di Margherita Vitali
Doveva essere una giornata di festa a Suruc, in Turchia. Ieri, 20 luglio, la Federazione delle Associazioni della Gioventù Socialista si era riunita nella città per dare un esempio di solidarietà al mondo intero e contava circa 300 giovani giunti da Ankara, Diyarbakir, Istanbul e Smirne. Lo scopo della riunione era concordare le ultime fasi per la missione che di lì a poco sarebbe partita e che li avrebbe condotti a Kobane, la città simbolo della resistenza contro l’Isis, a ferro e a fuoco dopo mesi di lotta.
Volevano andare, portare aiuti umanitari concreti alla città, dare una mano per la sua ricostruzione, donare giocattoli ai bambini segnati dalla guerra. «Sventolavano striscioni, c’era tanto entusiasmo» raccontano.
Eppure da Suruc non partiranno mai, perché in quel clima di festa all’improvviso è scoppiata una bomba, un kamikaze.
Il numero delle vittime ancora non è chiaro, c’è chi parla di 30, chi di 50. «Questo attacco è diretto contro la pace, la democrazia e la stabilità di tutta la Turchia, e non solo di un gruppo» ha detto il premier turco Davutoglu. Infatti questo è un attacco diretto non solo contro la Turchia, ma contro la solidarietà e la libertà stessa. I giovani giunti ad Ankara avevano la volontà di andare in Siria, sfidare il pericolo imminente nel nome della loro sconfinata umanità. La città turca aveva già mostrato il suo volto solidale accogliendo circa ventimila profughi, scappati dalle aree controllate dall’Isis.
La paternità dell’attentato ancora non è chiara, il ministero degli Interni turco e le prime indagini puntano il dito contro l’Isis stesso. Ma il dato forse più agghiacciante è che la kamikaze aveva appena 18 anni.
Anche la stessa Kobane, libera dalle mani dell’Isis da gennaio ormai, è stata attaccata sprofondando nel terrore: un attentatore suicida ha fatto esplodere un’autobomba in un checkpoint a sud della città. Due combattenti curdi sono stati uccisi nell’esplosione.
Tutte vittime dell’integralismo, della follia, dell’irrazionalità. Vittime giovani e libere di carnefici senza umanità.
I loro volti, le loro idee e il loro sacrificio non dovranno essere dimenticati.
«Chi ha compagni non muore mai»