È innegabile che il nostro paese detenga il record per il patrimonio artistico e culturale nel mondo. Nello scorso luglio, l’Unesco nella 41ª sessione del Comitato che decide quali luoghi di interesse culturale, naturale o di significativa importanza inserire nella lista mondiale, ha portato l’elenco per l’Italia a 53 siti, distribuiti in 17 regioni. Se da una parte abbiamo la soddisfazione del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, nonché del ministro degli Esteri Angelino Alfano che ha definito l’Italia «un’autentica superpotenza di cultura e bellezza», dall’altra non si può non pensare che il nostro patrimonio non è valorizzato quanto si dovrebbe, e soprattutto non è sempre conservato nella maniera idonea. Troppo vasto, e per questo sottostimato e chi ai piani alti dovrebbe non si impegna per promuoverlo e preservarlo. Problemi economici, di organizzazione, carenze di natura professionale, mancanza di coordinamento tra i vari enti, insomma poche risorse al confronto della grandezza quantitativa e ricchezza di valore dei beni che necessitano di manutenzione. Ma anche e soprattutto miopi visioni dirigenziali.
Ci sono ovviamente degli esempi in controtendenza: dal 2007 al 2013 un lungo restauro ha interessato la Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, in provincia di Enna. La complessa struttura risale al IV sec. d.C. e il parco archeologico, la Villa e i suoi famosi mosaici pavimentali sono stati dichiarati patrimonio dell’Unesco nel 1997. Il progetto di recupero, durato 6 anni, realizzato con il contributo della Comunità Europea, sotto l’egida dell’alto commissario Vittorio Sgarbi, è stato eseguito da cinquanta giovani restauratori provenienti da tutta Europa. Anna Panariello è una di loro ed abbiamo il piacere di intervistarla.
Grazie Anna Panariello per la tua disponibilità. La prima domanda è d’obbligo: sei originaria di Scafati, a una manciata di chilometri di distanza da Pompei e dalla sua zona archeologica. Quanto ha influito questo sulla scelta dei tuoi studi e della tua professione?
Da piccola ero brava a disegnare, questo dono mi ha avvicinato all’arte figurata e alla storia dell’arte e ovviamente ne ho subìto il fascino intraprendendo un percorso di studi artistici, con grande disperazione della mia famiglia, che mi ha spesso ripetuto “con l’arte non si mangia”. Sinceramente il restauro non era nei miei progetti, ma un giorno visitando Pompei scavi, avevo più di 20 anni (e Pompei scavi la conoscevo molto bene), mi è sembrato di vederla per la prima volta, ne sono rimasta estasiata, una città ferma nel tempo…. Tutto fermo come il giorno dell’eruzione di 2000 anni fa. In quel momento si è accesa la lampadina: “questa meraviglia va conservata”. Passeggiando per quelle strade e visitando le domus come un ospite indiscreto, la mia attenzione è stata catturata da un cartello “Lavori in corso”, c’era un numero di telefono, ho chiamato… Quel giorno è iniziata la mia avventura nel restauro.
Alla Villa Romana a Piazza Armerina hai lavorato in un cantiere straordinario, hai contribuito a ridare splendore a ben 4.100 metri quadrati di mosaici. Quali tecniche sono state utilizzate?
La villa Romana del Casale di Piazza Armerina è stato un lavoro molto impegnativo e duro, ma di grande crescita professionale. La villa è unica nel suo genere e lavorarci è stato un vero privilegio. Gli affreschi e i mosaici della villa sono stati puliti, consolidati e protetti, che sembra facile a dirsi ma data l’estensione e le diverse problematiche che si riscontravano nelle aree della villa, coordinare ed unificare l’intervento è già stato un grande lavoro. Le tecniche ed i prodotti utilizzati sono stati differenziati, studiati e mirati al tipo di degrado che si riscontrava. Nell’area interessata dai lavori di restauro non sono stati condotti scavi, ma nell’area archeologica poco distante dalla villa ogni anno l’università La Sapienza di Roma realizza una campagna di scavo archeologico.
