Non si impara il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali: si impara per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, quindi il passato, ma presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi, consapevolmente.
A. Gramsci
In questi tempi in cui i giornali, sia cartacei sia online, pullulano di articoli in cui vari rappresentanti della cultura umanistica impugnano la spada per difendere, da bravi paladini, la cultura classica, mi ha colpito imbattermi, per caso, nell’intervento di Michele Boldrin sul blog Noise from Amerika, intitolato: Aboliamo il classico!.
Premetto a questo intervento di Apologia che, di solito, quando un argomento diventa “di moda”, è semplice scadere in banali slogan e facili opinionismi. Improvvisamente tutti prendono a cuore quel che fino al giorno prima stentavano a conoscere e lo difendono senza esclusione di colpi, giusto per inserirsi nel mare magnum dell’opinione pubblica ed avere un semplice e popolare argomento di conversazione.
Per questo è sempre bene diffidare e avere uno sguardo critico. Per questo l’idea di un’opinione controcorrente mi ha entusiasmata ed incuriosita. Per questo mi scuso se, probabilmente, ciò che sto per dire risulterà scontato, già detto, trito. Ma, dopo aver visto condannato brutalmente il mio Socrate, e per di più con uno stile semplicistico e poco efficacemente sarcastico, sento il dovere di prendere per lui, che parla una lingua “morta”, la parola, e portare avanti la mia defensoria.
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Michele Boldrin, economista e politico italiano, co-fondatore del movimento Fare per Fermare il Declino, muove una forte condanna al sistema scolastico italiano, ponendo al centro di questa, come capro espiatorio, non solo il liceo classico, ma la formazione umanistica tout court. Egli afferma che la scuola italiana è ancora fortemente improntata ad un modello gentiliano in cui «In cima alla piramide educativa c’è il classico seguito dagli altri licei, ognuno articolato in mille sperimentazioni. Vengono poi le scuole di indirizzo professionale», ed ironizza sulla necessità odierna di avere figure professionali come “geometri”, “ragionieri” e “periti di altri tipo”.
Se si può essere d’accordo sul fatto che sia necessaria una riforma della scuola, che possa migliorarne l’organizzazione ed aprirne in un certo senso gli orizzonti anche alla modernità globale, di certo non può non suscitare un certo sentimento di “fastidio nazionalistico” l’affermazione cardine dell’argomentazione di Boldrin, ovvero che «Per impedire che il nostro sistema educativo continui lungo la strada dello sfacelo, dico che sarebbe bene abolire il liceo Classico».
Nazionalistico? Eccome, perché sarà anche vero che noi classicisti abbiamo un po’ di puzza sotto il naso (a ragione o a torto: ai posteri l’ardua sentenza), ma non credo che guardare sempre altrove, a quel fantomatico “melius mundum” anglosassone sia la soluzione. Soluzione che invece propone Boldrin. Egli infatti propone di adeguarsi al modello americano, sia nell’organizzazione tempistico-istituzionale della scuola dell’obbligo, sia nei contenuti. Si potrebbe, magari con qualche accorgimento, abbracciare consenzienti la prima parte di tale proposta, ma accettare la seconda significherebbe negare la ricchezza ed in un certo senso la superiorità del patrimonio culturale italiano, il quale, che si voglia o meno, viene tramandato in primis dalla scuola.
Ma vediamo meglio le proposte di Michele Boldrin circa la riforma dell’istruzione:
- Istruzione di massa che fornisca gli strumenti per capire il mondo in cui si vive. Questo punto è condivisibile. In effetti sarebbe necessario introdurre, soprattutto nella scuola secondaria di primo grado, laddove non esiste ancora una “specificità di indirizzo”, materie tecniche e “moderne” come il diritto e l’informatica (insegnati seriamente, s’intende!). E soprattutto sarebbe necessario un più diffuso e sistematico insegnamento della “lingua universale”: l’inglese. Quel che stupisce è la spiegazione che Boldrin dà di questo primo punto: «Siccome alcuni sono più tonti di altri è inutile, infatti dannoso, forzare tutti ad apprendere subito la cultura alta». Molto democraticamente eloquente.
- Lo Stato deve offrire a quanti più cittadini possibile un punto di partenza comune, che possa loro permettere di provare a diventare élite nel tempo della loro vita. Anche questo punto accoglie il consenso dei più, e della sottoscritta. Ma mi sembra che lo Stato Italiano dia già un punto di partenza comune: l’istruzione primaria e secondaria di primo grado. Boldrin collega questo punto all’idea secondo la quale il liceo classico è la “scuola dell’élite”, e che essa viene scelta in un’età in cui non si è ancora in grado di scegliere. Credo da un lato che questo sia legato ad un pregiudizio sociale molto antico, che ora mi sembra assurdo dire che esista ancora. Certo, è vero che il liceo classico è ancora visto dai più come “la scuola delle scuole”, ma questi “più” sono per la maggior parte ormai nonni, non certo studenti. E d’altro canto è normale che ogni “indirizzo” abbia ben radicato il suo orgoglio e senso di appartenenza. È impossibile togliere agli adolescenti l’idea del branco. Anche nel modello anglosassone: ci sarebbe comunque “il giocatore di football”, “la cheerleader” e molti altri. Sempre adattandomi alle immagini del parlar per luoghi comuni. Credo che in realtà l’élite si formi dopo, se di élite dobbiamo parlare. E l’ambiente che la forma è l’università, ma soprattutto l’interesse che ognuno sviluppa a seconda degli stimoli esterni che riceve. E penso che ad oggi tutti i licei diano un’istruzione umanistico-civica egualitaria. Piuttosto chi ci rimette è proprio il classico, perché svalutato dai più, e per questo nessuno ha pensato di rafforzare in esso le materie scientifiche. E per farlo non è certo necessario abolire il greco ed il latino.
