L’amico vegano di solito lo si invita a cena per ultimo. O, più spesso, non lo si invita affatto. Ci si aspettano da lui predicozzi moralisti, occhiate d’accusa, silenzi tombali che manifestano la sua Superiorità: io non mangio né carne né derivati; voi, retrogradi, sì. E ciò non vale soltanto per l’amico vegano, ma per i vegani in generale. Sono estremisti, dimentichi della tradizione. Cosa volete da noi, perché ci rimproverate se continuiamo a mangiare il ragù o la fettina? Insomma, i vegani stanno antipatici. Ed i motivi di questa supposta antipatia sono i più diversi (e tra questi, diciamocelo, c’è anche una buona dose di cattiva coscienza nei loro confronti). Quello che ora ci interessa, e che tenteremo di fare, consiste nel rileggere il fenomeno del veganesimo sotto tutta un’altra luce: quella dell’estetica.
Definizioni
Definiamo innanzitutto i termini del rapporto. Vegano, che vuol dire? È semplice: vegano è chi, per sua propria scelta, decide di abolire dalla propria alimentazione il consumo di tutti i prodotti animali e dei loro derivati. Niente carne, niente pesce, ma neanche niente latte e niente uova. L’estetica, invece, che cos’è? L’estetica è quella disciplina o branca della filosofia che tenta di definire, pensare, sviluppare il concetto di bello, sia nella sua dimensione naturale (un bell’albero, un bel paesaggio, un bel volto) sia nella sua dimensione artistica (un bel quadro, una bella statua). Questo, in estrema sintesi e con tutte le parzialità di ogni definizione. Ora, dunque, che rapporto sussiste fra veganesimo ed estetica? In che modo possiamo legare la bellezza ad un’alimentazione, come si dice, plant based? Per spiegarci, proviamo a prendere una strada alternativa, e ritornare nel finale alla questione di base.
Perché vegani?
Domandiamoci quindi: perché un vegano diventa vegano? Le risposte sono svariate. C’è il motivo morale: uccidere un animale, per mangiarlo, è moralmente scorretto perché implica una concezione della vita antropocentrica. Primo di tutti c’è l’uomo, che, autorizzato da Dio o non si sa bene da chi, dispone della vita di ogni altro essere vivente. Poi, appunto, ci sono gli altri esseri viventi. Questo antropocentrismo, secondo il vegano, è moralmente ingiusto, perché, in sostanza, falso. C’è il motivo ambientale: è risaputo (e sì, anche scientificamente provato), che l’industria della carne sia tra le maggiori fonti d’inquinamento nel mondo. Per allevare bisogna disboscare, consumare acqua, ecc. Questo spreco che danneggia l’ambiente , secondo il vegano, è da prevenire, ed eliminare carne e derivati è un modo per farlo (anche se, è vero, l’azione individuale resta totalmente inefficace se non accompagnata da una manovra di coinvolgimento più ampia; comunque…).
Ora, eliminiamo queste ragioni. Facciamo finta che non siano valide (anche se, evidentemente, lo sono eccome). Che ci resta? Perché potrebbe rivelarsi allettante diventare vegani? Ecco, proprio qui, entra in gioco la questione estetica.
Veganesimo e bellezza
C’è dunque una connessione più o meno visibile fra l’estetica, e quindi ciò che ha a che fare con la bellezza, e il veganesimo. È bello smettere di mangiare la carne. Non giusto, attenzione, o ecologicamente corretto. No, ma bello. È bello sapere che possiamo considerare l’animale, qualsiasi altro animale, come un nostro pari (e, risaputamente, dei nostri pari non ci nutriamo o, si spera, perlomeno abbiamo smesso di farlo), e quindi non doversene nutrire. Ammettiamo pure che sia moralmente giusto nutrirci degli animali; ma è bello farlo? È bello mangiare quello che, in fondo, è un cadavere? I video su Youtube o su Instagram che ritraggono animali che masticano carcasse sanguinolente di altri animali, solitamente sono preceduti da un’avvertenza: il materiale che troverete nel video può urtare la vostra sensibilità. C’è il simboletto con l’occhio sbarrato da una linea. E, difatti, ci fa impressione, ci disgusta, ci ripugna, vedere come, mettiamo, un leone sbrana una gazzella. Semplicemente, è brutto. Non che sia sbagliato (il leone, per sopravvivere, deve farlo) e nemmeno ecologicamente scorretto (anzi, se il leone non si attenesse ai suoi istinti sarebbe più un problema che un guadagno per il ciclo ambientale). È solo brutto. Certo, non si tratta della stessa faccenda. Pochi o nessuno mangiano la bistecca come il leone fa con la gazzella. Ma, ecco, rievocando un concetto caro alla filosofa inglese Iris Murdoch, se facciamo attenzione al gesto , se facciamo attenzione a ciò che stiamo per addentare, ci rendiamo conto che poco ci separa da quello che fa il leone.
Estetica dell’esistenza e veganesimo
Ma c’è di più. Il filosofo Michel Foucault, nel suo ultimo corso al Collège de France, intitolato Il coraggio della verità, introduce un concetto interessante, il concetto di estetica dell’esistenza. È possibile, secondo Foucault, dare alla propria vita una veste estetica, legarla cioè ad un’ideale di bellezza, attraverso, appunto, un particolare stile di vita. Vivendo in un certo modo, diamo alla nostra vita una certa forma. Così fa l’artista, il dandy baudeleriano, ma così fa anche il rivoluzionario, il militante. Testimoniare una verità, in questo senso, significa viverla, incarnarla, lasciarsi plasmare dalla verità stessa per apparire trasfigurati in modo da farci noi stessi manifestazione di questa verità.
Perché non leggere anche il veganesimo nei termini di una forma particolare di estetica dell’esistenza? Il vegano testimonia attraverso la sua scelta una verità, e fa della sua vita la manifestazione di tale scelta. In questo senso, anche il veganesimo (o, possiamo ampliare il discorso, l’ambientalismo) rappresenta una modalità estetizzante di assumere la verità su di sé. Si bada all’ambiente perché è bello farlo, non perché sia giusto – semplicemente perché è una vita bella quella che si preoccupa, oltre che dell’umano, anche del non umano. È bello non sprecare, è bello trovare una strada alternativa per l’alimentazione a quella dell’uccisione e dello sfruttamento, è bello, ed anche stimolante, inventare un nuovo modo di mangiare, è bello sentirsi un po’ pittori anche nell’alimentazione. Forse dovremmo indurre le nuove generazioni a guardare al fenomeno del veganesimo più come una moda da seguire che come un obbligo da assolvere. A patto che non sia una moda passeggera, ovvio. (No, l’obiezione: lo fanno tutti perché è di moda, quindi non va bene farlo, non è sempre una buona obiezione. In questo caso non lo è. Se diventasse di moda leggere Platone, o Mann, o qualsiasi altro Grande nel tempo libero, beh, perché dovrebbe esserci qualcosa di male in ciò?).
Riconsideriamo la moda, anche per ciò che di positivo può darci. Legando il veganesimo ad una sorta di ideale estetico, diventa più facile sceglierlo. E, soprattutto, diventa più facile trasmetterlo. La morale è in cammino, e troverà il modo per raggiungere una scelta che, per ora, ha come fine solo la Bellezza.