Cecco Angiolieri, il primo poeta maledetto del 1200
Tanta gente nel giardino della Musica di Palazzo Ricci a Pesaro per la prima serata dell’Angolo della Poesia, ideata e curata da Giuseppe Saponara. La manifestazione culturale, arrivata alla sua ottava edizione, dal 23 al 28 luglio 2018, è in collaborazione con l’Accademia Mondiale della Poesia, Comune di Pesaro, Labirinto cooperativa sociale e Regione Marche. Il tema di questa rassegna, ha sottolineato Giuseppe Saponara, è la contestazione intesa anche come ribellione, che si può esprimere in tante situazioni e circostanze. Perché, ad esempio poche persone possono gestire la cultura? L’Angolo della Poesia ha dimostrato in questi anni, il contrario, fornendo un prodotto culturale accessibile a tutti come personalità di livello internazionale. Il tema dunque è quello della contestazione che fa riferimento al Cinquantesimo anniversario del 1968, ma nella nostra manifestazione abbiamo voluto vederlo da parte dei contestati e non dei contestatori. Non per nulla il primo poeta, il senese Cecco Angiolieri è uno dei protagonisti della poesia della contestazione. Noi viviamo, ha proseguito Saponara, in una realtà fatta di regole, spesso sottese, disattese e interpretate. L’attore pesarese Giuseppe Scherpiani ha letto due sonetti di Cecco, il primo è un contrasto con Becchina, la donna amata dal poeta e il poeta stesso, in cui ogni verso è diviso in due: la prima metà di Cecco e la seconda metà di Becchina. Nel secondo sonetto, Giuseppe Scherpiani, ha presentato la personalità di Cecco diviso fra amore, vino e dadi. È stato poi il professor Giuseppe Marrani dell’Università di Siena a presentare con una buona sistematicità Cecco Angiolieri, poeta senese del 1200 di cui conosciamo poco le notizie della nascita e della morte. Sappiamo solo che è della stessa generazione di Dante. Di Cecco ci sono rimasti circa 30 manoscritti non originali, copie di testi rimaneggiati, sonetti circa un centinaio irregolari e spesso eversivi. Eppure Cecco è di famiglia ricca , gli Angiolieri, e da parte di madre i Salimbeni. Bisogna fare una riflessione che coinvolge il teatro e la poesia medievale, per comprendere la poesia giullaresca del tempo, praticata dagli stessi notabili senesi e in gran parte della Toscana. Siena ghibellina in particolare risente di queste forze anche eversive nei confronti di Firenze. Ma Cecco Angiolieri non è un poeta di corte e giullare. E‘ forse il primo poeta maledetto della storia della letteratura. La sua è una poesia di malinconia e di rabbia che si rivolge a quattro persone: il babbo, la figura paterna e odiata dal poeta, Becchina la donna amata e la detestata madre. Perché Cecco odia i genitori? Perché non ammette le loro regole. Becchina è la donna amata, ma è diverso il rapporto verso la donna amata del Dolce stil novo, di dante e Petrarca. Becchina è una donna costruita. In Cecco vi è semmai forte l’influenza della lauda medievale sacra, Il Cantico delle Creature di San Francesco, che nasce con forme anche selvagge. Di fronte a queste fratture, la disgrazia di Cecco è vera o falsa? È vera ma ha un contesto storico ben determinato: Gli Angiolieri e i Salimbeni ormai sono verso la decadenza e al loro posto vi è una borghesia emergente, dei mercanti. La serata ha avuto anche degli splendidi momenti musicali con un grande arpista Vincenzo Zitello.
