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Antonia Pozzi. Soffermarsi sulle cose con delicatezza

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3 minuti di lettura

Abbiamo ancora bisogno di soffermarci sulle cose con delicatezza? Sembra quasi improbabile, fuori dal tempo, in un momento storico come questo, ricercare l’essenza delle piccole cose. La personale corsa al successo, il bisogno di emergere, portano inevitabilmente ad un progressivo distacco dal quotidiano. Siamo portati a pensarci intoccabili, inafferrabili; proiettati sul divenire delle cose in un’eterna rincorsa che tuttavia porta a sfinirci. Dunque a cosa serve osservare il mondo con delicatezza e, soprattutto, ne abbiamo ancora bisogno? La risposta è sì; perché questa condizione, come un’àncora, ci tiene aggrappati al senso delle cose, ci trattiene nella corsa, ci fa prendere una boccata d’aria. Come quando nel mezzo di una salita sentiamo il petto bruciare dalla fatica e dobbiamo sostare, accostarci, mettere in pausa e inspirare a pieni polmoni. A questo serve oggi, ancora, la delicatezza. Ricercarla, ad esempio, nelle immagini evocate dai versi di Antonia Pozzi, capaci, con una dolcezza oggi rara, di muovere dall’interno verso l’esterno un bisogno di contatto con il mondo. Nelle sue parole, abili nell’incantare grazie alla raffinatezza con la quale immortalano immagini e sentimenti, traspare forse un bisogno di serenità che in qualche modo ci accomuna tutti.

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Antonia nasce il 13 febbraio del 1912 a Milano da una famiglia agiata; il padre è l’avvocato Roberto Pozzi, la madre la contessa Lina. Cresciuta in un ambiente colto è raffinato Antonia inizia ad approcciarsi alla poesia sin dal Liceo Ginnasio Manzoni in seguito al quale frequenterà la facoltà di Lettere Moderne presso l’Università Statale di Milano.

Antonia Pozzi


Gli anni del Liceo sono stati per Antonia Pozzi il periodo più delicato, e forse più importante, dal punto di vista emotivo e sentimentale. È qui infatti che conosce per la prima volta l’amore e, allo stesso tempo, è costretta a rinunciarci, scendendo a patti con la razionalità. Oggetto della sua passione è infatti il professore di greco e latino Antonio Maria Cervi; egli, nella sua totale dedizione allo studio e grazie all’amore verso il sapere che traspare dalle sue lezioni, la cattura in un sentimento tanto forte quanto tragico poiché destinato a non potersi compiere. Con sofferta grazia saluta la vita sognata in questi versi, nel 1933:

Chi mi parla non sa
che io ho vissuto un’altra vita –
come chi dica
una fiaba
o una parabola santa.
Perché tu eri
la purità mia,
tu cui un’onda bianca
di tristezza cadeva sul volto
se ti chiamavo con labbra impure,
tu cui lacrime dolci
correvano nel profondo degli occhi
se guardavano in alto –
e così ti parevo più bella.
O velo
tu – della mia giovinezza,
mia veste chiara,
verità svanita –
o nodo
lucente – di tutta una vita
che fu sognata – forse –
oh, per averti sognata,
mia vita cara,
benedico i giorni che restano –
il ramo morto di tutti i giorni che restano,
che servono
per piangere te.

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Antonia Pozzi: l‘amore per la natura

La sensibilità di un animo inconsolabile è però aiutata dall’amore fortissimo verso la terra lombarda nella quale ritrova la serenità che spesso manca. La maggior parte delle sue poesie trova spazio in questi ambienti, e soprattutto a Pasturo; quasi mai è descritta una realtà mondana, diversa da quella cercata e voluta nel contesto montano.

Abbandonati in braccio al buio
monti
m’insegnate l’attesa:
all’alba – chiese
diverranno i miei boschi.
Arderò – cero sui fiori d’autunno
tramortita nel sole.

Antonia si avvicina anche alla fotografia, convinta che nella natura, nelle cose e nelle persone stesse, sia celato un sentimento nascosto che l’obiettivo, così come la parola, debba saper cogliere. Ciò è mirato a dar loro un senso di continuità nel tempo. La fotografia, così come la poesia, stringe con gli oggetti rappresentati un patto di lunga durata che viene esaltato dall’intensità regalata dall’animo dolce, ma intenso, di Antonia.

Antonia Pozzi
© www.antoniapozzi.it

Né i viaggi intrapresi negli anni, né la carriera nell’insegnamento, e nemmeno la poesia, possono sopperire ad un senso di incolmabilità, ad una «disperazione mortale» che la portarono a togliersi la vita giovanissima. Sebbene l’epilogo infelice della giovane connoti il suo scrivere di un’aria malinconica, ciò che a noi rimane è il modo, l’approccio, con il quale Antonia si relaziona al mondo e di cui abbiamo tuttora bisogno. Lo sguardo intenso, sensibile, incredibilmente delicato con cui ci insegna a guardare ai sentimenti e alle relazioni ci aiuta a non lasciarci trascinare dagli eventi, ma ad immortalarli. A fermarli. Ciò non significa non guardare al futuro, vuol dire non lasciar sfuggire il presente.

Forse la vita è davvero
quale scopri nei giorni giovani:
uno soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza

Immagine di copertina: commons.wikimedia.org

 


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Gloria Iasella

Classe 1991, tra un libro di Antropologia e l'altro ho capito che, conoscendo te stesso, puoi imparare a guardare con occhi diversi anche l'altro.
Amo la natura, la musica e i sogni ad occhi aperti.
Sogno un mondo dove si celebri la bellezza.

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