Ana Mendieta

L’arte di Ana Mendieta tra corpo, terra e libertà

Ritualismo, natura e spiritualità: il percorso artistico di una delle donne più significative del Novecento

3 minuti di lettura

Ana Mendieta è stata una delle voci più intense dell’arte del secondo Novecento. La sua arte – fragile e potente, effimera e terrena – è un inno alla libertà personale, al legame con la natura e alla necessità di riscrivere la propria presenza nel mondo. In un’epoca in cui l’arte cercava spesso lo shock visivo o la critica concettuale, Mendieta ha scelto un linguaggio più arcaico, spirituale e corporeo: la performance, il sangue, la terra, il corpo.

Il corpo a servizio della memoria

Nata a Cuba nel 1948 e trasferitasi negli Stati Uniti grazie ad un programma del governo americano e della Chiesa Cattolica, Mendieta ha vissuto e creato sospesa tra due mondi, due culture, due identità. Per Ana Mendieta, l’arte diventa un modo per ricucire la frattura dell’esilio, per ricreare un legame con le origini spezzate. Il corpo e la natura sono i suoi strumenti per riconnettersi a qualcosa di ancestrale, spirituale, quasi magico: questo è il motivo per cui la sua è un’arte che non cerca la mera rappresentazione, ma piuttosto la possibilità di un’incarnazione della memoria.

Dopo una formazione pittorica classica, le opere di Mendieta si spostano verso la Body Art e la Land Art, ma se ne distaccano per la forza rituale e la componente identitaria. Molte delle sue opere usano elementi crudi come sangue animale, fuoco e fango: non si tratta di virtuosismi, bensì Mendieta attinge a un immaginario precolombiano, afro-cubano, sciamanico, dove questi materiali sono strumenti di trasformazione e riti di passaggio.

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Ad esempio, in Untitled (Death of a Chicken), una delle sue prime performance, Ana Mendieta tiene tra le gambe un pollo appena decapitato, mentre il sangue le cola tra le cosce. È un’immagine scioccante, ma anche profondamente simbolica: il sacrificio, la vita che scorre, la morte come momento sacro. Per Mendieta, la spiritualità è inseparabile dal corpo, dalla natura e dall’arte. Non è religione, ma ritualità profonda.

Silueta Series (1973–1980)

Tra le serie più importanti dell’artista, Silueta Series si basa su un’azione molto semplice: Medienta imprime la propria sagoma su superfici naturali usando il proprio corpo come stampo, ombra, presenza e assenza.

La serie rappresenta la quintessenza del linguaggio artistico dell’artista, della sua poetica e della sua idea profonda di libertà. Realizzata tra il 1973 e il 1980, la serie raccoglie più di 100 interventi ambientali, documentati attraverso fotografie e filmati Super 8, in cui Mendieta lascia la propria sagoma impressa nella natura: in spiagge, campi, boschi, letti di fiume, in luoghi che sembrano al contempo remoti e intimi.

Ana Mendieta
Ana Mendieta, Untitled: Silueta Series (1978), Guggenheim, New York

Queste opere non sono semplici performance o installazioni effimere: sono atti rituali, invocazioni di radici, gesti di riconquista del proprio spazio nel mondo e veri e propri atti di affermazione esistenziale. Ana Mendieta usa il corpo come strumento di connessione, e allo stesso tempo come simbolo di assenza e presenza. Le sue silhouette, incise nella sabbia o modellate col fuoco, appaiono come tracce archeologiche di un essere umano che è passato, ha vissuto, ha pregato, e poi è sparito.

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Interessante è ricordare come la Silueta Series sia nata durante il periodo in cui Mendieta si trovava in Iowa, lontana sia dalla natia Cuba che dai grandi centri dell’arte contemporanea americana. In questa geografia liminale, l’artista inizia a sperimentare il rapporto tra corpo e paesaggio come modo per superare il trauma dell’esilio e ricostruire un’identità frammentata.

La sagoma è sempre la sua: femminile, solitaria, immersa nella natura. Ma non è mai imposta o dominante. Al contrario, si fonde con l’ambiente, lo rispetta, si lascia modificare dal tempo e dagli agenti naturali. In questo gesto c’è una visione della libertà radicalmente diversa da quella occidentale e maschile: non libertà come conquista, ma come ascolto, appartenenza, dissoluzione. Sono atti intimi, poetici, quasi sacri. Eppure, proprio in questa effimerità, Mendieta afferma una forma di libertà totale: la libertà di non essere classificata, né posseduta, né fissata in un’immagine definitiva. In un certo senso, ogni Silueta è anche un atto contro la cancellazione. Nata dall’esperienza della perdita — della patria, della lingua, della madre — Mendieta non cerca di riempire il vuoto con parole o bandiere. Al contrario, lo trasforma in forma.

Una morte misteriosa e successiva eredità

Nel 1985, Ana Mendieta muore tragicamente, cadendo dal 34º piano del suo appartamento a New York. Il marito, l’artista minimalista Carl Andre, viene accusato del suo omicidio, ma assolto. La sua morte resta avvolta nel mistero, e molti artisti e attivisti continuano a chiedere giustizia con lo slogan Where is Ana Mendieta?”

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Oggi l’opera di Ana Mendieta è celebrata nei maggiori musei del mondo, ma resta anche un punto di riferimento per gli artisti che lavorano sull’identità, il corpo, l’ambiente e la decolonizzazione. Il suo linguaggio viscerale, silenzioso e profondamente poetico continua a parlare a generazioni che cercano nell’arte una forma di verità e liberazione. Inoltre, il lavoro di Ana Mendieta è spesso letto anche in ottica femminista e postcoloniale. In un panorama dominato da uomini bianchi, le sue performance — che evocano la stregoneria, i culti femminili, la connessione con la terra — rivendicano uno spazio di potere al femminile.

Non si limita a denunciare: trasforma. Il corpo non è solo luogo di oppressione, ma fonte di sapere e spiritualità. La natura non è solo paesaggio, ma alleata, complice, madre. La sua arte parla di libertà senza bisogno di slogan: è un linguaggio fisico, intimo, radicale.

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Antonia Cattozzo

Appassionata di qualsiasi forma d'arte deve ancora trovare il suo posto nel mondo, nel frattempo scrive per riordinare i pensieri e comunicare quello che ciò che ha intorno le suscita.

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