Il Coronavirus ci ha messo di fronte a un grande cambiamento; in fondo, nessuno di noi si aspettava di dover trasformare la propria vita così, da un momento all’altro e soprattutto senza preavviso. Ma di queste storie ne abbiamo sentite di tutti i tipi durante questi due mesi di lockdown: abbiamo sperimentato lo smart working, i bambini e i ragazzi hanno operato con la didattica online, gli spostamenti per assoluto godimento (di qualsiasi tipo) ci sono stati totalmente preclusi e ci siamo dati alle uniche cose che potevamo fare in casa. Ed è qui che abbiamo scoperto una nuova forma di aggregazione, quella digitale. In un qualsiasi tipo di raduno però il popolo esprime un potere che è un potere politico, un potere che ha a che fare con la vita della polis, con la vita di una comunità. A dirlo è la filosofa Judith Butler, in uno dei suoi testi più belli, L’alleanza dei corpi (Nottetempo 2017, acquista):
«Le modalità di aggregazione esprimono già un significato molto prima di ogni particolare istanza che possano porre, e a prescindere da essa. […] il potere che ha il popolo di radunarsi è di per sé un’importante prerogativa politica, separata dal diritto di dire ciò che ha da dire una volta che il raduno è avvenuto. Il radunarsi esprime un significato che eccede ciò che viene detto, e questo modo di significazione è in sé una messa in atto corporea e concentrata, una forma performativa plurale».
Judith Butler
Per questo la forza di un raduno è fortissima, perché moltiplica il potere decisionale del singolo e aumenta l’impatto che questo può avere su un’intera comunità, nelle dinamiche di un’intera realtà.
Le ricerche di Judith Butler
Tutto ciò Judith Butler la chiama «una forma performativa plurale», proprio perché quello dell’adunanza, del raduno, è un atto performativo, ovvero è un atto linguistico capace di cambiare una realtà precedente. L’atto performativo non descrive né dichiara nulla, invece muta un precedente stato di cose, come sostiene John Austin nella Teoria degli atti linguistici. Ad esempio, se un prete dichiara marito e moglie un uomo e una donna, quei due soggetti non saranno più liberi, ma legati dal vincolo legale e spirituale del matrimonio.
Ergo, se dei soggetti si radunano per esprimere un bisogno, una necessità, quegli stessi soggetti stanno cambiando una realtà, perché stanno esercitando il diritto politico dell’adunanza, del raduno, dello stare in comunità. Insomma, questione di assembramenti, i tanto temuti assembramenti, che oggi ci suonano quasi come delle bestemmie.
Come cambia il diritto di assembramento
Il Coronavirus ci ha sottratto il diritto di assembramento, o, meglio, lo ha modificato. Ci è stato vietato incontrarci per strada e manifestare alla vecchia maniera per rivendicare un qualche diritto civile o anche semplicemente per rivendicare il diritto alla socialità, alla convivialità. Infatti, nonostante sia iniziata la fase 2, gli assembramenti sono ancora assolutamente vietati.
Il Coronavirus ci ha sottratto il nostro corpo, la nostra potente fisicità che, come diceva Judith Butler nel passo sopracitato, poteva mettere in auge un atto performativo. La dimensione del corpo è stata sostanzialmente destrutturata e ora, almeno fino a quando perdureranno questa fase 2 e la minaccia del contagio, va strutturata in un modo diverso, alternativo, rispetto alla modalità che già conoscevamo.
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Ci si chiede, dunque, quale fisicità sia oggi possibile, con quale corpo, o meglio, con quali corpi si può ancora manifestare il diritto all’essere un popolo, ad avere dei diritti politici.
«Così, il movimento o l’immobilità, il collocarmi con tutto il corpo in mezzo all’azione di un altro, non è né il mio atto né il tuo, bensì qualcosa che accade in virtù della relazione che c’è fra noi, che deriva da quella relazione, che crea ambiguità tra l’io e il noi, e che cerca al contempo di preservare e di disseminare il valore generativo di quell’ambiguità in una relazione attiva e di deliberato sostegno reciproco, una collaborazione, ben distinta da un’allucinata fusione o confusione».
J.Butler, L’alleanza dei Corpi (2017), pag. 19
«L’alleanza dei corpi»: assembramenti possibili
Nelle parole di Judith Butler troviamo la risposta che cerchiamo: «il movimento o l’immobilità». Dunque, anche nell’immobilità è possibile un’adunanza, un assembramento, una rivendicazione e la possibilità di mettere in moto un atto performativo. Ed è sostanzialmente ciò che abbiamo esperito fino ad ora e ciò che probabilmente continueremo a fare fino a data da destinarsi.
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Il Coronavirus ha obbligato le persone a rimanere ferme nelle proprie case, ma la concomitanza con l’esplosione dei mezzi digitali, dei social network, ha reso possibile ciò che fino a vent’anni fa sarebbe stato impossibile: ha permesso gli assembramenti digitalizzando una fisicità destrutturata, scomposta, ma ricomposta nel digitale. E così ci siamo trovati a fare interminabili videochiamate su Zoom, Whatsapp, Skype, Meet, ci siamo ritrovati riuniti in gruppi Telegram, Facebook, a commentarci continuamente le storie sui social (molto più di quanto non avvenisse già prima), a seguire le dirette Instagram che ci avrebbero fatto sentire parte di un tutto, di un tessuto sociale che, solo apparentemente, avevamo perso, ma che in realtà stava compiendo una ri-strutturazione.
Questo dimostra che non siamo animali che possono vivere in solitaria, neanche durante una pandemia e che, quindi, cercano qualsiasi soluzione possibile per restare in contatto, per rendere noti i propri desideri e condividerli con gli altri per sentirsi più forti.
Nell’assembramento, dunque, che sia fisico o digitale, come dice Butler ne L’alleanza dei corpi, si perde il confine tra io e noi e si diventa un unico corpo che persegue un obiettivo comune. Nell’adunanza o nell’assembramento, di qualsiasi natura esso sia, l’umano dichiara il proprio diritto alla comunità, ergo il proprio diritto a mutare, cambiare o porre un rimedio ad uno stato di cose che non incontra il soddisfacimento delle esigenze della comunità.
Ci auguriamo, quindi, ancora moltissimi assembramenti, nella speranza che un giorno potremo ritornare a guardarci negli occhi a meno di un metro di distanza e non solo nella telecamera di un dispositivo digitale.
Foto in copertina: Judith Buter da filosofemme.it
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