Arthaud Rimbaud, il modello dei sessantottini
Secondo appuntamento dedicato al poeta Arthaud Rombaud. Una serata che Giuseppe Saponara, direttore artistico, ha saputo realizzare con grande sistematicità e competenza artistica. Un applauso anche all’assessore Luca Bartolucci e allo staff tecnico molto professionale. L’attrice pesarese Carla Rondanini ha introdotto l’incontro leggendo una poesia di Rimbaud, Il Male. Poi prima di entrare nella riflessione poetica di Rimbaud poeta contestatore e poeta maledetto, si è voluto affrontare il tema del ’68 visto attraverso la voce di Pier Paolo Pasolini tratto da un film di Matteo Cerami e Mario Sesti e in un successivo video con una riflessione su Pasolini di Vincenzo Cerami. Pasolini ha voluto dare una sua interpretazione del ’68 e della contestazione, distinguendo ab origine le differenze fra Nord e Sud e poi la differenza terminologica fra sviluppo e progresso. Lo sviluppo si lega alla destra economica dei nuovi padroni. Vi è stata per Vincenzo Cerami una rivoluzione antropologica dal popolo, linguisticamente diacronica alla massa, cioè alla omologazione che oggi si chiama globalizzazione. E Pasolini che disprezzava il romanzo psicologico, che era il romanzo della società capitalistica, allora si rifà, in particolare alla mitologia; Edipo Re, Medea, che si occupavano della borghesia, evidenziando i lati negativi. Pasolini difese i poliziotti nelle contestazioni di Valle Giulia, perché come ha sottolineato l’autore, regista Ferruccio Castronuovo, Pasolini identificava gli studenti contestatori con i figli delle famiglie borghesi, mentre i poliziotti venivano da un Sud povero. Ecco il primo approccio fra il Pasolini eretico e non allineato e il poeta Rimbaud. Ancora Castronuovo, che riprese gli scontri di Valle Giulia e poi il maggio francese del ’68, ha sottolineato che le cariche dei poliziotti francesi erano assai più violente, in una società, quella francese, in cui gli studenti e gli operai si erano messi insieme per la contestazione e dove l’uso degli spinelli e poi della droga erano talmente diffusi, da divenire una norma comportamentale. Un altro aspetto evidenziato nella serata è stato il ruolo della matematica nella poesia. In particolare, vedendo una sequenza del film di Mario Martone, Morte di un matematico napoletano, si sono evidenziati i lati creativi che vi sono in una scienza esatta, quale è la matematica. Questi aspetti sono stati ripresi dalla studiosa e traduttrice di Rimbaud, Marica Larocchi. Rimbaud per i giovani del ’68 era un modello, un andare poetico. Il vagabondare, la hippy revolution le contestazioni della scuola, della famiglia e dei valori tradizionali, si identificavano con il vagabondaggio di Rimbaud. Prima abbiamo parlato di Pasolini intellettuale profetico, questo vale anche per Rimbaud, poeta veggente, ma non folle, che deve raggiungere la verità. Ecco allora l’influsso di Baudelaire con I fiori del Male, con il significato poetico e contenutistico del voyage verso l’ignoto. E questa veggenza porta Rimbaud a trovare una trascendenza vuota, ma che è una meta che lui cerca di perseguire. La sua poesia non ha forma, è informe, come si svilupperà nelle avanguardie a partire dal surrealismo. Ma Rimbaud non vuole troncare con il passato e scrive poesie in latino: la poesia parnassiana, l’arte per l’arte e dove il mondo industriale si identifica con un modello brutto. Vi sono alcune date importanti nella vita di Rimbaud che determinano le sue scelte poetiche. la prima è il 1870 con la guerra franco-prussiana che colpisce anche la sua città belga. Rimbaud fugge a Parigi, ma non ha i soldi per il treno e finisce in carcere e solo il suo insegnante pagando la cauzione lo farà liberare. Ritorna a casa e si immerge nella lettura di scrittori della rivolta: Saint Beuve, Proudhon, Saint Simon, per cercare di cambiare il mondo. Poi nel 1871 partecipa alla comune di Parigi ed entra in corrispondenza con Verlaine che lo invita a casa sua. Verlaine sarà l’altro poeta maledetto e vagabondo con cui andrà a Bruxelles e Londra e con cui nascerà una relazione tempestosa e l’uso della droga. Fra i due nasceranno anche dei contrasti e una rottura dei rapporti tradizionali. La poesia e la prosa non si distinguono più in generi definiti. Ma il poeta vuole cercare la libertà individuale e la vita deve coincidere con la poesia. A questo punto subentra la civiltà dei numeri che entra nella poesia e nella nuova civiltà. Il rapporto con Verlaine si identifica nei deliri in quella poesia della Vergine folle, che riprendendo dai versetti del Vangelo di Matteo, porta ad una costruzione poetica originale. Il 1873 è la data di un nuovo vagabondaggio di Rimbaud raggiunto da Verlaine. Nasce la composizione Illumination e la rottura definitiva fra i due poeti. Rimbaud peregrinerà con mete sconfinate, il circo, l’esercito olandese, l’Africa e il sistema mercantile. Ma una conclusione è certa: noi oggi non avremmo l’opera di Rimbaud se non ci fosse stato Verlaine che fece pubblicare le sue opere in un arco ristretto fra i 17 e 21 anni.
