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Arpad Weisz

La storia di Arpad Weisz: dal campo di calcio ad Auschwitz

Le leggi razziali varate in Italia dal regime fascista colpirono ogni aspetto della vita degli ebrei, incluso lo sport. Nemmeno un celebre allenatore come Arpad Weisz fu risparmiato. Ma qual è la sua storia?

7 minuti di lettura

Il portamento elegante e sobrio, gli occhi che scrutano brillanti e intelligenti per controllare le strategie di gioco della sua squadra. È il 1938 e così potrebbe essere descritto l’allenatore del Bologna, Arpad Weisz, dai tifosi. Partito dalla nazionale ungherese a calciare un pallone, divenne uno dei più giovani allenatori, contribuendo a rivoluzionare le tecniche calcistiche con le sue conoscenze e acume. Purtroppo la sua parabola finì presto a causa del morbo dell’intolleranza razziale che serpeggiava in Europa e che non risparmiò nemmeno lo sport. Deportato ad Auschwitz e morto nel campo di concentramento, per molto tempo la sua storia è rimasta sepolta e la memoria conservata in qualche fotografia dei giornali sportivi dell’epoca.

Arpad Weisz

La giovinezza di Arpad Weisz e i primi calci al pallone

Nato in una famiglia ebraica di Solt, una cittadina dell’Ungheria, il 16 aprile del 1866, il giovane Arpad Weisz mostrò fin dalla giovane età le sue abilità non solo nel calcio, ma anche negli studi. Si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza a Budapest, ma dovette interrompere gli studi per entrare nell’esercito dell’Impero Austro-Ungarico durante la Prima Guerra Mondiale. Fatto prigioniero sul Carso nel 1915, venne trasferito poi a Trapani.

Una volta terminata la guerra e tornato in Ungheria il suo astro calcistico si poté manifestare. Durante gli anni Venti le squadre mitteleuropee erano tecnicamente avanzate e in quel periodo contribuirono ad apportare grandi cambiamenti nel calcio. In breve tempo Arpad si fece notare e entrò a vestire la maglia della nazionale ungherese. Nel 1924 partecipò alle Olimpiadi a Parigi e nonostante l’Ungheria fosse tra le favorite, la vittoria fu dell’Uruguay, calcisticamente superiore ad ogni altra squadra dell’epoca.

Le partite in Italia e l’infortunio

Nel frattempo nel suo Paese il clima si stava facendo sempre più difficile a causa del serpeggiante nazionalismo che non risparmiò nemmeno lo sport. Arpad decise quindi di abbandonare l’Ungheria per trasferirsi in Italia e giocare ad Alessandria nel 1925. La sua militanza nella città piemontese durò poco: dopo poche partite venne acquistato dall’Inter. La squadra neroazzurra aveva una storica predilezione per gli stranieri e Arpad giocò undici partite, segnando tre reti in una settimana, quando avvenne l’incidente.

All’età di ventinove anni a causa di un serio infortunio al ginocchio dovette appendere le scarpette al chiodo; purtroppo la chirurgia dell’epoca non lasciava speranze per risolvere infortuni e Arpad dovette dire addio alla sua carriera da calciatore semiprofessionista. Decise di prendersi un anno sabbatico e salpò verso la patria più avanzata per il calcio: l’Uruguay. Qui apprese dai migliori e affinò le sue conoscenze tecniche, permettendogli di diventare uno dei più importanti rivoluzionari allenatori dell’epoca.

Il successo come allenatore per Arpad Weisz

Tornato dal Sud America e dopo aver allenato squadre minori, Arpad Weisz tornò a bordo campo con la squadra italiana con cui aveva conosciuto la sua fortuna da calciatore: l’Inter. In quegli anni la società aveva dovuto adeguarsi alle pressioni del regime fascista e anche la squadra aveva dovuto cambiare il suo nome per trasformarsi in “Ambrosiana“. In linea con questo nuovo clima, anche Arpad Weisz dovette adeguarsi e insieme alla moglie, Ilona Rechnitzer, ebrea ungherese sposata nel 1929, decisero di italianizzare il cognome “Weisz” in “Veisz“.

Fu proprio sotto la guida di Arpad che la squadra ottenne il suo celebre scudetto nel campionato a girone unico nella stagione del 1929-30. A soli trentaquattro anni era diventato il più giovane allenatore straniero ad aver vinto nella Serie A italiana, strappando il dominio, fino ad allora indiscusso alla Juventus. Ebbe un occhio attento anche nella ricerca dei calciatori migliori; si impegnò nella ricerca di talenti e probabilmente, senza di lui, l’Inter non avrebbe conosciuto Giuseppe Meazza o Fulvio Bernardini.

