«Quando il giorno diventa notte e il cielo diventa mare,
l’orologio rintocca sonoro
e non c’è tè da preparare.
E nell’ora più oscura, prima che rintocchi la mia ultima rima
lei tornerà nel Paese delle Meraviglie
e riporterà le lancette dove erano prima».
(dal trailer di Alice attraverso lo specchio)
In Alice in Wonderland (2010) avevamo lasciato la nostra eroina Alice Kingsleigh (Mia Wasikowska) avventurarsi per mare a bordo della nave ereditata dal padre, dopo aver liberato il Paese delle Meraviglie dal pericoloso Ciciarampa della regina Rossa (Helena Bonham Carter). Sono passati tre anni e l’intrepida Alice ritorna a Londra dalla Cina, e qui scopre che la sua compagnia navale è stata rilevata da Hamish Ascot, l’uomo di cui, tempo addietro, aveva rifiutato la proposta di matrimonio. Egli per non sfrattare Alice e sua mamma da casa loro vuole impossessarsi della nave di famiglia: la madre ha già accettato l’offerta, accompagnata da una proposta di un impiego in ufficio per la figlia, perché desidera per la figlia una vita più appropriata a una donna e più tradizionale.
Alice, però, viene richiamata nel paese allucinato che riesce a raggiungere passando attraverso uno specchio nascosto in una stanza di casa Ascot. Aiutata in questo passaggio dal Brucaliffo (la cui voce è stata prestata dal compianto Alan Rickman, recentemente scomparso), riesce a ritrovare i suoi vecchi compagni di avventura molto preoccupati per la salute del Cappellaio Matto, che «ha perso la sua moltezza».
L’amico più caro di Alice, infatti, è caduto in un vortice di senso di colpa, risentimento e tristezza dopo aver ritrovato un piccolo oggetto appartenuto alla sua famiglia, che credeva essere interamente deceduta durante un terribile attacco da parte del Ciciarampa molto tempo prima, nel «giorno Orristraziante». Ma ora è convinto che i suoi fratelli e i suoi genitori siano ancora vivi ed è ben determinato nel ritrovarli.
Alice decide di credere al Cappellaio e l’unico modo per salvare la sua famiglia è quella di convincere il Tempo (Sacha Baron Cohen) – che a sorpresa non è nient’altro che un uomo che presiede tutti gli eventi del Sottomondo – a prestarle la cronosfera, oggetto che permette di ritornare indietro nelle epoche.
Come Marty McFly in Ritorno al futuro Alice parte per porre rimedio agli eventi del passato e salvare gli Altocilindro, la famiglia del Cappellaio. Nella dimensione passata si intrecciano le vicende del Cappellaio e quelle della regine Rossa e Bianca (Anne Hathaway): tutti e tre, come la stessa Alice, vivono un conflitto familiare che li fa soffrire molto e la protagonista, indagando a fondo nel loro passato, riuscirà a vedere il presente e le azioni dei tre personaggi sotto un’altra ottica e a comprenderli meglio.
La protagonista osserva un piccolo Tarrant Altocilindro mentre vive un lacerante dissidio con il padre, dal quale non si sente apprezzato, le cui ultime parole – «Tu sarai sempre e solo una grandissima delusione per me» – lo spingono a lasciare casa e a trasferirsi nella foresta. «L’ultima delle cose che voglio è diventare come mio padre» è la risposta che Alice riceve dal Cappellaio, quando tenta di convincerlo a tornare dalla sua famiglia e riappacificarsi con il padre per poter così diventare un cappellaio come lui: sono parole lapidarie, la cui crudeltà e asprezza stridono con l’aspetto buffo del personaggio che le pronuncia. In quelle parole Alice rivede se stessa mentre le pronunciava con lo stesso atteggiamento da ribelle alla madre, per chiarire una volta per tutte che non avrebbe mai condotto una vita come la sua.
Ella assiste inoltre all’evento cruciale per la rottura del legame tra le due giovani sorelle principesse, che rappresenta la radice della malignità e del rancore della Regina Rossa.
Tutti e tre i personaggi riflettono, in una realtà parallela al mondo empirico, la situazione in cui versa Alice, la quale comprende di non poter scappare in un altro mondo e lasciarsi per sempre alle spalle i conflitti irrisolti con la madre – la cui controparte fantastica è rappresentata dalla dispotica Regina Rossa – e un’Inghilterra in cui deve scegliere tra una vita stabile e monotona e una all’insegna dell’avventura a bordo della propria nave. Historia magistra vitae, dunque, che Alice purtroppo non può modificare ma da cui può imparare e che riesce ad utilizzare come lente di ingrandimento sugli eventi presenti.
Per questo sequel Tim Burton si presta solo come produttore, lasciando il timone della regia a James Bobin, forse a causa delle perplessità suscitate dal primo film del 2010 in cui il regista aveva cercato di tradire il nonsense insito nel racconto frammentario di Lewis Carroll, dividendo in maniera netta tra buoni e cattivi i vari personaggi che Alice incontra, razionalizzando il mondo della meraviglie e annullando così la dimensione da incubo (che dominava anche nel cartone di Walt Disney del 1951).
L’esito di questa pellicola, che si discosta molto dal secondo lavoro di Carroll, più malinconico e meno onirico del primo (Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò, 1871) – del cui capolavoro viene mantenuto solo lo specchio, mentre il resto della storia viene rivisitato – vede i personaggi del Paese della Meraviglie rappresentati da attori come Johnny Depp (nel cui cappellaio sono ancora presenti i precedenti ruoli di Willy Wonka e di Jack Sparrow), Helena Bonham Carter e Anne Hathaway sono imprigionati in ruoli (interpretati con maestria e grande professionalità) preconfezionati nell’intento di rendere più simpatico e umanizzare un mondo che invece era concepito dallo scrittore britannico come allucinato e sicuramente non del tutto positivo o buono, bensì chiaroscuro.
Alice è contrassegnata per tutto l’arco della vicenda dal lutto per il padre e dalla sensazione costante di perdita e di abbandono ancora molto pulsanti e da cui non riesce a riprendersi del tutto, che però accompagnano il suo percorso di formazione: come in un bildungsroman la sua crescita avviene in senso progressivo e positivo proprio grazie a queste ferite. Un’evoluzione, quella di Alice, che la porterà in primis a considerare il tempo non come un nemico, bensì come un alleato e un dono da usare cum grano salis e, in secondo luogo, a trovare la forza di lasciare definitivamente il mondo della meraviglie; allo stesso modo di Tom Sawyer o di Jim Hawkins – protagonista de L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson – che, consci di aver vissuto la loro ultima avventura infantile, si voltano un’ultima volta per contemplare con malinconia e la sensazione che non ritorneranno più in quel luogo, pronti ad affrontare il mondo.
Nicole Erbetti
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