Negli ultimi giorni i media italiani hanno riempito tutte le loro seconde pagine con i risultati dei ballottaggi delle elezioni tenutesi in Spagna e Polonia, creando un improbabile filo rosso tra questi ultimi e le precedenti consultazioni nel Regno Unito, sotto la comune bandiera dell’allarmismo per il vento antieuropeista cavalcante. Alle chiacchere della disinformazione si è unito il coro dei quaquaraquà politicanti pronti alla facile strumentalizzazione. Inutile dire che i tre casi citati differiscono tra loro non soltanto in quanto trattasi di elezioni comunali, nel caso spagnolo, e di nazionali, in quello anglo-polacco, ma, soprattutto, per i protagonisti di queste elezioni, tra di loro completamente distanti.
Quello che cercheremo di fare noi è abbozzare un quadro, seppur non esaustivo, dell’esito del voto in Polonia, stato che, per quanto da molti osservatori italiani ignorato, sta giocando un ruolo sempre più importante nello scacchiere geopolitico europeo.
Per capire la posizione della Polonia nello scacchiere europeo contemporaneo, dobbiamo risalire al 1989. Dopo la caduta del regime comunista, in Polonia sono subito emerse due questioni cruciali: la sicurezza del paese e la trasformazione socio-economica. Come strumento per realizzare questi obiettivi si è scelto l’avvicinamento e l’integrazione con l’Occidente. In materia di sicurezza la Polonia doveva rafforzare l’autonomia del paese e contrastare il ritorno del dominio geopolitico russo. In materia di modernizzazione, è stato preso a modello il sistema occidentale basato sulla democrazia e sul libero mercato. Dopo la caduta del regime comunista, la politica estera polacca si è quindi concentrata su tre filoni principali: a) quello europeo, basato dapprima sull’entrata nell’Ue, avvenuta nel 2004, e poi sul rafforzamento della sua posizione all’interno delle strutture europee; b) quello transatlantico, associato a una stretta collaborazione con gli Stati Uniti, con particolare attenzione alla questione della sicurezza (prima l’entrata nella Nato e poi la partecipazione attiva alle operazioni militari americane in Iraq e in Afghanistan); c) quello della politica estera nei confronti dei paesi europei dell’ex Unione Sovietica.
Ancora nel 2009 il ministro degli Esteri Radosław Sikorski riteneva che le priorità della Polonia fossero due: a) l’integrazione europea ed euro-atlantica; b) l’ammodernamento e la creazione di uno Stato nazionale (nel senso della cittadinanza). Questo implicava la necessità di rivolgersi a occidente, di radicarsi in Europa, di creare alleanze all’interno dell’Ue e della Nato (soprattutto tramite una stretta collaborazione con la Germania) e di seguire la corrente principale della politica europea. Nel caso dell’Europa orientale, questo significava esercitare un’influenza sulla regione nell’ambito della politica comunitaria, tramite gli strumenti forniti dall’Unione Europa e non mediante iniziative individuali.
Gli effetti di questa politica sembrano essere stati ottimi sulla crescita del paese. I dati del primo trimestre di quest’anno hanno confermato la buona salute dell’economia polacca, tornata brillante dopo il rallentamento del 2012-2013. Il Pil è cresciuto del 3,4%. Cifra che supera, addirittura, le aspettative. La progressione della crescita dovrebbe attestarsi su medie analoghe nel corso del resto dell’anno, se è vero che il Fondo monetario internazionale stima che la più grande economia della “nuova” Europa dovrebbe espandersi del 3,5%. Mentre del 3,6%, sempre secondo gli economisti dell’istituto diretto da Christine Lagarde, sarà il tasso di crescita nel periodo 2016-2020. Il che fa della Polonia, ammesso che le previsioni trovino riscontro nella realtà, il paese economicamente più guizzante del versante centro-orientale dell’Europa. L’avanzata polacca può essere misurata con i numeri. Il Pil è rimasto sempre sopra lo zero, anche nei momenti più feroci della tempesta finanziaria. Quello pro capite è passato dai 6639 dollari del 2004 ai 13653 del 2013, stando al database della Banca mondiale. Dal quale si ricava anche il dato sulla disoccupazione. Era al 19% nel 2004, attualmente è intorno al 10%.