Piero Ciampi, un poeta in perenne contrasto
Una serata magica che mitiga il gran caldo estivo serale al giardino della musica di palazzo Ricci. Una serata come sempre ricca di ospiti, situazioni anche improvvisate, come una pittura in diretta di un’artista berlinese. Il poeta della sera, il livornese Piero Ciampi, morto a solo 45 anni a Roma. Una vita sregolata di sofferenze, già quasi predestinata dalla nascita, in una casa di fronte a quella di Amedeo Modigliani. Ma prima di inoltrarci nella vita del più importante poeta maledetto italiano, la visionarietà artistica di Saponara ha avuto un incipit di rilievo e originale, iniziando dalla commedia dell’arte, che è la prima forma di contestazione nel teatro italiano fin dal 1400. Se il ’68 ha ripreso Rimbaud, la commedia dell’arte è stata ripresa dal cantautore e poeta, Piero Ciampi. Se nella commedia dell’arte i vari zanni descrivono i contrasti sociali con il tanghero padrone, lo splendore e crisi del teatro, in Piero Ciampi la ricerca dell’amore nella musica e nella vita privata, si costella di tante sofferenze individuali. Un cantautore contestatore come i primi zanni del 1400, ma per problematiche personali e non per le denunce nei confronti del prossimo, come nelle canzoni di Fabrizio De Andrè. E se nella commedia dell’arte nasce un ruolo ben preciso della donna, anche le due donne di Ciampi hanno un ruolo nella sua vita, si dice che nei rapporti avesse un carattere rissoso e che avesse un’unico grande amore: il vino. L’attrice Donatella Biaigoli ha letto due poesie di Ciampi e soprattutto la prima Chiedere perdono non è peccato, evidenzia la complessità della personalità di Ciampi. Un’anima sofferente e irrequieta, che cerca il riscatto morale e sociale, ma non c’è la fa. Il rapporto di Ciampi con Pesaro non è marginale per l’esistenza di Ciampi, perché qui durante il Car conosce Gianfranco Reverberi, che lo sosterrà da vari punti di vista per tutta la vita. La dicotomia artistica di Ciampi: la rozzezza del carattere e l’uomo e poeta affascinante che lo portava ad essere amato e odiato. Se Livorno, la sua città natale, è il luogo dell’inquietudine e dell’insoddisfazione, Parigi la prima meta di tante altre pellegrinazioni “illusorie”, sarà il luogo della conoscenza di scrittori come Celine e l’amicizia con Georges Brassens. Di questo mondo difficile e affascinante, come è quello dei poeti maledetti, se n’è fatto cantore, con una esauriente relazione, il giornalista musicale, Luca Trambusti. Forse il cantautore più vicino per attitudini caratteriali a Ciampi è Luigi Tenco, che però ha un senso di un pessimismo tragico più accentuato, che lo porterà al suicidio, e di cui Ciampi aveva avuto come un sussulto preveggente. Gli anni ’60 sono gli anni dei primi successi e insuccessi discografici. Arriva a Milano e incide per case discografiche importanti, poi torna a Livorno e quindi raggiunge Roma dove conosce Gaetano Pulvirenti. Pochi successi e denaro sprecato nel bere per Ciampi, che però è amato da Gino Paoli, Pavone, Nada, Carmen Villani e in seguito sarà cantato da Zucchero, Renato Zero. Ma allora incomprensione o rifiuto di un carattere insostenibile? Si propende più per l’aspetto caratteriale, perché le sue poesie e canzoni hanno uno stile atipico con forme descrittive e rime rare per sentimenti e flussi. Ciampi non è un poeta ermetico. Non cerca il suono della parola, anche se in certi termini, lo Sgamellare, si avvicina a Montale. Lui descrive storie cupe e inquiete. Ma Ciampi è un perdente? Da una parte lo è perché non vive una vita serena. Dall’altra non è perdente perché non rimane mai schiacciato dalle situazioni. In Ciampi ritroviamo un minimalismo sonoro che arriva ad atmosfere più complesse. Anche il sindaco di Pesaro Matteo Ricci è rimasto molto colpito ed emozionato dalla personalità di Ciampi, e di fronte ad una platea colta ed attenta ha promesso in breve tempo una ristrutturazione di palazzo Ricci che diverrà spazio nella musica nella musica. In fine un omaggio anche questo denso di inquietudini: i 40 anni dalla legge 180 detta Basaglia, che ha rivoluzionato il sistema psichiatrico. «Chi sono i malati di mente? Nessuno lo sa», rispondeva il grande e profetico dottore.
