La nuova commedia dei fratelli Ethan e Joel Coen, Ave, Cesare! è nelle sale italiane da un paio di giorni, ma oltreoceano ha già avuto il tempo di raccogliere consensi e critiche. I giudizi coprono tutta la gamma tra il “meraviglioso” e il “deprimente”: per capire da che parte stare, bisogna vederlo.
O si odiano o si amano. I fratelli Coen, “il regista a due teste”, con il loro cinema buffonesco e surreale e la capacità di toccare temi profondi con un leggerezza non comune si sono conquistati una consistente popolarità, ma non hanno nemmeno mancato di suscitare perplessità, perfino con i loro capolavori da Premio Oscar (Non è un paese per vecchi). Ave, Cesare! sarebbe dovuto essere il terzo film della cosiddetta “trilogia dell’idiota” (preceduto da Fratello, dove sei? e Prima ti sposo, poi ti rovino), ma è stato poi sostituito da Burn After Reading – A prova di spia. Dai suoi predecessori, comunque, Ave, Cesare! eredita un George Clooney nel ruolo del protagonista un po’ tonto e le velate critiche alla religione, al capitalismo, al consumismo in generale, oltre naturalmente al carosello di strambi personaggi che si susseguono scena dopo scena.
La vicenda è ambientata nella Hollywood dei primi anni ’50 e racconta una “normale” giornata del fixer Eddie Mannix (Josh Brolin), il cui compito principale è risolvere tutti i problemi causati dalle esigenti star dei Capitol Pictures Studios. L’onnipresente orologio da polso di Mannix scandisce ogni momento del suo lavoro – ma in realtà praticamente in ogni scena è presente un orologio in qualche forma. L’uomo, apparentemente sicuro di sé e inflessibile, è in realtà tormentato dai dubbi, tanto da cercare una quasi ossessiva consolazione nella religione: è questa sua caratteristica che lo rende il più umano tra i personaggi e anche l’unico con cui lo spettatore possa davvero identificarsi.
Intorno a lui, una serie di surreali personaggi, a partire dall’insipido Baird Whitlock (George Clooney), attore di punta del kolossal Ave, Cesare! (sì, il titolo è lo stesso del film principale). Whitlock, protagonista della seconda trama del film, viene rapito da un gruppo di attivisti che si fanno chiamare “Il Futuro” e che si rivelano comunisti in contatto con i russi: a Mannix spetta naturalmente il compito di tirarlo fuori dai guai, dribblando le insistenze delle cacciatrici di scoop Thora e Thessaly Thacker (Tilda Swinton). Nel frattempo, però, altre situazioni richiedono l’attenzione del fixer: da un lato l’attrice snob DeeAnna Moran (Scarlett Johansson), incinta di un uomo sconosciuto; dall’altro il regista perfezionista Laurence Laurentz (Ralph Finnies), scontento dell’attore Hobie Doyle (Alden Ehrenreich) che, abituato alla crudezza dei film western, non riesce a soddisfare le sue esigenze.
Tra scenette divertenti e dialoghi surreali i Coen mettono in scena un omaggio alla Hollywood di altri tempi. I generi cinematografici sono tutti presenti: il kolossal alla Ben Hur, il western, il melò inglese, il musical, con tanto di tip tap alla Fred Astaire eseguito, in una scena magistrale, da Channing Tatum. Al tempo stesso, però, non mancano le critiche: se gli attori dei “film dentro il film” incarnano i prototipi delle celebrità viziate e problematiche, dall’altro lato l’onnipresente Mannix è una denuncia del rigido controllo, talvolta lesivo della privacy, a cui gli studios sottoponevano le loro star . E nel fatato mondo di Hollywood, di tanto in tanto, fa capolino anche la realtà: è così che si percepisce che il cinema degli anni ’50 si trovava sull’orlo di un pericoloso precipizio, diviso tra l’esigenza di inventare nuove forme per tenere testa alla concorrenza della sempre più diffusa televisione e l’isterica paura di aver già dato tutto il suo meglio.
Al di fuori dei Capitol Pictures Studios, poi, si apre tutto un mondo a cui i registi dedicano poche scene, ma di grande effetto. Immancabile è il riferimento, ironico e leggermente polemico, alla religione, in particolare nella divertente scena in cui un prete cattolico, uno ortodosso, un pastore e un rabbino – viene da chiedersi se anche gli americani abbiano barzellette che iniziano così – si trovano a discutere della fedeltà storica del film Ave, Cesare!, ma finiscono poi per disquisire di profonde e irrisolvibili questioni teologiche. Anche la politica fa la sua apparizione nell’appassionata critica al capitalismo fatta dai rapitori di Whitlock, che però perdono tutta la loro credibilità rivelandosi, alla fine, più tonti del protagonista stesso.
Come sempre, c’è moltissima carne al fuoco. Ma nessuna questione viene realmente sviscerata fino in fondo: non c’è mai una polemica vera e forte, ma soltanto brevi accenni, quasi dei leggeri tocchi, che sfumano in una risata liberatoria, lasciando lo spettatore leggero ma con qualcosa su cui riflettere. La doppia natura di questo film – scanzonato da un lato, critico dall’altro – è incarnata alla perfezione dalla scena finale, che da sola varrebbe tutto il film. D’altra parte l’intenzione dei registi, come loro stessi hanno dichiarato, era scrivere una lettera d’amore al mondo di Hollywood. E così Ethan e Joel hanno realizzato un pellicola che non risulta mai pensante, che guarda al mondo che li ha resi celebri con l’occhio indulgente di chi ne conosce pro e contro ma, in fondo, non lo vorrebbe diverso da come è.
Questo è, insieme, il pregio e il difetto di Ave, Cesare! Tematiche importanti sono presenti e anche in misura massiccia, ma su nessuna di esse si riflette seriamente. Anzi, “serietà” è proprio la parola che non dovrebbe comparire – se non al negativo – nella descrizione di questo film: nessuno dei personaggi, nemmeno il granitico Mannix, può essere preso seriamente; tutti quanti sono eroi comici, che iniziano e terminano il loro percorso ai Capitol Pictures Studios, senza che nulla per loro sia cambiato nelle 24 ore in cui li accompagniamo. Per questo motivo, Ave, Cesare! è un film che può non piacere a tutti. Chi è interessato ad una satira più impegnata non rimarrà soddisfatto; chi, semplicemente, desidera un film leggero e frizzante e chi guarda con nostalgia alla Hollywood del secolo scorso, invece, passerà due piacevoli ore.
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