La necessità del racconto
L’ineffabile arte del racconto, la capacità di creare un mondo dotato di senso spesso cela sotto mentite spoglie – quali la padronanza della lingua, la fantasia, l’immaginazione – lo strano sortilegio che ne costituisce il presupposto e le fondamenta: la trasformazione del caso in necessità. Anche il più abile cantastorie, che si diverte a improvvisare e millanta un’inesauribile fantasia, sa già come finisce il proprio racconto.
Per dare inizio a un racconto, bisogna sapere dove si vuole arrivare. Chi descrive può limitarsi a dire ciò che vede, chi racconta ha già visto tutto ciò di cui vuole raccontare: perciò ogni imprevisto, ogni accadimento acquisisce una determinata collocazione, così che tutto sia perfettamente concatenato. La casualità è inevitabilmente soppiantata dalla causalità.
Quando si parla ciò che si vive si cade spesso nella trappola del racconto, o forse ci si imbriglia consapevolmente, cercando di giustificare, rendere sopportabili o anche gradevoli alcuni eventi. Per raccontare bisogna poter vedere la storia dal fondo dell’imbuto, la storia deve essere passata. Cercare di trovare un nesso causale, dettato dal destino, tra ciò che accade nella vita di tutti i giorni rischia di diventare un comodo antidoto al caos, che spaventa e può lasciare inermi, indifesi.
L’ostinazione per il racconto di Massimo Recalcati
Ciò non significa doversi limitare a registrare i fatti e tacerli, senza la possibilità di connetterli tra loro. Si può attingere alla natura del racconto, comprendendo che questa forma di parlare implica necessariamente la capacità di scegliere. Il racconto infatti implica una fine tanto quanto la scelta di dare voce ad alcuni eventi. Ciò che viviamo comporta delle scelte e il racconto della nostra vita si basa sulla consapevolezza di ciò che scegliamo.
Per raccontare la propria vita bisogna essere ostinati, stare di fronte (ob-sistere) a ciò che ci accade e affrontarlo direttamente in uno scontro che si conclude nel momento in cui si decide. La decisione è il taglio del filo che può stringere tanto forte da togliere il respiro e che se non reciso, rischia di diventare la matassa labirintica dei rimorsi e dei rimpianti.
Con straordinaria ostinazione, con la forza di chi sta di fronte alla propria vita scegliendola giorno dopo giorno Massimo Recalcati si racconta e racconta la vita dal primo battito all’esalazione dell’ultimo respiro, scegliendo la parola biblica che in un attimo restituisce la vita stessa: Amen, in scena al Teatro Franco Parenti dal 12 al 17 ottobre.
Ostinarsi alla vita
In forma di concerto per voci e elettronica, con la regia di Valter Malosti, viene consacrata la vita raccontandola attraverso l’alternarsi di tre punti di vista, incarnati nella Madre, il Figlio e il Soldato. Federica Fracassi, Marco Foschi e Danilo Nigrelli danno sostanza alla parola autobiografica della vita che si ostina, di un figlio nato prematuro e destinato alla morte, come dei soldati italiani dell’atroce ritirata dalla campagna di Russia di cui ha raccontato con la medesima ostinazione Mario Rigoni Stern ne Il sergente nella neve, libro talismano di Recalcati stesso, come ha spiegato nell’introduzione alla messa in scena.
La potenza della voce risuona come eco persistente della parola che afferma la vita. Amen, così sia, si racconta nelle stupefacenti letture dei tre attori, che oltrepassano il personaggio per essere persone vive sulla scena. Il progetto sonoro e live electronics Gup Alcaro con Paolo Spaccamonti alla chitarra elettrica amplifica lo spazio teatrale dal palcoscenico alla sala, completamente immersa in un racconto totalizzante e pervasivo che tocca con intelligenza e delicatezza le corde empatiche degli spettatori.
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La scelta della direttrice artistica Andrée Ruth Shammah di aprire la stagione teatrale con uno spettacolo che è la parola della vita dà una precisa indicazione immaginativa: l’arte del Teatro ribadisce la propria natura intrinsecamente verace in quanto vitale, poiché sa dare voce alla vita, mettendola in scena, per starle di fronte, ostinandosi alla Vita, raccontandola nelle scelte che la rendono tale.
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