Antonin Artaud, il poeta e il suo doppio
La quarta serata dell’Angolo della Poesia è stata dedicata ad un grande poeta e uomo di teatro della prima metà del Novecento: Antonin Artaud. E chi meglio del professor Carlo Pasi docente di Letteratura Francese all’Università di Roma e Pisa, poteva parlare, leggere e riflettere di questo mostro sacro del della crudeltà, che influenzò il Living Theatre e Grotowski, ma che non ha avuto la popolarità di altri poeti e intellettuali del secolo breve. Eppure, Carlo Pasi, allievo del grande maestro e saggista Giovanni Macchia, sta dedicando da più di trent’anni degli studi approfonditi ed ha pubblicato alcuni saggi su Artaud. Inoltre ha portato in scena con la sua compagna, recentemente scomparsa, una pièce teatrale dal titolo Sade Artaud. Ma perché è importante studiare Artaud anche come intellettuale scomodo, contestatore, perché, ha sottolineato Pasi, rimangono aperte molte questioni legate al suo pensiero, gli studi teorici teatrali, le poesie e la partecipazione al cinema, soprattutto nel capolavoro del 1928 di Dreyer La Passione di Giovanna D’Arco, in cui il giovane Artaud impersonava uno dei giudici dell’inquisizione più accaniti contro Giovanna. D’altra parte, la vita di Artaud che si svolge in prevalenza in Francia e a Parigi è in una continua ricerca dell’uomo, dell’assoluto. Nel 1946, due anni prima di morire, Artaud recupera un binomio per lui perfetto fra scrittura e disegni. Il disegno è segno di compensazione che è già narrazione, come nel disegno dei quattro sarcofagi, bare in cui sono rinchiuse le figlie di Artaud morte violentemente. Nel disegno si enuclea il pagliaccio, il Momo arricchito da humor nero-folle. I corpi anche se nelle bare sono oppressi e torturati. E nonostante tutto i suoi disegni rappresentano pseudo pellicole dove si sviluppa una danza anatomica che fa coesistere la metafisica in un teatro dove si esprime la danza del canto. Artaud è anche attore, pensiamo alla breve apparizione ne Il piacere dell’onestà di Pirandello. Solo con una breve frase «Si può entrare», Artaud utilizza due registri vocali differenti. Si chiude il sipario e si riparte da lì. Ciò che interessa Artaud è il contatto corpo a corpo, quasi epidermico come si evidenzia anche nel suo testo poetico. Vi è una interpretazione e traduzione che si collega con l’intonazione di Artaud. Ma l’utlizzo del corpo porta anche alla sua dilatazione dietro le quinte dello scenario. Da qui il suo concetto teorico del Teatro e il suo doppio che influenzò il teatro europeo e americano e che porterà il nostro nell’ultimo periodo esistenziale alla follia e la vita nel manicomio. E qui vi è analogia con la follia di Van Gogh, rivisitata nell’ episodio del film Sogni di Kurosawa. La follia porta all’ultima produzione corporea e che faceva del poeta un fantoccio, Momo dio della comicità. Artaud poeta nasce intorno al 1920 e qui si sviluppa la dimensione del pre-verbale. Alla fine del suo percorso artistico Artaud si chiede: «chi sono e da dove vengo?». Artaud vede il suo corpo attuale a volare in pezzi, 10.000 aspetti visibili ed acquista un corpus novus. Una serata dedicata ad Artaud che è stata arricchita con le improvvisazioni jazzistiche di Federico Nathan e Jacopo Mezzanotti, attraverso il jazz be bop di Charlie Parker. Ma anche un visionario vicino alla follia artaudiana, come Cesare Zavattini, non poteva mancare con il raro film Veritàààà, in cui la realtà e la fantasia si amalgamano indissolubilmente.
