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Amarsi tra le stelle come John Keats e Fanny Brawne

7 minuti di lettura

Fanny Brawne era la ragazza della porta accanto: trasferitasi con la famiglia a Wentworth Place dopo la morte del padre, soleva trascorrere le giornate giocando con i fratelli e cucendo vestiti. Tra un punto croce e un nastrino da intrecciare, Fanny passeggiava per il giardino, dove un susino e un gelso diventavano cuscini sui cui far riposare la testa bruna piena di sogni. In quello stesso giardino, oltre una siepe di alloro, John Keats, ospite dall’amico poeta Charles Brown, udii cantare gli usignoli.

Correva il novembre 1818 quando i due si incontrarono in un’occasione mondana, ma la scintilla non scoccò. Il giovane Keats era angosciato dalla malattia del fratello Tom, che stava morendo di tisi, così non brillò affatto nella conversazione con Fanny, la cui vivacità e senso dell’umorismo lo intimidirono profondamente. A dicembre, il diciannovenne Tom morì, e John rimase solo. Dilaniato da un’interminabile storia di lutti familiari (perse padre, madre e fratelli da adolescente), indebitato fino all’ultimo penny ed osteggiato dalla critica letteraria, a Keats non rimanevano che la Poesia e gli amici. Così, seguì l’invito di Brown e si trasferì nella metà della casa di Wentworth Place che apparteneva a Charles.

A separare Fanny e John era solo un muro, e qualche centinaia di sterline, considerando che Keats non aveva dote, quantomeno non monetaria. Eppure, di dote di natura divina ne possedeva una, e fu abbastanza per renderlo immortale: l’ars poetica. John si ubriacava di Bellezza: la attingeva dalla Natura, dal volo incerto ma caleidoscopico di una farfalla e dall’armonia della geometria di un’urna greca, per poi smaltire tale ebbrezza primordiale con sequele di parole la cui potenza lo resero noto al mondo come il più grande poeta romantico inglese.

Assorbito da una passionale storia d’amore con la propria arte, monaco il cui dogma è la contemplazione verginale del creato, John si definiva indifferente alle donne, i cui frizzi e lazzi lo irritavano. Tuttavia, i pomeriggi trascorsi con Fanny istruendola di poesia resero gli sguardi tra i due più liquidi, gli occhi si fecero pozzi colmi di passione, e con le rose, a primavera sbocciò l’amore. John fu colto alla sprovvista dalla marea del loro sentimento e si ritrovò in balia di onde la cui schiuma erano baci e biglietti della buonanotte da celare sotto il cuscino. Naufrago della tranquilla esistenza che menava prima dell’incontro con Fanny, Keats bruciava d’amore, viveva solo per Lei, la sua donna, la sua bright star, la fulgida stella che orientava come una dolce tiranna i suoi giorni e le sue notti. Confuso, disorientato, Keats spesso cadeva vittima del suo stesso ardore ed esplodeva in gelosie deliranti: “Se ci amiamo non dobbiamo vivere come vivono gli altri, uomini e donne – io non posso sopportare la malapianta della moda, la superficialità delle chiacchiere – devi essere mia sino a morire sulla ruota se lo voglio”.

Fanny ha voglia di ballare? Vuole indossare un nuovo abito? Vuole recarsi a Londra? Non può, non è giusto che lo faccia. Deve essere unicamente sua. Deve restargli accanto per sempre.

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Quanto tempo è per sempre?


Tic toc
. Tic toc. Tic toc. Tic toc.

Il 18 ottobre 1819 John le regalò un anello, ma il fidanzamento venne tenuto nascosto dai due: come ogni madre chioccia, anche quella di Fannie, Francis, vorrebbe un futuro più luminoso per la figlia, vorrebbe che a brillare fossero i diamanti di un facoltoso signor marito, non le fatue stelle di un poeta squattrinato. Così, per non turbare la quiete domestica, i due tacciono l’evento, ed il segreto vincolo che li lega non fa che rendere mani,  parole e sospiri sempre più ansiosi di perdersi per poi ritrovarsi l’uno nella carne dell’altro.

Tic toc. Tic toc. Tic toc.

I giorni passano: Keats non gode di ottima salute, è spesso troppo debole per ballare con Fanny, ma fioccano inviti di ufficiali pronti a portare Fanny dovunque, persino su una stella. Colmo d’angoscia al pensiero di perderla, John si distrae e scrive poco. Sotto consiglio di Charles, che detesta Fanny per l’ascendente che esercita sull’amico, a giugno parte per l’isola di Wight. Né l’aria frizzantina né il bianco accecante di un mattino di sole lo aiutano a ridimensionare il suo amore per Fanny, nutrito da una corrispondenza epistolare tra i due che sembra un duello tra fioretti: in una missiva Keats è geloso, in quella successiva remissivo, in quella dopo ancora sconfitto dalla mancanza di Lei, prossimo alla morte per crepacuore.

Tic toc. Tic toc.
Il 3 febbraio 1820, Keats, studente di medicina, dopo un violento attacco di tosse si accorge che quello che macchia il fazzoletto immacolato non è solo sangue arterioso, ma una vera e propria sentenza di morte. La tisi, ombra nera che ha portato con sé tutta la famiglia, è tornata per terminare il suo infausto compito e strappare il poeta della vita alle fronde degli alberi e al “vago seno in fiore” di Fanny.