- Introduzione del sistema scolastico di tipo Americano. Questo significa “niente religione, latino, educazione fisica, filosofia, greco, storia dell’arte.”. Queste materie, soprattutto l’ultima, sono il simbolo del nostro Paese, ma vengono definite “lussi che vanno acquisiti, se ce lo si può permettere”. Infatti ormai noi italiani dovremmo imparare a far ripartire l’economia senza puntare su ciò che offre il territorio, tra cui uno sterminato patrimonio artistico e turistico, e dedicarci, piuttosto che alla riqualificazione dei siti archeologici come Pompei, alla creazione di un nuovo Software.
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Ma niente allarmismi! Questi lussi ce li si potrà permettere (forse e solo se c’è un numero di iscritti sufficienti per pagare un professore) all’università, perché da soli, senza che nessuno ne abbia piantato un seme di curiosità prima, ci siamo scoperti amanti della filosofia hegeliana.
Tutto quanto propone Boldrin si riassume nello slogan “aboliamo il liceo Classico”. Perché il liceo Classico è vecchio, insegna “un modello di mondo che è quello pre-scientifico, pre-moderno.”.
Si insegna un modello del mondo in cui conta lo status ricevuto e conta la retorica dell’arena pubblica, conta il saper argomentare la propria posizione e non contano i fatti bruti. Un modello di mondo in cui l’efficienza ed il cambiamento devono sempre cedere il posto alla tradizione ed in cui la logica è secondaria all’opinione. Un mondo nel quale si riteneva di aver inteso tutto quello che v’era da intendere e di poter sedere tranquillamente in cima all’universo in possesso di una saggezza tanto antica quanto, molto spesso, cinica e disincantata.
Tutto questo in nome degli unici veri re e regina della modernità: la tecnologia ed il progresso.
Ma siamo davvero convinti che questo mondo abbia ancora bisogno di illimitato e continuo progresso tecnologico, senza alcun tipo di argini, delegando la sfera delle “scienze umane” (ora va di moda dire così) solo a mero piacere estetico prima di chiudere gli occhi e dormire?
Ma davvero pensate – o meglio pensi, caro Boldrin – che l’educazione morale, l’educazione al rispetto dell’essere umano come parte del più ampio sistema mondo, sia così facilmente accantonabile nell’angolo remoto del “passatempo“?
Allora forse ci meritiamo davvero questo “secol superbo e sciocco”.
Non sto condannando la scienza e la tecnica, non condanno l’artigianato e il mercato. Anzi, ognuno nel mondo debbe avere il suo ruolo a seconda del talento (Platone docet).
Ma relegare la cultura classica, la letteratura e la filosofia a mero esercizio retorico è una bestemmia, oltre che una mancanza di rispetto per le proprie origini non solo patrie, ma umane.
Probabilmente le parole di Boldrin sono dettate dalla più completa ignoranza di cosa sia il liceo classico e di cosa insegni la cultura antica – e quella umanistica in senso lato.
L’antichità è proprio l’opposto di quanto afferma l’economista. La storia dell’uomo antico, che altro non è che la radice, la madre, di quello che siamo noi ora, è un tassello di cultura ineliminabile all’interno della formazione del cittadino. Nel mondo greco e latino, nella storia della filosofia (che insegna che la logica è primaria all’opinione, mi dispiace contraddirla) sono contenute in nuce tutte le grandi Verità, ogni forma di pensiero, anche contemporaneo. È un enorme errore dipingere la cultura classica come il luogo dove il progresso viene messo in secondo piano. Senza i greci non avremmo il teatro, non avremmo la politica, non avremmo nemmeno la democrazia. Senza i romani non esisterebbero gli architetti, non esisterebbe il diritto, non ci sarebbero nemmeno acquedotti e impianti fognari. Ma senza indugiare su esempi nostalgici e comuni dirò quest’ultima cosa.
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La vera essenza della cultura classica è quella di ricordare all’Uomo della Bellezza. Al di là del romanticismo (nel senso byroniano del termine), ritengo che il mondo, soprattutto il nostro mondo, ne abbia assoluto bisogno. Potrei dire che il greco ed il latino aprono la mente, che sviluppano la capacità logico deduttiva, che insegnano a conoscere le strutture fondamentali del linguaggio oltre che l’origine segreta delle parole, e con essa quella dei significati essenziali delle cose. Perché scelgo di parlare della bellezza?
Vorrei rispondere con quanto viene detto da Peppino Impastato (impersonato da Lo Cascio) nel film I cento passi:
-Visto così, dall’alto. Uno sale qua sopra e potrebbe anche pensare che la natura vince sempre, che è ancora più forte dell’uomo, e invece non è più così. In fondo tutte le cose, anche le peggiori, una volta fatte, poi trovano una logica, una giustificazione, per il solo fatto di esistere. Fanno queste case schifose con le finestre di alluminio, i muri di mattoni in vista…la gente ci va ad abitare, ci mette le tendine, i gerani, la televisione…e dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio: c’è, esiste, nessuno si ricorda più di com’era prima. Non ci vuole niente a distruggere la bellezza.
-Ho capito, e allora?
-E allora? Allora invece della lotta politica, la coscienza di classe e tutte le manifestazioni e ste fesserie bisognerebbe ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla.
-La bellezza?
-La bellezza, è importante la bellezza: da quella scende giù tutto il resto.
Detto questo probabilmente mi sbaglio e, da buona studiosa di Lettere Classiche, sono solo un’orpelliera ed abbellitrice di frasi.
Costanza Motta
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