Kate Tempest, il rap come poesia di contestazione contemporanea
Appuntamento dedicato alla più grande poetessa inglese rapper, Kate Tempest. E chi meglio di Riccardo Duranti poteva presentare la rabbia di Kate Tempest e le due belle interpretazioni dell’ attrice Elvira Montesi? Kate Tempest, rapper, poetessa, scrittrice e performer e portavoce della sua generazione 35 anni, ha una produzione artistica variegata con interessi per la letteratura inglese, in particolare Shakespeare, legati alle esperienze di vita e alle influenze rap, e in cui racconta la rabbia, la frustrazione ma anche le speranze della sua generazione. Kate Tempest classe 1985 è nata nella periferia a sud est di Londra. Negli ultimi anni ha raggiunto la notorietà in patria e all’estero grazie alle sue opere in cui narra con maestria la sua generazione e i problemi della sua zona d’origine. Droga, disoccupazione, nichilismo, ma anche prospettive negate e scontente sono al centro delle sue creazioni artistiche. Con le sue poesie la Tempest viene premiata al Ted Hughes Award. In lei dominano rabbia e speranza, e quest’ultima deriva dal fatto che dalle macerie del mondo nasca qualcosa di nuovo e migliore. Legato all’ultimo album è il poema omonimo Che mangino Chaos (e/o traduzione di Riccardo Duranti). Si tratta di un racconto di una notte insonne, attraverso i personaggi che abitano la stessa via: la badante, il giovane uomo d’affari, l’alcolizzato del quartiere. Ognuno ripercorre la propria vita quotidiana e i propri affanni, solo, sveglio nella propria dimora. Ma in realtà è unito dagli altri personaggi dall’insonnia, ma anche dall’appartenenza a una società, a un quartiere, a una città, all’umanità. La poesia della Tempest oltre la rabbia trasuda una tradizione inglese di denuncia alla vita urbana e misticismo che nasce dalla visionarietà di William Blake. La critica alla vita in città nasce dalla sua esperienza come abitante di un quartiere degradato. L’interesse per raccontare la classe operaia deriva dall’esperienza del padre. Oltre alla poesia, la Tempest è autrice di un romanzo Le buone intenzioni sulla storia di una ragazza omosessuale e di tre opere teatrali. Coniuga con grande equilibrio la letteratura inglese con il rap. E questo aspetto è stato approfondito da Giuliano Delli Paoli, giornalista e critico musicale, esperto della letteratura rap, che nasce come contestazione e rabbia a determinate situazioni sociali. Ma la serata dell’Angolo della Poesia, ha avuto anche degli itinerari che si sono intersecati con la poesia della Tempest: La riflessione di Massimo Temporelli sul valore antropologico che non deve essere sopraffatto dalla tecnologia. E quale miglior esempio è stato l’omaggio a Stanley Kubrick per i 50 anni del film 2001 Odissea nello spazio. «La poesia e la creatività sono l’ancora di salvezza di una umanità alla deriva», ha sottolineato lo scienziato Massimo Temporelli.