Se certo di miracolo polacco non si può parlare, è inevitabile prendere atto del consolidarsi di una nuova potenza, la cui ascesa è indubbiamente legata alla quantità e qualità nell’assorbimento dei fondi strutturali europei, ai vantaggi geografici rappresentanti dalla vicinanza con la Germania, e alla capacità di costruire un’architettura economica attraente e competitiva. Tuttavia i segnali che qualcosa vada migliorato sono forti e evidenti nella frammentazione regionale del paese. Soprattutto sul versante est del paese. Esclusa la capitale Varsavia, che fa storia a sé, i grandi poli dello sviluppo, vale a dire Poznan, Breslavia, Danzica, Lodz, Cracovia, sono concentrati nella fascia occidentale e mediana del paese. A oriente della Vistola, il fiume che taglia in due il paese, la situazione è meno florida. Un’altra strozzatura fastidiosa è quella dell’energia. Sul fronte del gas il vincolo con la Russia è eccessivo, su quello dell’elettricità la dipendenza dal carbone sta diventando un fardello, soprattutto per le proteste dei minatori. L’abbandono del sistema delle quote ha inoltre messo in allarme i piccoli coltivatori e allevatori diretti polacchi, che si sono visti minacciati dal mercato globale. Infine, resta la questione cruciale dell’euro. La Polonia, secondo il trattato di adesione all’Unione europea, è obbligata a dotarsi della moneta unica. Finora ha sorvolato elegantemente l’argomento. Con l’ingresso nell’Euro, la Polonia potrebbe perdere un po’ dei vantaggi che ha e ha avuto restando fuori, ma anche guadagnarci. L’esempio dell’export è indicativo. Le piccole e medie aziende del paese preferiscono lo zloty (che comunque si sta apprezzando) alla divisa comunitaria. Mentre c’è da credere che le grandi, soprattutto quelle con casa madre in Europa occidentale, non sarebbero affatto scontente se arrivasse la transizione monetaria.
Su questi temi si è combattuta la recente campagna elettorale che ha portato alla vittoria Andrej Duda, candidato euroscettico, alla presidenza. Al ballottaggio ha battuto con il 53% Bronislaw Komorowski, esponente della Piattaforma civica (Po), il partito centrista che domina la scena politica dal 2007. Duda è invece membro di Diritto e Giustizia (PiS), formazione capitanata da Jaroslaw Kaczynski. Guardando però ai dati degli elettori del neo presidente si comprendono molte cose. La vittoria di Duda, secondo l’istituto Ipsos, è dovuta al voto di agricoltori, operai, disoccupati: ha ricevuto infatti il 66,4% dei voti fra gli agricoltori, il 61,9% fra gli operai, il 63,8% di studenti, il 62,4% di disoccupati, il 52,9% di pensionati. In suo favore ha votato il 60,8% di giovani sotto il 30 anni. Fra i laureati ha vinto il presidente uscente, con il 54,9% delle preferenze. Quello che questo dato mostra è che la vittoria si è fondata sul consenso di coloro che finora sono stati esclusi dal processo di crescita della Polonia e che quindi hanno optato per il cambiamento. Non solo ma è nato un nuovo centro, dice Mennitti: «Un centro sociologico più che politico, non moderato, tendenzialmente giovane, urbano e assolutamente refrattario a vecchie ideologie. Una componente moderna, senza con questo attribuirle alcun giudizio di merito, simile a quelle presenti in tanti paesi dell’Europa occidentale, allo stesso tempo frutto del benessere conseguito in questi anni dalla Polonia e dell’inevitabile diseguaglianza con cui si è spalmato sulla società. Apocalittici o integrati, arrabbiati o apolitici, indignati anticorruzione o semplici scontenti della politica: un magma di istanze, a volte anche contraddittorie fra di loro, più facilmente unificabili da un outsider stravagante come Kukiz (un’ex rockstar che ha preso il 20% al primo turno delle presidenziali) che da due politici professionisti come Komorowski e Duda».
Come il nuovo presidente sia riuscito a farsi bandiera di queste nuove istanze è alquanto preoccupante: Duda si è espresso a sfavore della de-carbonizzazione del paese e dell’adozione dell’Euro e ha fondato i suoi discorsi sulla scia di un nuovo e preoccupante sciovinismo e nazionalismo in stretta vicinanza con l’Ungheria di Orban. Staremo a vedere cosa cambierà in Polonia di qui ai prossimi mesi, ma certo è che un preoccupante vento di destra populista (dovuto anche alla completa mancanza di una vera sinistra in Polonia) ha fatto il suo ingresso nei palazzi di uno dei sei stati più importanti dell’Europa e questo avrà sicuramente qualche effetto, non irrilevante, nello scacchiere europeo.
[…] l’Ungheria, da anni, sembra non fare più notizia e l’ascesa del PiS (Diritto e Giustizia) di Andrej Duda e Beata Szydlo in Polonia sono ormai una realtà consolidata. Potremmo proseguire in questo lungo […]