Tic. Toc.
I due innamorati si scoprono fragili, alberi spogli e impotenti dinnanzi all’arrivo dell’inverno. Ma Amore si nutre di Speranza, così persino John, uomo di scienza, quando il cielo è terso e gli uccelli sono in festa si lascia andare a fantasticherie amorose, a sogni e promesse di vita bucolica con la sua stella. Fino al 13 settembre 1820 John si trasferisce nell’ala della casa di Fanny: è dentro di lei, nel suo focolare, nel suo grembo. Fanny si illude che i baci possano curare la malattia, e John fa finta di credere all’ingenuità dell’amata. Chi, invece, mantiene lo sguardo freddo della razionalità, sono gli amici di John: con a cura la salute del poeta, ignari del balsamo della presenza di Fanny per il corpo avvelenato di John, lo persuadono ad andare in Italia, a Roma, dove il clima è mite e la guarigione più repentina. Disprezzata da tutti i conoscenti del suo Amore, Fanny non può nulla contro la loro volontà; gli regala un quaderno, un tagliacarte, una ciocca di capelli, una cornice, tutta se stessa, e lo accompagna a Pond Street, dove la nave per l’Italia partirà dopo qualche giorno. Nel congedarsi sono pallidi fantasmi dell’amore scottante che li univa: John si inchina, Fanny fa altrettanto, nessun bacio d’addio, nessun monologo straziante. Sentono che è ora di ritornare ciascuno nel proprio corpo e di recidere la presenza dell’Altro dalle proprie vene: solo così potranno sopravvivere ad un addio diverso, quello definitivo.

Tic.
John Keats non scriverà mai più a Fanny Brawne. Lei inonderà la sua casella postale di lettere mai aperte che Keats ordinerà ai suoi amici di bruciare, e loro le consegneranno alle fiamme di un focolare di piazza di Spagna con un ghigno di piacere. Lui scriverà di lei ad altri, ma il suo cuore non può sostenere la lettura delle Sue parole, solo al pensiero di Lei John ha le vertigini e si sente mancare.

Fanny non riesce a rassegnarsi al silenzio, si chiude in se stessa e ha unicamente la forza per perpetuare una crociata contro gli amici di John così da carpire loro notizie circa la salute dell’altra metà del suo cuore. Nessuno la guarda negli occhi, nessuno dei presunti companions di John ha il coraggio di credere ai dottori che confermano che il viaggio in Italia ha accorciato la vita del poeta, che se fosse rimasto in Inghilterra, tra le braccia dell’amata, avrebbe vissuto, amato, scritto, di più.

Il 23 febbraio 1821, John Keats, stremato dal dolore, morì, mentre tra le mani stringeva la cornice donatagli da Fanny.

Una parte di Fanny morì con lui: portò il lutto come la moglie che non era mai stata, passeggiò per anni nel giardino degli usignoli, bagnando di lacrime le prime lettere che John le scrisse e recitando a voce alta, come una litania, la poesia che l’uomo compose per lei, Bright Star, prova tangibile che non era stato un sogno, quell’amore breve ma intenso come la giovinezza.

La regola vuole che una volta morto l’artista, ne cresca la fama, e così fu. Fanny seguiva il progressivo riconoscimento dell’arte di Keats da lontano, come una stella immobile, ma quando le sue poesie venivano attaccate non esitava a scrivere lettere anonime verso chi descriveva il suo John come un uomo violento. Non era violenza, la sua: era passione ardente. Ma era anche bontà, gentilezza, amore.

Poi, così com’era arrivata, la ragazza della porta accanto se ne andò, chiuse la porta che aveva accolto Keats e di lei non si seppe più nulla fino al 9 dicembre 1895, data della sua morte. Si risposò ed ebbe tre figli, i soli a sapere della sua relazione con il poeta. Proprio a loro affidò il plico consunto di lettere di John, il suo tesoro più prezioso, con il compito di pubblicarle dopo la morte del padre. Morto il padre, la fama di Keats era mondiale, la sua arte fu definitivamente consacrata come immortale.

Eppure, quando nel 1878 le lettere vennero pubblicate, i lettori vittoriani inorridirono: la finta compostezza vittoriana e l’odiosa formalità di quegli anni, portarono i più a giudicare come immorali gli eccessi del poeta, grotteschi i toni così accalorati con cui dipingeva Fanny e il legame che gli univa. Era di un erotismo nuovo l’amore che Keats non si premurava di nascondere, camaleontico, una spinta sessuale che agiva sull’anima virile e le permetteva di scoprirsi sensibile, femminea nella sua fragilità, cristallina nel suo essere.

Quei signorotti che ritenevano sconveniente usare l’espressione leg facendo riferimento alla semplice gamba di un tavolo, di poesia ne capivano solo le virgole. E della poesia di Keats non ne capivano nemmeno quelle.

Ci sono stati film, romanzi e saggi pronti a descrivere l’amore dei due giovani, uomini affamati che si sono appropriati delle loro parole per analizzarle e decomporle come si fa con le ali di una farfalla intrappolata in un barattolo di vetro. Da parte mia, ritengo che l’atteggiamento della critica farebbe inorridire John Keats, lo stesso poeta che riteneva che l’arte della poesia fosse un mistero persino ai suoi occhi, sangue divino che per ignoti disegni scorreva nelle sue vesti mortali. Così, scelgo di lasciarla libera la farfalla del loro amore, e di osservarla vivere, seppur per poco tempo. E alla fine, sembra quasi che tutto ciò che la farfalla desideri sia volare lontano e spegnersi nella luce eterna di una fulgida stella che d’amore brillerà per sempre.Vorrei che fossimo farfalle e vivessimo tre soli giorni d’estate – tre giorni così, con te, sarebbero più colmi di delizie di quante ne potrebbero contenere cinquanta anni di vita ordinaria” – John Keats

Alessandra Di Nunno


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