Quali sono le problematiche della professione di restauratore? E quali invece le maggiori soddisfazioni?
La più grande problematica di questo lavoro è anche il suo più grande fascino: il viaggio continuo, valigia sempre pronta e radici da nessuna parte. La grande soddisfazione è il lavoro in sé. Curare i monumenti, gli affreschi, i mosaici è come curare un malato che poi guarisce. Riuscire a riconoscere ed eliminare quello che danneggia e degrada l’opera e vederla guarire è una grande soddisfazione. Poi io mi sento una privilegiata, posso toccare con mano il timpano di un tempio greco, abbracciare una colonna… sarò una stupida romantica ma ancora oggi questo mi fa venire i brividi.
Attualmente sei impegnata in Libano nel restauro di alcuni templi. In cosa consiste il tuo lavoro?
Attualmente sono a Baalbek nella valle della Beqa. Sono impegnata nel restauro dei resti del tempio di Giove, che consistono in sei colonne con architrave alte circa 35 metri, un’opera colossale. Il lavoro di restauro consiste nel conservare questo monumento, proteggerlo dai fattori ambientali che sono poi la causa del degrado della pietra. Eliminare ciò che danneggia il monumento: attacco biologico, croste nere che si formano a causa dell’inquinamento, eliminazione di elementi incompatibili aggiunti nei precedenti restauri, consolidare la superficie e preservarla per quanto possibile da infiltrazioni e depositi vari.
Baalbek, tempio di Giove
Quali sono le differenze sostanziali che trovi lavorando all’estero? C’è più consapevolezza delle proprie radici storiche e culturali e una maggiore cura per salvaguardare il proprio patrimonio rispetto all’Italia?
L’Italia per tradizione e cultura fa scuola di restauro in tutto il mondo. Il Libano ha un grande patrimonio di beni archeologici e come l’Italia non sempre riesce a gestirlo al meglio. Per la mia esperienza all’estero, è vero che c’è molta attenzione per i beni culturali, che sono molto ben curati e sicuramente sono risorse sfruttate molto meglio di quanto riesca a fare il nostro paese. È pur vero però che quasi nessun altro paese ha la quantità e la qualità dei nostri beni storico-artistici, che non giustifica la nostra poca cura, ma sicuramente non è facile gestire e manutenere un patrimonio come quello italiano.
Secondo te, cosa dovrebbe migliorare nel nostro paese affinché ci sia una vera promozione e conservazione ideale dei nostri beni culturali?
La sensibilizzazione scolastica e formazione del restauratore. Fin dai primi anni di scuola i ragazzini dovrebbero essere formati e informati sulla questione della conservazione della nostra storia, la scuola dovrebbe creare delle attività nei siti. Sembra assurdo ma in Italia la figura del restauratore è ancora in “corso d’opera”, le scuole riconosciute che formano il restauratore sono solo tre. Non sono sufficienti. Da quasi 20 anni ormai si aspetta di sapere dal ministero quali sono le figure professionali riconosciute come restauratori.
Esistono delle realtà imprenditoriali private che stanno investendo molto sul nostro patrimonio artistico. Il primo esempio che mi viene in mente è la casa di produzione Magnitudo Film che ha realizzato una serie di lungometraggi in 3D: Firenze e gli Uffizi, Musei Vaticani, Raffaello. Veri e propri film d’Arte per il cinema, capaci di rendere tanti capolavori accessibili a tutti grazie alle più sofisticate tecnologie. Cosa ne pensi?
Penso che le nuove tecnologie sono la strada giusta verso la sensibilizzazione del patrimonio artistico, esse permettono di rivedere e rivivere le ambientazioni antiche. Soprattutto i siti archeologici non sempre sono di comprensione per i non studiosi, la ricostruzione 3D permette a tutti la lettura e la comprensione del ritrovamento archeologico.
Frammenti ringrazia ancora Anna Panariello per la disponibilità e per le foto meravigliose a corredo dell’articolo.