Oggi il tema dell’intelligenza artificiale e delle sue applicazioni in campo artistico e culturale è ineludibile e genera opinioni spesso polarizzate tra chi celebra i vantaggi connessi a una fruizione più accessibile e inclusiva e chi, invece, si interroga sui pericoli legati al ridimensionamento della creatività umana nel processo di creazione artistica.
Il settore dell’arte e, più in generale, della cultura è stato investito da una vera e propria trasformazione che, lungi dall’aver esaurito la sua spinta propulsiva, è destinata ad aprire nuovi possibili orizzonti.
Intelligenza artificiale nei musei
Da diversi anni ormai sono visibili i numerosi benefici dell’AI applicata alla catalogazione automatica dei beni culturali e artistici e alla conseguente digitalizzazione dei beni culturali artistici e archivistici, garantendo una maggiore accessibilità dei contenuti culturali. Sono sempre di più le realtà museali, piccole e grandi, che scelgono di utilizzare l’AI per fornire un’esperienza più immersiva e coinvolgente al visitatore, attraverso la creazione di esperienze di visita personalizzate e interattive.
Tra le numerose applicazioni di AI nei musei si segnala l’uso di Realtà Virtuale e Realtà Aumentata, ma anche la creazione di vere e proprie guide virtuali che, attraverso un sofisticato storytelling, coinvolgono i visitatori a più livelli. Rendere il visitatore protagonista e non soggetto passivo della visita è una delle sfide del museo 2.0, come dimostra il recente progetto realizzato dal Museo del Cinema di Torino «Il futuro del cinema, il cinema del futuro» in collaborazione con Synesthesia, digital experience company di Torino.
Nel corso di tre mesi oltre milleduecento visitatori hanno avuto l’opportunità di creare una propria sceneggiatura, corredata anche da locandina, attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e del machine learning, un modello che consente all’AI di completare dei compiti specifici, a partire dall’analisi e rielaborazione di un grande quantitativo di dati «dati in pasto» all’AI.
Intelligenza artificiale, restauro e ricostruzione
L’avanzamento delle nuove tecnologie ha consentito all’AI di fare passi da gigante nella conservazione delle opere d’arte, garantendone una maggiore longevità. L’intelligenza artificiale consente, infatti, di monitorare lo stato di conservazione dell’opera d’arte, segnalando ai professionisti del settore quando intervenire, oltre a offrire loro diversi scenari possibili di restauro, aiutandoli a ponderare la scelta migliore.
Va chiaramente sottolineato che la competenza e la professionalità degli esperti del settore non deve e non può essere sostituita dalla macchina, in quanto è necessaria una sinergia tra sistemi informatici e professionisti. Questi ultimi hanno, infatti, il difficile compito di valutare criticamente i suggerimenti generati dall’AI per garantire un restauro che sia rispettoso dell’autenticità dell’opera d’arte.
Per quanto complessivamente affidabili, i sistemi di intelligenza artificiale non comprendono questioni legate alle sensibilità culturali e, pertanto, devono essere progettati per rispettare tradizioni e culture diverse, onde evitare di generare interpretazioni errate di manufatti artistici extra occidentali.
Da non trascurare, inoltre, la possibilità di ricostruire opere d’arte gravemente danneggiate o addirittura perdute attraverso tecnologie digitali d’avanguardia, come è accaduto nel 2022 all’opera La Medicina, prima di una serie di allegorie per l’Aula Magna dell’Università di Vienna, commissionate nel 1894 al pittore austriaco Gustave Klimt.
L’opera, che non fu mai esposta per via dei soggetti considerati inadatti in un contesto universitario, fu distrutta da un’unità delle SS naziste nei mesi finali del Seconda Guerra mondiale. In tempi recenti l’opera è stata ricostruita digitalmente attraverso reti neurali addestrate su immagini e dati per ripristinare i colori e le forme usate dal pittore, portando ad un risultato sorprendente.
Opere d’arte generative
Sicuramente più controverso e polarizzante il tema delle opere d’arte generative, un tipo di arte generata con l’ausilio di un sistema autonomo, ovvero un software o un algoritmo in grado di eseguire operazioni complesse senza l’intervento del programmatore. Questa tipologia d’arte, che vede nella casualità e nella ripetitività dei pattern due delle sue caratteristiche fondamentali, suscita interrogativi e riflessioni sul ruolo dell’artista e della creatività nella società odierna, suscitando talvolta timori e perplessità.
Sebbene le prime sperimentazione di Arte generativa risalgano agli anni Sessanta nell’ambito della cosiddetta Code art, soltanto in tempi recenti il mercato dell’arte ha iniziato a nutrire un forte interesse per la Generative art, basti pensare al celebre caso del Ritratto di Edmond De Belamy, prima opera d’arte generata dall’AI ad essere venduta all’asta da Christie’s a New York per la non modica cifra di 432,500 dollari.
L’opera è stata ideata nel 2018 dal collettivo artistico parigino Obvious che ha utilizzato la GAN, rete antagonistica generativa, per processare centinaia di ritratti di nobiluomini eseguiti tra ‘600 e ‘700 fino a dar vita all’inedito ritratto dotato di una firma alfanumerica che ci ricorda che il vero artista è la macchina.
Per concludere
Ad oggi sono sempre di più gli artisti che scelgono di lavorare in sinergia con l’intelligenza artificiale, come l’artista Anna Ridler, classe 1985, ideatrice del progetto Mosaic Virus, una video installazione che mostra l’immagine in continua evoluzione di una serie di tulipani, generata da un algoritmo istruito dall’artista con un data set ottenuto fotografando migliaia di tulipani.
Nonostante sempre più artisti si interessino a questo tipo di arte, e nonostante i risultati siano talvolta affascinanti – soprattutto se l’artista sceglie di intervenire in un secondo momento sull’immagine generata – alcune criticità sono state sollevate, come l’impossibilità di attribuire una paternità alle opere e una possibile perdita dell’originalità, dovuta alla reiterazione di forme e pattern insite nelle immagini generate da software e algoritmi.
In conclusione il dibattito sul futuro dell’arte non è mai stato così caldo e a noi non resta che delegare ai posteri l’ardua sentenza.
Questo articolo fa parte della newsletter n. 46 – gennaio 2025 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:
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