Nel cuore di Bruxelles, a pochi passi dall’emiciclo del Parlamento Europeo, si nasconde un piccolo museo che narra una grande storia, anzi grandissima, al pari delle colossali tele lì conservate. È la storia di un artista-filosofo eccessivo, estroso, idealista. Di un uomo in cerca di gloria ai limiti della megalomania. Della personalità più originale che abbia animato il romanticismo pittorico del Nord. Insomma, la storia di Antoine Wiertz.
Antoine Wiertz, pittore non convenzionale
Pittore istituzionale ma di certo non convenzionale, Antoine Wiertz (1806 – 1865) poté sempre contare, al contrario di altri colleghi, sul supporto statale. Fu proprio grazie al sostegno finanziario del ministro dell’Interno belga, Charles Rogier, che il pittore riuscì ad erigere l’edificio ospitante il proprio atelier. In cambio, egli espresse la volontà di donare allo Stato tutte le sue opere e di renderle visibili al pubblico – gratuitamente – proprio nel luogo originale in cui vennero create. Oggi, quella fucina di arti ed idee è un museo unico nel suo genere; uno dei tesori meglio celati della capitale d’Europa.
Artista precoce, Wiertz dimostrò presto un’inclinazione per il disegno e la scultura; le cronache raccontano come, con il solo ausilio di un coltellino, fosse capace di scolpire una rana talmente perfetta da sembrare vera. A quattordici anni risultò già iscritto presso l’Accademia di Anversa, grazie ad una borsa di studio concessa dal re Guglielmo I dei Paesi Bassi e fu qui che il giovane pittore scoprì l’opera di Pieter Paul Rubens, rimanendo affascinato dall’estetica barocca fiamminga. Più tardi si spostò a Parigi e poi in Italia, dove giunse nel 1832 avendo vinto il Prix de Rome. Nel corso del soggiorno italiano, ammirò dal vivo i grandi maestri, da Michelangelo a Raffaello, il quale, in particolare, divenne il modello di Wiertz per l’impostazione di molte sue opere, tra cui l’autoritratto.
Il filosofo del pennello
La lotta per la secessione delle province meridionali dal regno dei Paesi Bassi del 1830 infuse una nuova forza nel suo animo entusiasta di giovane artista. «La rivoluzione politica portò con sé una rivoluzione artistica. L’amore per la patria destò l’amore per l’arte […] Tutti gli artisti avevano una sola idea, risuscitare la scuola fiamminga […] al grido di Vive la Belgique! Et vive Rubens!», scrisse nelle sue memorie. Tutti i suoi sforzi si indirizzarono ora verso un unico fine: realizzare una pittura monumentale attraverso la quale celebrare il proprio neonato Paese e rincorrere il successo personale.
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Nel 1840, la città di Anversa inaugurò una statua dedicata a Rubens, indicendo un concorso per il miglior elogio del suo figlio più illustre. Fu Wiertz a vincerlo, glorificando il maestro in un elaborato composto con la stessa passione che muoveva il proprio pennello. Perché Wiertz non si accontentò di dipingere, meditando con attenzione una teoria per la propria arte, tanto da essere soprannominato «il filosofo del pennello».
«Quest’uomo è un gigante!»
Nel corso della propria, originale carriera, Wiertz si dedicò, senza troppo entusiasmo, alla ritrattistica, giudicandola una mera fonte di un guadagno sicuro. Il suo reale interesse, invece, si volgeva ai soggetti antichi, mirando ad esaltarli attraverso uno stile magniloquente. Che si trattasse di dipinti a tema storico o di visioni a metà tra il macabro e l’ironico, come nel Sepolto vivo (1854) o scene a carattere mitologico come nel suo capolavoro, Les Grecs et les Troyens se disputant le corps de Patrocle (1836), l’operato di Wiertz partiva dal considerare la tela come il proprio campo di battaglia, sul quale battersi con le armi di una pittura visionaria per ottenere risultati ambiziosi. Celebrato in patria, il Patroclo di Antoine Wiertz sedusse la critica con l’intensità emanata dalla scena stessa: i muscoli tesi dell’eroe, un colorito tratto al contempo da Rubens e dagli autori italiani, il furore del combattimento. In una tela dalle dimensioni colossali, Wiertz riuscì a far rivivere l’impeto dei tempi eroici. Un anziano Bertel Thorvaldsen, nell’ammirare, a Roma, la colossale versione di un passo dell’Iliade, commentò: «Quest’uomo è un gigante!».
E nonostante oggi, al di fuori dei confini del “suo” Belgio, Wiertz sia sconosciuto ai più, in fondo lo era davvero, un gigante. Perché rincorreva la grandiosità dell’arte in un modo che, pur muovendo dai classici, finiva per fondersi in una firma del tutto personale. Perché amava lo spettacolare, la dismisura e le pareti del suo atelier-museo, tappezzate dai suoi monumentali lavori, disegnano spazi ampissimi in cui il visitatore finisce per sentirsi minuscolo.
Antoine Wiertz e la Statua della Libertà
Wiertz, tuttavia, non indagò il monumentale nell’ambito esclusivo della pittura. Egli, infatti, aveva altresì concepito l’idea di una statua alta 45 metri, destinata ad ornare la rocca di Dinant, la sua città natale: era Le Triomphe de la Lumière, un’allegoria della luce con una fiaccola tesa verso il cielo. Se il progetto non venne portato a compimento secondo le intenzioni dell’artista, nondimeno ispirò il lavoro di altri suoi contemporanei. Tra questi, un certo Frédéric-Auguste Bartholdi che, nel 1886, avrebbe eretto, sulla Liberty Island, la Liberté éclairant le monde: la Statua della Libertà.