Il respiro che si fa vicino, il calore a pochi centimetri dal volto, lo scambio rapido di sguardi che precede la chiusura delle palpebre. L’attimo prima di un bacio è l’indescrivibile per eccellenza, cambia da coppia a coppia, persona a persona, conservando seppur in sé una certa dose di omogeneità. Impossibile spiegare ciò che si prova, facilissimo rappresentarne lo svolgimento; come in un film immaginiamo gli amanti protendersi in avanti, farsi sempre più vicini nell’incertezza di come inclinare il volto, esporre senza difesa le proprie labbra al contatto con le altrui. C’è un certo standard che accomuna ogni coppia nella manifestazione esteriore del proprio amore, quella che alcuni vorrebbero preludio di altre tenerezze e altri summa completa del sentimento. Non c’è niente di più candidamente intimo di un bacio che suggella parole non dette, colmando silenzi che sanno di sentimenti inespressi, emozioni tacitate e mostrate nei gesti. La storia dell’arte ne ha rappresentati di magnifici, dalla purezza di Francesco Hayez al trionfo dell’eros armonizzante di Gustav Klimt. Ma nessuno è più potente e spiazzante di quello degli Amanti di René Magritte.
Le saboteur tranquille, del resto, è passato alla storia per la sua incredibile capacità di insinuare dubbi sul reale attraverso la rappresentazione del reale stesso. Lo straordinario, l’inaspettato in chiave straniante sono i concetti chiave della sua opera artistica, costantemente giocata sul filo del paradosso che assume qui, in questi Amanti di Magritte dai volti coperti, il livello più estremo.
Il bacio appassionato tra i due cela l’impossibilità della conoscenza. Avvolti entrambi in lenzuoli bianchi – non insieme, come sotto un manto di protezione dal mondo esterno, ma singolarmente, ciascuno nel suo spazio – gli amanti si sfiorano senza penetrarsi. Vi è un’antinomia insolubile tra il bacio e l’assenza di sguardo, l’incontro e l’impossibilità di uno scambio completo. L’uomo e la donna sono amanti segnati dal divieto infrangibile della non conoscibilità.
Si è avuto buon gioco, nel tempo, a dare interpretazioni del quadro in chiave psicoanalitica. Come sotto il microscopio si mette davanti alla vita dell’autore una sorta di lente, si schiaccia la sua opera su di lui e i suoi complessi, le sue patologie, escono fuori come indizi segreti dalle pieghe dei prodotti di cui hanno segnato la genesi.
Nel caso degli Amanti di Magritte, la stoffa bianca del lenzuolo non sarebbe stata altro che il traumatico ricordo infantile della madre recuperata dai flutti del fiume Sembre, con la camicia da notte bianca a coprirne il volto dopo il suicidio. In realtà anche qui, come sempre in qualsiasi opera, c’è molto più di un semplice conflitto sclerotizzato nel tempo.
La stoffa è l’ostacolo, il muro che crea impossibilità di comunicazione. Impedisce lo sguardo, cancella ogni possibilità di contaminarsi che poi vuol dire aprirsi, mostrarsi, assumersi i rischi di un incontro profondo con l’altro. A essere nascoste sono le caratteristiche personali, i tratti somatici, gli sguardi rivelatori. La conoscenza reciproca avviene solo quando vi è la possibilità per ciascuno di vedersi e definirsi in quanto individui, per comprendere se stessi, predisporsi a una relazione.
È il destino di un’umanità ancora oggi solcata da muri, che preoccupano più per la loro essenza che per la propria fisicità. Sono divisori che impediscono la vista prima ancora del contatto, portatori di una certa idea di morte che si cela nell’impossibilità di comunicazione che è mancanza di comprensione, arricchimento, coinvolgimento. Con l’altro, certo, ma anche e soprattutto con se stessi.
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Molto bella e profonda questa descrizione dell’opera di Magritte.