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«Amore e Psiche» di Canova: una favola nel marmo

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«Vi erano in una città un re e una regina. Questi avevano tre bellissime figliole. Ma le due più grandi, quantunque di aspetto leggiadrissimo, pure era possibile celebrarle degnamente con parole umane; mentre la splendida bellezza della minore non si poteva descrivere, e non esistevano parole per lodarla adeguatamente». È così che ha inizio la favola di Amore e Psiche, storia di splendore inesprimibile e invidia femminil divina, di amore apparentemente irrealizzabile e eternità da condividere. A raccontarcela nel II secolo d.C. è Lucio Apuleio, nelle sue Metamorfosi o L’asino d’oro, ponendo al centro dell’unico romanzo in lingua latina giuntoci per intero un gioiello narrativo ed evocativo destinato a ispirare le personalità più eminenti di tutte le arti.

Non è difatti un caso la fascinazione apuleiana subita da Antonio Canova, il nome simbolo del Neoclassicismo, padre di quella Paolina Bonaparte incarnazione della Venere vincitrice commissionata da Camillo Borghese per elevare la sua giovane sposa al rango di divinità. In accordo con quel ritorno al «bello ideale» teorizzato da Johann Winckelmann, nel bianchissimo gruppo scultoreo di Amore e Psiche (la cui versione più nota e acclamata è quella del 1788, conservata al Museo del Louvre di Parigi), l’artista coglie i due innamorati in un momento carico di pathos e tensione emotiva; non si tratta più della rappresentazione di giovani che giacciono a letto nella torre dove Eros conduce la sua amata, ma è il bacio a essere l’unico protagonista della scena: denso, sospeso e immaginato. A restare impressa nell’occhio di chi osserva è la tensione anche fisica che anima i due corpi, quasi protesi in un abbraccio che vede Amore sorreggere Psiche candidamente abbandonata tra le sue braccia. Con erotismo inedito e raffinato il dio contempla la giovane fanciulla ormai sua, nonostante la volontà folle e la cieca invidia della madre.

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Nella ricerca di equilibrio che si esprime nella disposizione piramidale dei corpi, le figure nell’intenso abbraccio si intersecano a formare una X sinuosa, capace di dar luogo ad un’opera che vive di quell’intensità che precede l’attimo dell’amore, l’istante prima del bacio, il sogno prima della sua realizzazione concreta.

 


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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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