a ritenere che Dante abbia incluso all’interno del testo anche riferimenti ai Templari, ordine monastico del quale guarda caso proprio Bernardo aveva costruito la Regola. I Templari, negli anni cruciali del Medioevo, furono un tramite straordinario di conoscenze, un ponte tra Oriente e Occidente. Forse anche tramite questi ponti molte opere filosofiche e scientifiche arabe, sicuramente consultate da Dante, arrivarono in Europa. Il poeta ha incluso quindi riferimenti all’Ordine divenuto tanto celebre?
In forma dunque di candida rosa / mi si mostrava la milizia santa / che nel sangue di Cristo fu sposa. (Divina Commedia, Paradiso, XXXI, 1-3)
Lo stesso canto in cui Dante incontra Bernardo, la sua ultima e più nobile guida, si apre con questo passaggio. Nel descrivere gli esseri angelici, le entità divine che trova in quell’atmosfera sacra, il poeta sceglie di usare il termine “milizia” perché? Si tratta di casualità o di un riferimento a quella milizia “battezzata” da Bernardo, “candida” come il manto che portava e fedele nel sangue a Cristo? Suggestioni? Suggestione anche che Dante ancora nello stesso canto si definisca proprio “pellegrino”?
E quasi peregrin che si ricrea / nel tempio del suo voto riguardando… (Divina Commedia, XXXI, Paradiso, 43-44)
Un pellegrino che si ristora guardandosi intorno nel tempio oggetto del proprio voto. E chi meglio dei Templari, legittimati dal nostro Bernardo, un pellegrino medievale avrebbe potuto incontrare lungo la strada per il tempio? Alle nostre domande forse non avremo mai risposta. Chissà se invece Bernardo di Chiaravalle, dopo una vita dedicata alla spirito, abbia trovato finalmente risposte alle sue di domande.
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Bibliografia essenziale e fonti
- Bernardo di Chiaravalle, De laude novae militia ad Milites Templi
- Dante Alighieri, Divina Commedia
- Marie-Dominique Chenu, La teologia nel XII secolo
- Alain Demurger, I Templari
- Gianluca Briguglia, Il pensiero politico medievale
- Otto Von Simson, La cattedrale gotica. Il concetto medievale di ordine
- Franco Cardini, Bernardo di Clairvaux, Lode della nuova cavalleria
- C. Esposito, P. Porro, Storia della filosofia antica e medievale
- Franco Cardini, Il movimento crociato
- Carlo Tosco, Andare per le abbazie cistercensi
- A. Rapetti, Claudio Azzara, La Chiesa nel Medioevo
- https://it.wikipedia.org/wiki/Bernardo_di_Chiaravalle
Leggendo il testo parrebbe potersi dedurre che Abelardo subì l’evirazione per l’amore che ebbe per Eloisa e, dato il contesto, che in qualche modo San Bernardo ne avesse qualche responsabilità o che Abelardo avesse avuto questa ritorsione a causa di sospetta eresia.
In realtà ad evirarlo (illegalmente) furono tre sicari, inviati nottetempo, mentre Abelardo dormiva nella propria casa, dai parenti di Eloise, convinti che Abelardo l’avesse costretta a farsi monaca (nel monastero di Argenteuil) per liberarsi di lei, e decisi a vendicarsi, lo aggredirono e lo castrarono. E’ un fatto, invece, che Abelardo avesse sposato Eloise, a seguito della nascita del loro figlio Astrolabio, un “matrimonio riparatore”, dunque, ma che volesse tenere tale matrimonio (religioso ovviamente) riservato in quanto egli era un chierico. Quindi: matrimonio sacramentale, questione d’onore e rispetto davanti a Dio, a suggello di una relazione in cui nasce un figlio, impegno reciproco per la castità, riservatezza per evitare gli scandali, vita in un convento che non è da vedersi, come si vedrebbe oggi secondo la mentalità moderna, come una prigione, ma come un luogo d’elezione per la protezione, come non lo fu per Lucia Mondella ad esempio. Il Medioevo va letto con gli occhi scevri dai pregiudizi postrivoluzionari laicisti.