Arpad Weisz
L’Inter di Arpad Weisz nel campionato a girone unico del 1929-1930

Il suo gioco non si basava solo sulla capacità dei suoi talenti, ma anche dal rigore con cui allenava la squadra. Introdusse metodi di lavoro, diete per gli atleti e lavorava costantemente sul campo accanto ai suoi giocatori, discutendo con loro le strategie. Fu un percorso frutto della sua perspicacia, infatti era considerato «un tecnico con la fama di innovatore, di sperimentatore, […] un rivoluzionario. […] È uno che senza strilli ha dato dignità alla professione di allenatore e che ha vestito il calcio con un abito rigoroso. Scientifico» come ha sostenuto il giornalista Matteo Marani, ricostruendo la vita di Arpad Weisz.

Gli anni a bordo campo del Bologna

L’avventura di Arpad Weisz all’ombra della Madonnina si concluse nella stagione del 1933-34, quando la squadra neroazzurra subì una flessione. Tuttavia, altre squadre furono subito pronte ad accaparrarsi la sua professionalità. Dopo una breve esperienza nel 1934 nel Novara in Serie B, nel 1935 assunse la guida del Bologna, chiamato dal presidente Renato dall’Ara.

Arpad Weisz era ormai il più giovane allenatore ad aver vinto uno scudetto a soli trentacinque anni e le sue strategie e novità in campo tecnico furono pubblicate in un manuale nel 1930, Il giuoco del calcio.

Nel frattempo, la famiglia Weisz si era allargata; infatti lo stesso anno nacque il suo primogenito, Roberto e quattro anni dopo la figlia Clara. A Bologna, in via Saragozza la famiglia Weisz trovò la tranquillità ed era comune per i vicini incrociare i giocatori della squadra, ospiti dell’allenatore, con i quali si incontrava per discutere l’andamento delle partite.

Arpad Weisz

Sotto la guida attenta di Arpad Weisz, la squadra rossoblù cominciò a scalare la classifica, fino alla stagione trionfale del 1935-36 in cui la condusse alla conquista dello Scudetto. Non solo: anche nella stagione successiva replicò l’impresa e il premio rimase nella squadra emiliana per un secondo anno di fila. Arpad divenne il più giovane allenatore in Italia a vincere degli Scudetti in pochi anni e con due squadre diverse.

«La squadra che tremare il mondo fa»

Questi successi permisero al Bologna di aspirare a giocare anche in campionati internazionali. Nel 1937 la squadra partecipò al Torneo dell’Esposizione internazionale a Parigi. La vittoria era difficile a causa della presenza della fuoriclasse inglese, la squadra del Chelsea, ma fu per il Bologna una prova non indifferente delle abilità che aveva conquistato con rigore e capacità tecniche maturate con Arpad Weisz.

Una vittoria difficile, ma non impossibile. I giocatori bolognesi, infatti, non si fecero intimorire dall’avversaria e diedero prova di un’abilità da veri fuoriclasse, insegnando agli inglesi come il calcio si era evoluto con nuove strategie al di là dei confini della madrepatria. Gli emiliani vinsero, segnando quattro reti contro i londinesi e portando il trofeo in Italia. Una squadra leggendaria, «in grado di far tremare il mondo», guidata dal più grande allenatore europeo del momento. Come venne riportato da un giornale francese dell’epoca:

Il Bologna di Weisz ha vinto come una squadra di professionisti inglesi, ma all’italiana

Citato in M. Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz – La storia di Arpad Weisz, allenatore ebreo (2019)

Le leggi razziali e la fuga dall’Italia

Purtroppo la gioia per il successo ottenuto fu un momento breve, sia professionalmente che umanamente. Infatti, durante la stagione seguente, l’astro del Bologna si offuscò e non replicò le vittorie sbalorditive ottenute fino a quel momento. Non solo, l’ombra dell’intolleranza razziale aveva cominciato a diventare sempre più forte e a insinuarsi in ogni ambito della vita italiana. Nel settembre del 1938, l’Italia fascista approvò le Leggi razziali per dichiarare la superiorità della razza ariana.

