Ancora poche settimane per visitare la retrospettiva di Liliana Moro Andante con Moto, che espone nelle sedi milanesi del PAC una selezione antologica dei suoi lavori dagli anni ‘80 ad oggi. La mostra è visitabile fino al 15 settembre 2024.
Un’arte teatrale
Liliana Moro nasce nel 1961 a Milano. Dalla sua pratica artistica si percepisce un forte legame con la dimensione teatrale, e forse ne è dimostrazione più chiara l’installazione che dà il nome alla mostra, Andante con moto. In uno spazio quasi surrealista, tra una lastra di alluminio ondulata e la scultura in cemento di una banana, una cassa diffonde la voce di Liliana Moro mentre recita L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett. Alla sua voce l’artista sovrappone dei suoni da lei registrati, tra cui il rumore di un treno. Il lavoro è stato realizzato per questa mostra ed esposto per la prima volta a Vaduz. La stessa disposizione degli oggetti ricorda lo spazio di un teatro, con il riferimento in primis all’opera di Beckett, ed in secondo luogo al forte legame di Liliana Moro con la scenografia, passione tanto forte che quasi l’aveva spinta a scegliere quel percorso di studio prima di iscriversi al corso di pittura dell’Accademia di Brera. L’opera letta dall’artista è uno degli ultimi testi di Beckett, e forse uno dei soggetti più malinconici: Krapp, protagonista dell’opera drammatica, registra i suoi pensieri e desideri su un vecchio registratore come se fosse un diario. L’opera inizia con un Krapp anziano che ascolta una registrazione di trent’anni prima, dove si percepisce il suo entusiasmo giovanile. Ora, vicino alla morte, Krapp si deride per aver tentato inutilmente di dare un senso alla propria vita, considerandolo un fallimento. In questo senso l’opera ha una valenza di congedo, come se Liliana stessa nei panni di Krapp riassumesse con questa antologica il diario artistico degli anni passati.
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Un invito all’ascolto
Le opere di Liliana Moro spesso richiedono una collaborazione da parte del pubblico: ci si deve chinare per osservare i dettagli, come nel caso di In no time, costituita da una coperta di pile giallo piegata e chiusa da due cinghie rosse. L’opera è di per sé di piccole dimensioni; inoltre, si trova in una posizione isolata nella prima sala, lasciata completamente vuota. Lo spettatore accede alla stanza quasi distratto: all’ingresso è installata l’opera acustica Senza fine del 2010, in cui Liliana Moro ha raccolto una serie di versioni del brano Bella Ciao, che producono una cantilena polifonica frastornante. Anche In no time produce un suono, quello di una goccia che cade per terra a cadenza irregolare. È importante osservare da vicino quest’opera, che esorta a prestare attenzione alla dimensione uditiva dell’arte e agli effetti di un ritmo casuale. Inoltre, solo guardando bene l’oggetto si percepisce appieno l’illogicità surreale che lega l’opera visiva al suono prodotto. Dal pile, materiale assorbente, fuoriesce infatti il suono di acqua che si infrange su un piano solido. Forse con un pizzico di ironia Liliana vuole sottolineare l’importanza di concentrarsi sul suono, prendendo in giro il visitatore disattento con un’installazione che racchiude in sé un paradosso logico. L’irriverenza non manca nelle proposte artistiche di Liliana Moro, come ad esempio nell’opera seriale del 2009 E le stelle stanno a guardare, in cui l’artista ha collezionato dal settembre 2008 al settembre 2009 la copertina di ogni numero della rivista Internazionale, accostandola ironicamente all’oroscopo del proprio segno zodiacale (anch’esso pubblicato in una sezione del giornale). Il confronto fra le copertine dai titoli polemicamente forti che seguono la crisi finanziaria occidentale del 2009 e la banalità delle frasi dell’oroscopo producono un effetto di sfrontata ed ironica critica sociale.
