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racconto di sé

L’istrionico gioco del racconto di sé di Viola Marietti

Al Teatro Franco Parenti di Milano lo spettacolo «ALDST - Al limite dello sputtanamento totale»

2 minuti di lettura

Errori grammaticali

È strano come la coniugazione dei verbi, il modo con cui le azioni prendano effettivamente atto, inizi dalla prima persona singolare. La lingua sembra essersi codificata secondo l’ordine numerale – che procede dall’unità -, nonostante l’azione prenda atto e consapevolezza di essere accaduta solo rispetto ad altro, a una seconda persona, cosa o circostanza in virtù della quale l’azione stessa accade.

Si impara a parlare perché qualcun altro parla: forse proprio per questo motivo fisiologico risulta difficile parlare in prima persona, avere coscienza di sé. La difficoltà potrebbe nascere dallo scarto tra una primarietà dell’io e la sudditanza del tu, relegato al secondo posto (per non parlare delle altre persone, che al terzo gradino rischiano addirittura di tracollare nell’impersonale!).

La grammatica non pare dare adito ad una descrizione fedele della realtà, e subisce così la nemesi di diventare l’incubo degli studenti, e a volte il vanto di docenti poco illuminati.

Creare l’alternativa

Fortunatamente, tra una prima persona indebitamente consacrata al podio e una seconda condannata all’inferiorità tertium datur, la terza persona si pone come alternativa sempre valida. Proteiforme e camaleontica riflette l’esigenza concreta di coniugare il sé e l’altro da sé: egli, ella, esso, essa sono il calco di come ci si possa raccontare per avere credibilità, in primis per sé stessi.

Per poter parlare di sé, è necessario quell’allontanamento, quel porsi a una distanza tale da poter osservare le cose alla debita distanza per cui non vengano distorte. La terza persona è la forma della creatività, della finzione, -etimologicamente della costruzione- di sé.

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Per dare voce alla propria voce e comprendere realmente fino a che punto sia possibile capirsi è necessario e inevitabile prendere parte a un gioco. Per capire la propria parte è indispensabile iniziare a giocare, come mostra con inesausto stupore il Teatro, che ogni volta mette in atto la Vita con la consapevolezza dell’impossibilità di farlo, ma di quanto sia bastevole e meraviglioso il tentativo stesso.

Giocare le proprie parti

Così, al Teatro Franco Parenti di Milano, è andato in scena l’istrionico gioco del racconto di sé, dell’impersonificazione irriverente e scherzosa, che consente di uscire dalla tautologia di un io che non può che iniziare a parlare di sé se non immaginandosi come terza persona, come personaggio: ALDST – Al limite dello sputtanamento totale dal 7 al 12 settembre, di e con Viola Marietti.

La compagnia Tristeza Ensemble dell’attrice protagonista, insieme al regista Matteo Gatta con il dramaturg Gabriele Gerets Albanese, propone con sagacia il monologo irriverente e acuto di una giovane milanese alla prese con la propria vita.

Il racconto di sé diventa l’occasione artistica per cogliersi nelle voci e nei corpi degli altri e raccogliere i frammenti dei propri segreti, dei ricordi, delle speranze conferendo la sostanza che perderebbero se destinati a un meditabondo pensiero solipsistico.

Giocare gli altri, le altre parti

La dirompente e vigorosa abilità recitativa della protagonista dà corpo e voce al flusso di coscienza della parola, arginandone le banalità e consentendo al pubblico una condivisione immediata e divertente.

Lo scambio continuo dei punti di vista, non si limita al repentino boomerang originato dal cambio di tono o stile, ma riesce a scardinare le convenzioni linguistiche per rendere esperibile la vividezza del racconto attraverso la veracità del movimento. Il racconto fluisce con il movimento e l’attrice è la ragazza eroina, è chi la circonda nella sua vita, è l’insieme variopinto di sentimenti, frustrazioni, speranze e illusioni.

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Nonostante la grammatica si faccia portavoce e diventi simbolo di un modo di leggere la realtà cristallizzandola in sterili convezioni egoriferite, la volontà di creare, di essere artisti e dunque artefici di sé si riscopre come tentativo inesauribile di avere sempre un’ennesima possibilità, di ricreare e ricrearsi, nel gioco delle parti per poter voce a sé stessi, a patto di volersi ascoltare grazie all’Altro.

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Anastasia Ciocca

Instancabile sognatrice dal 1995, dopo il soggiorno universitario triennale nella Capitale, termina gli studi filosofici a Milano, dove vive la passione per il teatro, sperimentandone le infinite possibilità: spettatrice per diletto, critica all’occasione, autrice come aspirazione presente e futura.

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