Emanuele Carnevali, la voce di due culture
Ultima serata dell’Angolo della Poesia. Aurelia Casagrande, con la lettura del profilo biografico e Andrea Ciribuco per l’aspetto critico-interpretativo, hanno presentato il poeta fiorentino Emanuel Carnevali. L’attore Franco Andruccioli ha poi interpretato con intensità emotiva una poesia di Carnevali. Emanuel Carnevali nacque a Firenze il 4 dicembre 1897. Dopo un girovagare per diverse città italiane per seguire i genitori che poi si separeranno, Carnevali dopo la morte della madre avvenuta nel 1908, venne messo in collegio dal padre. Successivamente Emanuel vinse una borsa di studio al Collegio Marco Foscarini di Venezia e nel 1913 fece il suo ingresso all’istituto tecnico “Pier Crescenzi” di Bologna, dove fu allievo del critico letterario e narratore, Adolfo Albertazzi e qui comprese di avere una autentica vocazione letteraria. Nel suo romanzo autobiografico uscito postumo nel 1978 dal titolo Il primo Dio, Carnevali descrive la decisione di emigrare negli Stati Uniti nel 1914 a soli 16 anni. Visse quindi fino al 1922 tra New York e Chicago facendo i più umili mestieri. Col tempo imparò la lingua inglese e cominciò ad inviare i suoi versi a riviste letterarie che inizialmente li rifiutarono e poi iniziarono a prendere in considerazione. Furono pubblicate delle poesie di Carnevali che in quel periodo divenne amico di Max Eastman, Ezra Pound, Robert Mc Alman e William Carlos Willlians. Dimenticato dalla critica e dal pubblico, Carnevali ha lasciato un forte segno nella letteratura americana del Novecento e partecipò al rinnovamento dell’avanguardia letteraria americana dell’epoca. Sherwood Anderson si ispira a lui quando scrive il racconto Italian Poet in America (1941). Carnevali fu autore dei racconti Tales of an hurried man del 1925. Tenne una corrispondenza epistolare con Benedetto Croce e Papini, lettere che verranno pubblicate col titolo Voglio disturbare l’America (1980) a cura di G.C. Milet. Colpito da encefalocite letargica nel 1922 ritornò in Italia dove visse per 20 anni fra l’ospedale e varie pensioni di Buzzano. Morì l’11 gennaio 1942 in una clinica neurologica di Bologna. Per Andrea Ciribuco, Emanuel Carnevali fu un poeta rivoluzionario non da un punto di vista tecnico, ma seguendo il grande Withman, la poesia era rivoluzionaria poiché determinava un’altra lingua all’interno della cultura americana. Ma chi è il poeta? E’ quell’artista che prende la parola di tutti e la trasforma. L’altro poeta di riferimento per Carnevali è Rimbaud. Nella sua concezione poetica vi è quel salto simbolico che potrebbe esserci fra il Petrarca e la metropoli del XX secolo. Carnevali cerca di trovare un po’ di nostalgia in una città completamente estranea alla sua cultura e in lui non vi è l’omologazione alla vita borghese americana. Il ritorno in Italia è un distacco quasi voluto nei confronti di un’America costruttrice di città meccaniche.Ma la serata, secondo lo stile del format polivalente elaborato da Giuseppe Saponara, ha visto la presenza anche di un grande attore, una voice interpretativa unica, Gino Manfredi, che ha letto molto bene delle pagine tratte dal concetto di rivoluzione del marchese De Sade (1789) e di Renan Ernst contro ogni tipo di rivoluzione. Poi in una bella sequenza del film musical Jesus Christ Superstar è apparso il vero grande rivoluzionario della Storia. Quindi un salto verso la musica contemporanea destrutturata di John Cage letta e interpretata da Matilde Fratteggiani Bianchi. Poi il padre pittore astrattista e amico di Cage, Alfonso Fratteggiani Bianchi, che ha parlato della grande personalità del musicista, che ha superato le abitudini da Guido d’Arezzo fino a Schoenberg, che con la musica dodecafonica non ha destrutturato la musica, ma la spostata dal tonale all’atonale. Cage ha ispirato le opere monocrome di Fratteggiani, che presentano al loro interno dei codici. Un arte quella di Cage e Fratteggiani che non sono amate dai sistemi totalitari.
Paolo Montanari