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Appropriarsi e perdersi nello spazio
Due sale degli spazi del PAC sono completamente occupate da « » e In onda. Anche in questo caso l’intervento dello spettatore è necessario, ma in « » nell’attivazione dell’opera è determinante il ruolo del pubblico. Il pavimento della stanza è infatti ricoperto di cocci di vetro: alcuni sono grandi quanto un palmo, altri già ridotti in polvere. Affacciarsi all’ingresso di questa stanza è già di per sé un’esperienza suggestiva; le pareti bianche e le luci fredde illuminano la distesa di cocci immobili, che così luminosa sembra una superficie assolutamente “innocua”. Lo spettatore poi, camminando sui frammenti di vetro li sposta, li incrina, li frantuma e trasforma in briciole. I suoi primi passi nella stanza sono sicuramente incerti, e non solo per la paura del vetro tagliente: in qualche modo prevale un’iniziale volontà di non creare danni e rompere meno cocci possibili. Acquistata una certa confidenza però inizia a cercare quel danno e quel rumore che non voleva causare, si appropria dello spazio in quanto autore fisico del suono che si propaga al suo interno: vetro frantumato. Da un’esperienza di appropriazione si passa ad una – totalmente opposta – di abbandono con In onda. Attraverso due pesanti tende oscuranti si accede ad uno spazio totalmente buio privo di punti di riferimento. Dal fondo della stanza provengono le frequenze marine registrate grazie alla collaborazione tra Liliana Moro e la riserva Marina di Miramare a Trieste. L’operazione non è soltanto un invito a una presa di coscienza dell’atteggiamento intrinsecamente specista dell’uomo, ma un trionfo della vitalità delle comunicazioni tra gli abitanti marini. Gli spazi del piano inferiore del PAC sono luminosi, ed il passaggio dalla luce del corridoio all’oscurità totale di In onda crea nello spettatore una sensazione di spaesamento e di mancanza di equilibrio. Senza nessun tipo di riferimento e circondato dai suoni delle profondità marine, lo spettatore perde quasi l’equilibrio all’interno di una stanza che sembra non avere confini. La pratica artistica di Liliana Moro – in questo caso come negli altri – è in grado di far immergere completamente il pubblico nell’atmosfera creata dall’artista. In questo caso il processo di trasformazione mentale della stanza buia in un abisso marino riesce a essere quasi immediato.
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La passeggiata
Una mostra che va vista, ascoltata, attivata: non manca all’interno di Andante con moto anche un elemento che fa sorgere una questione complessa. Davanti l’infilata delle scale al piano terra del PAC è esposta La passeggiata, progettata nel 1988 a Novi Ligure in occasione dell’evento «Politica del, per o riguardante il cittadino». Prima opera pubblica dell’artista, La passeggiata prende il nome dallo spazio urbano in cui viene installata ed è costituita da una serie di pattini a rotelle sprovvisti di lacci legati fra loro da una catena di ferro. Questa installazione in origine veniva effettivamente attivata dal pubblico. In un’intervista del 2004 Liliana Moro racconta:
«Ogni mattina il lavoro aveva una forma diversa c’erano momenti in cui i patti erano raggruppati tutti da una parte altre volte dall’altra insomma cambiava continuamente questo a me piaceva molto.»
Ogni giorno quindi l’esposizione al pubblico determinava un cambiamento nella forma dell’opera stessa. In questa dimensione di arte partecipata sorge quindi un dubbio la cui risposta sarebbe complessa e forse troppo soggettiva: quanto influisce il luogo di esposizione di un’opera sulla sua stessa essenza? I pattini esposti al PAC non possono essere toccati, non si sporcano con la polvere dell’asfalto né con la sabbia del vento di Novi Ligure. Nessun ragazzo per gioco di notte li sposterà mai. È possibile che estrarre un’opera dal contesto in cui è stata pensata in qualche modo la privi del suo potere?
In copertina: Liliana Moro, ANDANTE CON MOTO, PAC Milano – veduta della mostra – foto di Nico Covre, Vulcano Agency
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