Con l’emendamento, tutti i cittadini italiani di origine ebraica venivano privati dei loro diritti civili e politici, banditi dalla vita pubblica e dovevano abbandonare il Paese. Fu l’inizio della tragedia per molti italiani, ma anche per la famiglia Weisz; il decreto infatti riguardava tutti coloro che erano arrivati in Italia dopo il 1919. Nonostante la famiglia fosse ormai italiana a tutti gli effetti, i bambini fossero cresciuti nelle scuole con i loro coetanei e non fossero ebrei ortodossi, per la famiglia ungherese non ci fu scampo.

Nemmeno la sua fama poté proteggere l’allenatore del Bologna. In realtà, lo storico Marani che ha a lungo ripercorso le tracce di quest’uomo, ha sottolineato come, in linea con la sua integrità morale per cui era conosciuto, probabilmente fu proprio una scelta di Weisz quella di non chiedere protezioni o intercessioni con il regime. Nell’ottobre 1938, Arpad Weisz guidò per un’ultima volta la squadra rossoblù contro l’Inter-Ambrosiana, prima di lasciare l’Italia nel gennaio del ’39.

Gli ultimi anni di Arpad Weisz e la deportazione ad Auschwitz

La prima tappa alla ricerca di una nuova vita per la famiglia Weisz fu Parigi. Qui venne chiamato ad allenare una squadra della seconda divisione parigina, i Red Star. Non fu una pace duratura: il seme dell’antisemitismo e dell’odio razziale non era dilagato solo in Italia, ma anche in Francia.

Dopo la breve esperienza parigina, finalmente le acque sembrarono smuoversi, quando Arpad Weisz ricevette la chiamata per dirigere una squadra olandese, il Dordrecht. Anche qui, seppe giocare le carte giuste e trasformò una squadra semi-dilettantistica con i suoi metodi di allenamento e la portò a scalare la classifica. I Paesi Bassi fino a quel momento erano stati uno dei paesi in cui gli ebrei avevano potuto trovare rifugio, ma nel 1940 vennero invasi dal regime di Hitler.

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Quella che doveva essere sembrata una benedizione per tornare ad avere una vita serena, ben presto si rivelò essere una maledizione. Nel settembre 1941, Arpad Weisz fu costretto a lasciare il lavoro da allenatore. Nel frattempo Hitler aveva varato la soluzione finale: il 2 ottobre 1942 la famiglia fu costretta a salire su uno dei treni che aveva come destinazione finale i campi di concentramento.

A Birkenau la famiglia venne divisa: la moglie Ilona, Roberto e Clara trovarono subito la morte nelle camere a gas, mentre Arpad venne mandato in un campo di lavoro nell’Alta Slesia. Diviso dai suoi affetti, Weisz resistette più di un anno, fino quando nel 1944 venne mandato ad Auschwitz, dove morì il 31 gennaio di stenti.

«Mi sembra si chiamasse Weisz e chi sa dove è finito»

Così disse di lui il noto giornalista Enzo Biagi, riflettendo sulla figura dell’allenatore ungherese. Di Arpad Weisz si sono perse le tracce per quasi sessant’anni. Sembrerebbe quasi paradossale come la vicenda dell’uomo che aveva rivoluzionato il calcio ed emozionato l’Italia con le sue vittorie potesse essere scivolata nell’oblio.

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Nel 2007, il giornalista Matteo Marani ha indagato, ricostruito e intervistato per ricomporre la vicenda umana di questo grande allenatore per restituirla alla memoria collettiva e a quella dello sport. Si è impegnato per restituire la dignità ad una delle tante vittime dell’odio razziale che hanno trovato la morte nella tragedia dell’Olocausto nazista. Per ricordare come lo sport, tramite i suoi valori, dovrebbe aiutare a contribuire e a creare gli anticorpi per combattere l’odio e le disuguaglianze, attraverso l’opera di Arpad Weisz.

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Per approfondire:
M. Marani, Dallo scudetto ad Auschwitz – La storia di Arpad Weisz, allenatore ebreo, Diarkos Storie (2019)
Storie Neroazzurre (podcast) – Arpad Weisz

Eleonora Fioletti

Nata tra le nebbie della pianura bresciana, ma con la testa tra le cime delle montagne. Laureata in Filologia moderna, si è appassionata ai manoscritti polverosi e alle fonti storiche. Nel tempo libero colleziona auricolari annodati, segnalibri improbabili, eterni esprit de l’escalier, citazioni nerd e disneyane da usare in caso di necessità.

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